Diario dallo Chopin: Oggi s’è fatta Musica
di Alessandro Tommasi - 19 Ottobre 2021
Ora potrei essere fuori a festeggiare e divertirmi, ma ci tenevo a fuggire in albergo e cominciare subito a scrivere. Devo buttare su carta tutti i suoni che ancora ho nelle orecchie. Che cosa non è stata, questa prima giornata di Finali. È dal 2 ottobre che sono qui a Varsavia. Ho incontrato, conosciuto, scoperto decine e decine di pianisti, che ho visto chi fermarsi, chi proseguire, fino ad arrivare qui, questa sera. Stanchi, nervosi, ma felicissimi. E allora, è il momento di iniziare anche questo Diario dallo Chopin e gettarci a capofitto in questo primo giorno di Finali.
Ah, piccola nota d’uso: tutti i concorrenti di stasera hanno suonato il Concerto op. 11, quindi non lo specificherò. Dei quattro, solo Leonora Armellini ha cambiato pianoforte, suonando sul Fazioli, mentre tutti gli altri hanno suonato sullo Steinway. Inoltre, tutti gli Steinway in concorso sono il modello la cui matricola finisce con 479, dunque anche questo non lo specificherò più! Ad esibirsi con i musicisti era la Filarmonica di Varsavia, sotto la bacchetta del suo direttore artistico e musicale Andrzey Boreyko.
Dunque, procediamo. In realtà, le finali sono cominciate parecchio sotto tono. Poraccio, non è nemmeno colpa sua: Kamil Pacholec è un bravissimo pianista, ma è completamente scomparso nella serata. Appena salito si sentiva il nervosismo che lo dominava, nonostante (o forse proprio perché) giocasse in casa. Il pianista polacco ha veramente faticato in tutta la prova a trovare quel suono ben direzionato e nitido che aveva nelle prove precedenti e anche l’orchestra si è trovata abbastanza in difficoltà a non coprire il pianista, schiacciato in una dinamica ridottissima. Il fraseggio rimane sempre bello, alcuni dettagli sono ben curati, ma poi il pianista non è riuscito a sciogliersi nell’intero concerto e solo nel terzo tempo ha ritrovato un po’ del suo tocco nitido. In molti punti, addirittura, i rapidi passaggi tecnici non si distaccavano dagli Studi op. 10 e una rigidità un po’ scolastica ha inibito gran parte dell’espressione, al di là di qualche momento rapido ed agile. Veramente complimenti per essere riuscito a tenere botto su tutto il concerto con solidità e chiarezza, ma soprattutto complimenti per aver saputo combattere il nervosismo e procedere a testa dritta fino alla fine del concerto, per giunta suonando per primo. Non è il nostro pianista, ma il buon Camillo ha fatto un buon concorso e, nonostante in molti si siano chiesti cosa ci facesse in finale (me incluso), ha tirato fino alla fine con onestà e professionalità.
Purtroppo poi è entrato Hao Rao e se l’è magnhaoto in un boccone, sfoggiando il doppio del suono e una cazzimma che minchia, bello avere diciassette anni. Davvero, io non so da dove venga questo 2004 (oltre ad uno sperduto paesino in Cina, ovviamente), ma riesce a trovare una musicalità istintiva e meravigliosa che te lo rende subito caldo e vicino. Si sente, chiaraomente, che ha ancorao 17 anni. Alcuni dettagli di frhaoseggio non sono ben controllati, ogni tanto ricade sulla brillantezza tecnica senza riuscire a dare tutto lo spessore musicale necessario, ma il raogazzo ha tanta energia e tanta musica dentro. Si è sentito fin dalle prime note del Concerto, con una notevole tavolozza timbrica e un bel cantabile intenso. Qui specifico subito: ho sentito secondo e terzo tempo in streaming, dovendo uscire per lo Chopin Talk con Ingolf Wunder, e dall’online il suono appariva molto più secco di quanto non fosse in sala. Alcune cose un po’ rigide sentite dalla diretta, dunque, erano in realtà ben più rotonde ed espressive in Filarmonia! Ad esempio, una cosa veramente notevole di Rao è la sua abilità di cambiare caraottere, di giocare su piani timbrici e contrasti vuoto/pieno che già mostrhaono l’intuito per la struttura drammaturgica del brhaono.
