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Ars Gallica: la via francese al wagnerismo

di Davide Contino - 20 Dicembre 2017

L’imponente figura del compositore Richard Wagner proietta la sua ombra su tutta la seconda metà del IXX secolo, ed ancora nei primi decenni del Novecento la sua musica, la sua concezione drammaturgica e la sua poetica vengono ora esaltate, ora ripudiate, ma non cessano mai di far discutere. Col senno di poi è difficile negare la carica rivoluzionaria dell’opera di Wagner: la disinvoltura con cui egli utilizza il materiale armonico, nonché la monumentalità orchestrale e l’ipertrofica estensione delle sue composizioni,segneranno profondamente ed indelebilmente la musica europea, ed in particolar modo la scuola sinfonica di area tedesca, segnando una linea ideale che da Bruckner prosegue fino a Schoenberg ed alla seconda scuola di Vienna.

La prima parigina del Tannhauser

Al di fuori dell’area tedesca, vi è un’altra nazione che si mostra molto ricettiva nei confronti della musica e della poetica di Richard Wagner, ovvero la Francia,la cui capitale è stata almeno per due secoli il faro culturale d’Europa. Il primo contatto che il pubblico parigino ha con la musica di Wagner risale al 1860,quando il compositore stesso dirige al Teatro degli Italiani estratti sinfonici dalle opere L’olandese volanteTristano e Isotta e Tannhauser.
E’ proprio quest’ultima opera che, per volontà dell’imperatore Napoleone III, viene scelta per essere allestita all’Opéra nel marzo del 1861. Quest’esibizione viene ricordata come un fiasco per svariati motivi, di natura per lo più extra-musicale, legati a un sentimento antigermanico e sciovinista presente nella società francese del tempo. A ciò va aggiunta il carattere poco accomodante del compositore, che rifiuta di ritoccare la partitura secondo il gusto dei parigini, avvezzi al Grand-Opéra di Meyerbeer. Dunque, se pur ritirato dal cartellone dopo sole tre repliche a causa del suo insuccesso, il dramma di Wagner non manca di colpire profondamente alcuni fra i più promettenti musicisti francesi che assistono all’evento.

https://www.youtube.com/watch?v=Bkk5thxaN9A

L’eredità di Wagner tra musica  e letteratura

Come da attitudine parigina, il mondo della musica si divide in  fazioni contrapposte, etichettate come quella degli anti-wagneriani e quella dei wagneriani. A capo della fazione esaltatrice della poetica wagneriana ricordiamo un entusiasta Georges Bizet, che nella sua veste di giovane critico musicale difende  strenuamente la musica del tedesco. Tuttavia, prendendo in esame la  produzione matura di Bizet si evidenzia che questa esaltazione che non diviene, per esplicita volontà dello stesso compositore, mera emulazione, e la partitura e l’impianto drammaturgico del suo capolavoro, Carmen, stanno a testimoniarlo. In quest’opera, formalmente in bilico tra Opéra- Comique e Grand-Opéra, sono presenti un gusto per la melodia ed una raffinatezza del tratteggio psicologico dei personaggi che sono estranei al mondo del Dramma wagneriano. Nel corso degli anni la poetica wagneriana compenetra più diffusamente nel mondo artistico e letterario francese, tanto che viene fondata nel 1885 una rivista dall’emblematico nome di Revue wagnérienne. Questa pubblicazione ospita al suo interno illustri firme del calibro di Huysmans e Verlaine, i quali sono scrittori riconducibili alla fiorente corrente letteraria e pittorica del Decadentismo. Tuttavia, sulle pagine della Revue venivano principalmenti presentati articoli di carattere letterario, e il richiamo a Wagner presente nel nome della testata era per lo più legato all’affinità di certe tematiche presenti nelle sue opere con il contesto culturale da cui la rivista era scaturita. Va riconosciuto invece il merito della divulgazione dei valori musicali propriamente wagneriani a due compositori rispondenti al nome di César Franck e Camille Saint-Saens, i quali fondano una “Società nazionale di musica, con l’intento di nobilitare e innovare la musica strumentale francese. Di Franck in particolare ricordiamo composizioni come il Quartetto per archi in Re maggiore e Preludio, corale e fuga, per pianoforte,nelle quali la condotta armonica fortemente cromatica incontra una concezione della forma-sonata vicina alla ciclicità di Franz Lizst.

Debussy,dall’emulazione all’emancipazione

Infine, è impossibile non citare colui che, sul finire del secolo, partendo da un’ammirazione giovanile per Richard Wagner, seppe interiorizzare e sviluppare alcune delle caratteristiche cardine del linguaggio wagneriano, ovvero Claude Debussy, che nella fase giovanile della sua produzione sará un fervente seguace del compositore tedesco, per poi intraprendere, negli anni, un progressivo ripudio dell’estetica wagneriana. Uomo dagli interessi culturali eclettici, che gli forniranno molteplici fonti di ispirazione per le sue composizioni, nel catalogo di Debussy ricordiamo una sola opera, messa in scena all’Opéra-Comique nel 1902, ovvero il Pelléas et Mélisandre su libretto di Maurice Maeterlinck. In questa composizione troviamo l’ ascendente di Wagner per quanto riguarda l’utilizzo del leitmotive e per il  ricorso al canto declamato, formule  che sono però filtrate dalla sensibilità intimista di Debussy, che è avvertita ancora di più nel modo in cui viene utilizzata l’ orchestra, intenta a tratteggiare delicate trame sonore di stampo quasi cameristico, distanziandosi così dai roboanti impasti timbrici wagneriani. Inoltre, ascoltando ed analizzando il corpus di musica strumentale del compositore francese, dal giovanile poema sinfonico Prèlude à l’aprés-midi d’une faune fino ai Preludi per pianoforte, è possibile trovarvi una costante aspirazione a liberare la sua musica dalle briglie di una direzionalità tonale rigorosa e consequenziale, ad essa preferendo la fluidità data da una tavolozza di raffinatezze timbriche sottratte al lineare scorrere del tempo, analogamente a quanto aspirava, pur con mezzi e sensibilità differenti, il Wagner della Tetralogia o di Tristano e Isotta.

https://www.youtube.com/watch?v=Rpw4-J49auQ

Dunque abbiamo un linguaggio, quello della rivoluzione musicale da Wagner, declinato in molteplici idiomi  nel corso della storia della musica occidentale, ma che conferma la lungimiranza dell’autore quando fregiava la propria arte dell’appellativo di “musica dell’avvenire”.

Davide Contino

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