Corrispondenze n. 5: Rap (1996-2021)
di Redazione - 1 Aprile 2021
Oggi, 1 aprile 2021, ricorrono i venticinque anni di “Rap”, lavoro nato dalla collaborazione tra Andrea Liberovici ed Edoardo Sanguineti. L’anniversario di questo primo quarto di secolo è un’occasione per il compositore di ricordarne i primi passi e di intrecciare le proprie memorie insieme a quelle di Gianfranco Vinay per il quinto episodio del loro carteggio.
Carissimo Gianfranco,
come ci eravamo proposti, nelle nostre corrispondenze telefoniche, questo nuovo invio tramite link contiene Rap. Il primo lavoro che ho realizzato su libretto di Edoardo Sanguineti, o meglio, sui materiali verbali come li chiamava giustamente Edoardo. In questo lavoro, nato quasi per caso e a cui sono profondamente legato, mi sono ritrovato coinvolto in vari ruoli, compositore, attore-cantante, regista e produttore insieme alla cantante attrice Ottavia Fusco, ed è stato veramente l’innesco di tutto il lavoro transdisciplinare successivo e tuttora in corso. Per puro caso mi sono reso conto che quest’anno, esattamente il 1°aprile, Rap compirà i suoi primi 25 anni e, per questa ragione, ho chiesto agli amici di Quinte Parallele, che ringrazio, di posticipare l’uscita sulla rivista online ad oggi. Inutile ribadire l’inaspettata velocità del tempo ma… la sensazione che questa ricorrenza mi provoca è un grande classico: mi sembra ieri. Lascio a te la parola perché sono molto curioso del tuo feedback, dopo 25 anni, e non voglio aggiungere riflessioni prima delle tue. Peraltro, se non ricordo male, ci siamo proprio conosciuti tramite Rap…
Un saluto e attendo curioso!
Andrea
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Caro Andrea,
ho appena terminato di ascoltare Rap che mi hai inviato ieri sera. È quasi l’alba. Sorgerà tra poco un sole trionfante che trasformerà l’oliveto qui sotto in un’argenteria vegetale. Sorbendo il mio primo caffè della giornata affiorano ricordi ormai lontani ma vivissimi. Rap sortisce l’effetto della troppo celebre e celebrata «madeleine» di Proust in versione italica (con caffé al posto del tè).
Dal fondo della memoria emerge nitidissima l’immagine di quell’edificio di fianco alla Borsa di Torino in cui era stato organizzato quell’incontro dei giovani artisti del Mediterraneo, fra cui tu, appunto. Io e Marianne eravamo stati invitati non mi ricordo più da chi, e per la prima volta ti avevamo incontrato, non solo Marianne ma anch’io. Per la verità io ti conoscevo dalle ansie che Margot e Giovanni si facevano per il tuo futuro quando andavo a trovarli a Venezia e si parlava di un po’ di tutto. Ci avevi fatto dono di una copia di Rap fresca d’incisione, e ritornati a casa avevamo iniziato ad ascoltarla. In quel periodo ci capitava spesso che giovani compositori ci rifilassero il loro primo disco, anche perché, dirigendo Marianne a Parigi il CDMC (Centre de documentation de la Musique Contemporaine) era un modo per farsi conoscere e sperare di poter far carriera. E poiché molto spesso l’ascolto non suscitava particolari entusiasmi, ma lo si faceva comunque per dovere professionale, avevamo messo su il disco con un atteggiamento un po’ rassegnato. Poi però, fin dall’inizio eravamo rimasti catturati dalla novità della proposta, e sorpresi dalla varietà e dalla novità del trattamento sonoro del testo di Edoardo Sanguineti. Ti avevamo subito chiamato per telefono e di lì iniziò la nostra amicizia. Ammirata dal trattamento del suono, Marianne ti propose di metterti in contatto con il GRM perché facessi uno stage di perfezionamento. E non solo ciò avvenne, ma subito ti fecero una «commande», e così iniziò la tua carriera parigina che poi , fatta conoscenza e stretta un’amicizia con Raphaël de Vivo, continuò con il GMM di Marsiglia.