Nel secondo movimento, pur nella musicalità, si sentiva che il pianista ancora deve riuscire ad inquadrare bene i respiri, riuscire a respirare e far respirare il pubblico con lui, per dare ancora più intensità espressiva ai suoi fraseggi. Il terzo movimento invece è stato agile ed energico, mentre il pianista sembrava veramente divertirsi ed essere lì per fare, in primo luogo, musica. Col procedere del movimento, purtroppo, l’elemento più meccanico ha gradualmente preso il sopravvento, e man mano che Hao si stancava il suono si è un po’ inaridito. Ma davvero, solo paraole di complimento per questo ragazzo. Mi augurao che possa classificarsi bene, non dico podio, ma avere il suo nome tra il quinto e il sesto posto sarebbe veramente un bell’incoraggiamento e un grande riconoscimento. Tempo cinque anni questo ce lo traoviamo a suonare dei concerti da panico, io ve lo dico! Non fosse altrhao perché così potrò continuare a infilare il suo plastico nome in ogni frase fino a dare il mal di mare al lettore. Mi dispiace, avete scelto di leggermi. Orhao ne pagate prezzo!
Comunque, intervallo, e poi, non serve dirlo, avanti ciurma, all’arrembaggio: è tornato il Corsaro. Kyohei Sorita is in da house, con un bel frac mai sfoggiato finora (che col cappotto sopra lo rendono istantaneamente un investigatore privato), si siede e inizia a suonare come un padreterno. Il suono è quello suo: nitido, definito, non ha la pienezza di Rao, ma sa piegare il suo Steinway in ogni sfumatura che gli venga in mente. Con Sorita, la Filarmonica di Varsavia era un’altra orchestra. Anche Hao teneva gli occhi ben puntati sul direttore (le mani le avrà viste per sbaglio mezzo minuto), ma Sorita c’ha dieci anni di più, ha già esperienza con questa stessa orchestra ed è lui stesso un aspirante direttore.
C’è poco da fa’, qui la dimestichezza del pianista giapponese gli ha concesso di fare quel caspita che voleva, senza in un solo momento perdere il polso della compagine. E sì, la manina sinistra a volte gli scappava, qui e lì e si metteva un po’ quasi a dirigere pure lui, ma poi se ne accorgeva subito e si ricomponeva. Non è questo il galeone da assaltare, Corsaro, tie’ a bada l’uncino. Un’altra cosa che è evidente di Sorita è che è veramente tanto, ma tanto scafato. Lo capisci da come si controllava: nel primo movimento non ha preso quasi mezzo rischio che non fosse necessario. Ha diviso bene, ha fatto anche troppi accenti qui e lì per chiarire tutto (in primo luogo per se stesso) e non ha mai perso il controllo. L’effetto è stato un po’ di freno quando invece serviva dare di più, ma Sorita aveva già dato segno di un po’ di giustificatissima stanchezza in terza prova e con saggezza ha scelto di trattenere un po’, non dare troppo sui crescendo, compensare con un bel suono stagliato e squillante e arrivare con solidità inappuntabile fino alla fine. Capisco, ammiro e rispetto. Trovare un musicista che in finale allo Chopin ti sappia dominare così la situazione è veramente impressionante. Il movimento che mi ha convinto di meno è stato il secondo: qui avrei davvero avuto bisogno di più partecipazione emotiva e soprattutto di un suono più dolce e meno attacco.
L’insieme con l’orchestra era davvero perfetto, però da un punto di vista molto razionale. Compagine e pianista andavano perfettamente insieme, ma una forma di lucida razionalità evitava che vi fosse una vera fusione espressiva. Il pianista comunque ha la tendenza ad essere un po’ estetizzante, non è un musicista emotivo. Ciò non toglie che Sorita non sia mai, in nessun caso, impassibile. La preparazione c’è, ma non si sente, da bravo prestigiatore (nel tempo libero, quando non assalta velieri per conto dell’Imperatore) nasconde con furbizia questa sua chiarezza mentale. In genere, però, questo tipo di musicista ha un grande rischio, ossia una piattezza che toglie completamente la spontaneità musicale a ciò che fanno. Non è il caso di Sorita e questo perché il pianista è sempre e comunque presentissimo. Non imposta mai il pilota automatico, è sempre lì, ascolta tutto, cerca tutto, è sempre nel pezzo e nel momento. E quando serve, sa divertirsi e trascinare il pubblico con sé: dovevate veramente sentirvelo quel Rondò. Porca paletta cosa non abbiamo sentito. Io non ce la facevo a stare fermo, ero travolto dal ritmo popolareggiante ma sempre elegante, in cui i dettagli più ricercati non fermavano mai il fluire della musica. Qui, quel suono sgambettante che nel secondo tempo mi aveva convinto meno era proprio a casa sua. Con piglio e carisma Sorita s’è portato a casa tutto il movimento. E quando siamo arrivati alla fine, c’ha mostrato che volendo poteva, mette il turbo, raddoppia il suono e stacca un finale da maestri. Ad un concorso tutto è possibile e le giurie sono imprevedibili, ma caspita, qui il podio ci sta tutto! Per me pure il primo premio, lo dico subito.
