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Quando un artista dice no: il significato della scelta di András Schiff

di Carlo Emilio Tortarolo - 21 Marzo 2025

Alcune notizie della blogosfera musicale non hanno dignità di stampa sui principali quotidiani italiani ma meriterebbero maggiore attenzione perché nel loro piccolo sono sintomo di una situazione globale più complessa di giorno in giorno sempre più sentita e a tinte drammatiche (n.d.r., nessun giornale italiano ne ha data ancora notizia).

Alcuni potrebbero dirmi ‘suona e basta’. Ma io non posso, in buona coscienza, farlo.

“Alcuni potrebbero dirmi ‘suona e basta’. Ma io non posso, in buona coscienza, farlo”. Il celebre pianista András Schiff ha recentemente annunciato (articolo del 19 marzo su The Violin Channel, n.d.r.) di non volersi più esibire negli Stati Uniti d’America, rinunciando agli ingaggi già concordati per la stagione 2025-2026. 

Non un problema logistico, né un improvviso cambio di rotta nella sua carriera, ma una scelta profondamente politica che affonda le radici in una convinzione personale meditata.

Schiff, noto nel mondo della musica classica sia per la sua straordinaria abilità interpretativa del repertorio classico sia per la sua integrità morale, ha dichiarato di ‘sentirsi moralmente obbligato ad annullare’ e di non sentirsi a suo agio nel clima politico attuale degli Stati Uniti.

La decisione di Schiff è una piccolo punta dell’iceberg delle insistenti tensioni politiche e sociali che stanno caratterizzando gli Stati Uniti, e di riflesso tutte le nazioni europee, sempre più polarizzati su politiche che, secondo il pianista, minano i valori democratici e umanitari a lui cari. 

Una perdita enorme per il mondo musicale americano, dato che Schiff è conosciuto a livello mondiale per una profondità interpretativa senza pari. Uno stile, il suo, non dedicato alla mera esibizione tecnico-virtuosistica, ma ad un’attenzione quasi maniacale alla struttura della musica, all’equilibrio e alla chiarezza del suono. Il suo approccio alla musica di Bach, ad esempio, è considerato tra i più raffinati degli ultimi decenni, con incisioni come le Variazioni Goldberg che sono diventate punti di riferimento per chiunque.​

“C’è un nuovo sceriffo in città. Che ha reso la città estremamente diversa”.

Una posizione anti-Trump? Schiff non lo cita direttamente ma, pur accettando il verdetto democratico delle urne dello scorso novembre e riconoscendo che il risultato del voto sia la voce del popolo americano, comunica di non riconoscersi più in quella voce.  

Una posizione in linea con i principi da Schiff che già in altre occasioni ha rifiutato di esibirsi in nazioni che manifestassero politiche totalitarie, a partire dal suo paese natale, l’Ungheria, criticando apertamente il governo di Viktor Orbán, o ancora, nel 2000, quando l’estrema destra austriaca entrò nel governo, rinunciando, in aperto contrasto alla scelta, alla cittadinanza austriaca.​

Schiff non è solo un pianista di talento, ma anche una persona profondamente impegnata nelle questioni sociali e politiche. Un uomo di musica la cui avversione per i regimi autoritari hanno reso le sue posizioni ancora più sentite, specialmente di fronte alla crescita dell’antisemitismo (Schiff è di origine ebraica) in alcune parti d’Europa. Una posizione che non lo ha difeso da insulti e minacce in Ungheria arrivando al punto da decidere di non esibirsi più in patria. 

“Non voglio suonare in un paese dove mi sento indesiderato”, dichiarò allora, mantenendo fermamente la sua posizione nel tempo.​

“Non viviamo in una torre d’avorio”.

Ma dove si ferma l’artista e dove inizia l’uomo? 