Io, da parte mia, in una saggio pubblicato in quegli anni, mettevo in parallelo Rap con lavori teatrali non narrativi di altri autori, e ne facevo una prima analisi. Riascoltandolo ora, a distanza di un quarto di secolo, devo dire che non ha fatto una piega, ha mantenuto intatta la sua vitalità. Il testo di Sanguineti prende modello e stimolo dalla declamazione ritmata del rap per creare un fuoco d’artificio di ironia poetica che riassume la vitalità di tutte quelle sperimentazioni di inizio secolo scorso che reagivano alla retorica delle convenzioni poetiche di allora: surrealismo, futurismo, e poi, più avanti, nel secondo dopo guerra, le sperimentazioni del gruppo 63. E tu assecondi la vivacità di quel testo con una grande varietà di soluzioni diverse e di trattamenti delle voci e dei suoni: echi, riverberazioni, discanti realizzati con le voci registrate, etc. Oltre a te e a Ottavia Fusco che vi dividete il compito della recitazione intonata del testo, la voce di Enrico Ghezzi interpunta i vari episodi con l’elencazione dei numeri del lotto con relativo significato simbolico.
Non si tratta di una narrazione, ma le diversi intonazioni dei testi, creano, in rapporto ai giochi di parole, di rime, di ritmi e di metri, della prosa poetica di Sanguineti, una sorta di delirio fonico. Nel senso che il rapporto profondamente ironico fra la insensatezza dei testi (puri giochi verbali) e la risonanza emotiva dei caratteri espressivi dei diversi episodi (una gamma che va dal comico al tragico, dal lirico al gioioso, dal sensuale all’erotico) rende credibile ciò che è incredibile: che una frase come «se sesso fossi di sensato sasso aguzzerei l’anguilla e l’ananasso» pronunciata con l’intensità con cui si reciterebbe un verso dell’Adelchi assume una sua nobiltà di eloquio che stride con il significato del verso, tutto giocato sulle allitterazioni. Il suono della sveglia finale forse intende comunicare il carattere onirico del tutto. Un sogno ad occhi ed orecchie aperte, che si pone nel solco della tradizione dei capolavori del nonsense: Alice in Wonderland, The Wizard of Oz, Tristram Shandy.
L’efficacia di una pièce di teatro musicale si misura anche dalla memorabilità delle sue sequenze, dei suoi numeri. Sarà che l’ho ascoltato un bel numero di volte, ma posso recitare quasi tutto Rap a memoria. E, non vorrei che adesso quello che ti dico ti desse alla testa, ma una cosa simile mi era capitata quand’ero ragazzino e mio padre mi aveva portato al cinema per vedere Aida interpretata da Sophia Loren. Mi ero innamorato al tempo stesso dell’attrice protagonista e dell’opera di Verdi. Avevo poi pregato mio padre che mi regalasse un disco dell’opera (anzi, più dischi 78 giri) e tutti i giorni cantavo tutte le parti improvvisando l’accompagnamento al pianoforte con grande delizia dei miei.
Come sai, Rap mi ha anche ispirato ben due quadri, il secondo dei quali è stato esposto ad una recente mostra a Bruxelles. L’ho giocato così: su un fondo di tipo labirintico ho tracciato un altro labirinto con alcuni frammenti del testo di Sanguineti, dai caratteri e colori diversi: naturalmente, citati a memoria.
Si, penso che Rap sia uno dei capolavori del teatro musicale dell’ultimo quarto del secolo.
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Carissimo Gianfranco,
per usare un altro classico sono letteralmente senza parole. Non so proprio come ringraziarti per ciò che hai scritto e quindi non so proprio come risponderti. Ogni mia parola sarebbe troppo piccola. Provo a cavarmela spostando il soggetto e pensando a Edoardo e alla sua scrittura apparentemente complessa da musicare. Ti allego una piccola riflessione, che mi è stata chiesta recentemente.
Chiunque abbia letto ad alta voce una poesia di Edoardo sa che, contestualmente, ha solfeggiato una partitura ritmica che fa da paravento a un canto. A chi desidera ascoltarlo, viene suggerito di procurarsi degli abiti da speleologo perché la Freud Promenade che scende nella grotta può essere piuttosto accidentata e complessa. Ma è proprio lì, al suo interno, che vengono custodite le minute dei canti travestiti, di tutto punto, da ballerini timidi in attesa. Il curioso si preparerà all’ascolto, il compositore li accompagnerà in superficie per farli cantare ma, soprattutto, danzare. Edoardo voleva fare il ballerino e l’ha fatto attraverso l’invenzione di una nuova modalità.