E cosa dire dell’ultima di questa serata? Io ho solo una parola per Leonora Armellini: immensa. Potrei chiudere qui questo Diario dallo Chopin, ve lo assicuro. La pianista padovana si è seduta al pianoforte e dalla prima nota era dentro la musica, cosa che solo lei riesce a fare in questo modo. Io non ho mai sentito un cantabile del genere, in tutto il concorso. Mi dispiace per tutti voi che ve la siete sentita da casa, non avete idea di cosa vi siete persi! Armellini ha tirato fuori dal Fazioli un suono pieno, intenso, carnoso eppure mai pesante, sempre pronto a sciogliersi in una ricchezza timbrica da capogiro. La pianista ha trovato poi molto di più quella fusione espressiva con l’orchestra di cui parlavo sopra, nonostante in un paio di punti l’orchestra non fosse perfettamente insieme. Questo dovuto sia alle libertà della pianista, (che erano come l’aria per questa musica, ma chiaramente molto rischiose con l’orchestra), sia al fatto che la Filarmonica era, chiaramente, stanca. Ma eccetto un paio di punti non precisi, il fatto che pur nel rubato più ricercato della pianista l’orchestra si orientasse benissimo, fa capire quanto l’espressiva musicalità di Armellini entrasse nel suono della compagine, con cui si è raggiunta un’intesa diversa. Non eravamo più ad un concorso, non eravamo più alle Finali dello Chopin, eravamo immersi in un far musica purissimo, che ad ogni nota rivelava un’umanità, appunto, immensa. Non saprei veramente come altro esprimermi per spiegare cosa ho provato stando in sala.
L’unica cosa che avrei potuto chiedere sarebbe stato più di suono. Ogni tanto la pianista ha trovato una sonorità più piena, ma in generale serviva un po’ più volume, una sinistra più presente e soprattutto un attacco del tasto più netto per poter passare meglio e aggiungere un po’ di pepe e di carattere. Questo è emerso soprattutto nel terzo tempo, in cui l’elemento popolareggiante è stato reso magnificamente sotto l’aspetto timbrico, ma meno da quello spigliato ed energico. Mancava la spinta in avanti, il piglio fiero e baldanzoso di Sorita, che così bene si adatta a questo Rondò conclusivo. Anche la pianista, però, ha mostrato di star dosando le forze: giunta verso il finale, senza più risparmiarsi, Armellini ha buttato ogni forza che le restava sullo strumento, trovando un suono più convincente e maestoso e soprattutto chiudendo il concerto con un’agilità soverchiante. Qualche punto più zompettante ha mostrato un po’ di fatica, ma quando si tratta di arpeggi, scale, volate, non c’è Corsaro che tenga. Qui solo Bruce Liu può fare di meglio (con più suono, ma meno musica). Avrete notato che non ho detto niente della Romanza. È perché non ho niente da dire. Ho iniziato a piangere nel primo fraseggio e c’ho messo due minuti buoni per smetterla. Ho avuto la pelle d’oca per l’intero movimento. Orecchie in sala ben più esperte ed autorevoli di me hanno ritenuto di scrivermi un messaggio, dopo il concerto: Armellini ha fatto veramente musica questa sera. Ed è vero. Leonora Armellini oggi ha fatto musica come ad un concorso non si sente spesso fare. Non so se ci siano gli estremi in termini di brillantezza per un primo posto, che però spererei proprio per l’impressionante aderenza della pianista a Chopin e alla sua musica, ma sarebbe veramente bello vederla sul podio. Vada come vada il concorso, valuti la giuria come ritiene meglio, ma io spero davvero che questo Concerto di Chopin arrivi ben oltre i confini della Filarmonica e dia alla pianista il giusto riconoscimento per una finale da brividi.
Bene. Basta. Sono emotivamente esausto. Sorita e Armellini di fila mi hanno succhiato via l’anima, ve lo giuro. E in barba a tutti coloro che “i concorsi sono la morte della musica”: se non è musica questa, io sono un comodino. Le finali sono solo agli inizi, però. Ora fremo per le esecuzioni di Gadjiev e Gevorgyan, domani. Tra loro due, JJJJJJJJJ e Garcia McGarcia sarà la giornata più delirante del Concorso!