Pensare che le due anime siano separabili è indiscutibilmente naïve, anche da parte di un lettore poco avvezzo al mondo artistico. In un mondo in cui chiunque si sente in diritto di dire la propria opinione a mezzo social, anche su questo specifico argomento, perché un’artista dovrebbe essere un personaggio mitologico avulso dal proprio mondo? Solo perché segue uno scopo più alto che è quello dell’interpretazione musicale?

Un concetto ben esplicato da Schiff stesso in un estratto del suo comunicato. 

“Non viviamo in una torre d’avorio dove le arti non sono toccate dalla società. Arti e politica, arti e società sono inseparabili. In qualità di artisti, dobbiamo reagire agli orrori e alle ingiustizie del mondo. Non abbiamo imparato nulla dal corso della storia, anche recentemente come negli anni ’30 in Europa? Forse no.”

Un dibattito che con l’uscita di questa comunicazione torna prepotentemente di moda, vagamente assopito da quando l’Europa decise di non inserire determinati artisti russi considerati troppo vicini a Putin. Le fazioni, come sempre, si affrontano su lati opposti e paralleli: fra chi sostiene l’umanità dell’artista e quindi di essere prima uomo, con tutto il palinsesto di ideologie e pensieri, e chi sostiene che l’arte debba restare pura, lontana dalle controversie, uno spazio di rifugio e contemplazione, un momento idilliaco e paradisiaco di pace nel mondo. Una visione forse un po’ troppo idealizzata dato che la pace nel mondo non esiste da secoli e che anche per il territorio europeo, teoricamente in pace dal 1945, ha subito un punto di arresto con il rinfocolare del conflitto in terra ucraina. 

La scelta di András Schiff rappresenta un potente promemoria del ruolo che l’arte e gli artisti possono svolgere nel contesto politico e sociale, riportando la discussione sul ruolo dell’arte nella società e sulla responsabilità degli artisti nel loro tempo. 

Ci sono artisti per i quali la musica è inevitabilmente intrecciata con la società e la storia, un mezzo per esprimere dissenso o adesione a determinati valori e in cui suonare in un determinato luogo o contesto significa anche accettarne, in qualche modo, le condizioni politiche e culturali.​

Artisti cui il guadagno mancato da queste esibizioni è poco importante in confronto ad un messaggio specifico da dare ai propri ascoltatori. Se ne ricordino i contestatori che accusano gli artisti di guadagnare troppo o di poterselo permettere perché in passato hanno guadagnato, quasi come se fosse dovere del musicisti esibirsi per l’arte e non anche per un tornaconto economico.

Una discussione che, come è noto, spesso nel corso della storia sia tornata di moda, dato che da sempre alcuni musicisti hanno preso posizioni politiche, pagando spesso un prezzo molto alto per le loro idee, e in cui la diretta dipendenza dell’artista dalla politica non era una questione di morale o codice etico ma una reale necessità di sopravvivenza. 

Cambiando i secoli, aumentata la sensibilità su diritti e doveri in quanto cittadini e si spera anche sensibilizzati dai soprusi nei confronti di quelle categorie che negli ultimi cento anni sono state declassate se non addirittura sterminate per avere o non avere qualche caratteristica, la coscienza civile dovrebbe essere un sentire comune ma che trova ancora posizioni apparentemente lontane.

La scelta di András Schiff rappresenta un potente promemoria del ruolo che l’arte e gli artisti possono svolgere nel contesto politico e sociale, riportando la discussione sul ruolo dell’arte nella società e sulla responsabilità degli artisti nel loro tempo. 

L’arte e la musica sono una cosa seria ma lo è il mondo che le circonda?

Carlo Emilio Tortarolo

Autore

Direttore d'orchestra, pianista e manager culturale veneziano, Carlo Emilio è presidente di Juvenice - Giovani Amici della Fenice, associazione dai giovani per i giovani per la condivisione e la promozione degli spettacoli musicali, ed è segretario del Festival Pianistico ‘B. Cristofori’ di Padova.

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