A seguire allego qualche stralcio del testo, per chi non ha il libretto di Rap (credo tutti i lettori di queste nostre corrispondenze), uscito con il cd per la Fonit Cetra Classic nel 1997 (ma credo non esista più la casa discografica). Un multiplo ringraziamento a Edoardo, Marianne e ovviamente a te per il vostro sostegno, interesse e notevole sense of humor che continua nei ricordi e nel futuro!
RAP_ 3 estratti
Inizio
Voce 1 (maschile) off:
Rotta è l’alta catena ottenebrante
Turbante di sirena lancinante
Furfante che ci esorta
E che ci scorta, li alla porta, a mano morta, di
matrici punitrici
Grassatrici da appendici:
Nane mamme marmellate, marmellate le gomme di
Gonne, martellate le donne cannoni castrate,
in soldoni di bottoni di calzoni:
Voce 1:
Alta è la turpe tubatura dura di tacchi di tabacchi, di
Sacchi, di spacchi di almanacchi:
Troncato è il tronco, tattile ma torto, dei pasti
Pederasti,
Coccolati cioccolati,
Ossigenati ottimati, operati, oberati di travi e di
Navi, di
Nodi di nevi da razzi,
di pazzi con cazzi di chiodi:
Voce 2 (femminile):
sarò la porta aperta che si perde (nel giro della
bocca che
si becca): (e che
Ti tocca): faro di vena vera (e vera sfera che spera):
e favo
(e fiato soffiato
fragolato): la culla della colla della cellula (che
dondola):
tuo velo (e cielo):
sarò il tuo piatto catafratto (affatto contraffatto):
(casa è
cosa, nel caso: (utero d’uso): (corno d’ariete,
lancia): (e
plancia): (e pancia):
sarò il tuo dente incontinente (il tuo sogno, il tuo
segno):
(e sarò un seno)(il tuo sogno, il tuo segno)(e sarò
un seno)
Zona centrale
Voce 1:
Maledetto sia il muto maccheronico
iconico intraironico & ipnotico
maledetto il mentulico meccanico
usufrutto di unghiatico & di uranico:
santosacrificata sia la sega
assunta in alfabeta & alfaomega
lubrificato lumacone lesso
benedetto sia il buco biconvesso
protoprometeo postperipatetico
umuncio da universo unipoetico
libero lazzi logici & luetici
con cazzo a chiazze, in cosmo da cosmetici:
pesco le porche pesche a pesce & a pera
utilizzando un umile uccelliera
se sesso fossi di sensato sasso
aguzzerei l’anguilla & l’ananasso
utile è un’ultimata urangoteca
superfluo è il superego se si spreca
lungando la mia lingua lecco in letto
cannellone cunnipeto, il cofanetto:
Irsuto intraprendente ippopotamo
nasuto nonsferatu nostradamico
lave lavo, lanoso & lugubretto,
almanacchi almanacco, affetti affetto:
laccio lenze di liscia lena l’amica
con conati di carne carnevalica
levo la leva, liquido il liquore
ampliando amplessi amareggio l’amore:
punzono a patta & a pari i petti e putte
uggioso ultroneo in umido uppercutte
limaccia lassa & luna leporina
che cresce in ciccia cogliona & caprina
inietto, infilo, infilzo, inchinavo, inchiodo,
inchinavo, inchiodo,
inchinavo, inchiodo,
inchinavo, inchiodo,
nutro & nitrisco, nascituro da un nodo:
Finale
Voce 3 off (enrico ghezzi):
Adesso seguo l’indice. Ma stavo per dire che
seguo la freccia. Perché ormai, l’avrai anche
capito, ci sono come due frecce, qui. C’è la
freccia della freccia micidiale, da una parte, e
c’è la freccia della mano indicativa, dall’altra,
che dice avanti, e che dice (continua), quasi.
Poi c’è della bandiera, in più, questa,
secondo me, non c’entra niente davvero, con
questa storia qui, anche se dice, se indica.
È un caso, che c’è.
Ancora grazie!
Andrea