Le compositrici del Palazzetto Bru Zane: a conversazione con Alexandre Dratwicki

A distanza di due anni dall’ultima intervista, siamo tornati a dialogare con Alexandre Dratwicki, direttore artistico del Palazzetto Bru Zane che ci ha raccontato la nuova stagione del Centre de musique romantique française.

Il Palazzetto Bru Zane, all’interno della sua missione legata alla musica francese romantica, si è sempre dimostrato interessato a valorizzare sia musicologicamente sia interpretativamente il repertorio delle compositrici. Come nasce questa scelta?

La missione del Palazzetto Bru Zane è sempre stata quella di valorizzare i compositori meno conosciuti e quindi all’interno di essi noi consideriamo alla stessa maniera le compositrici: allo stesso modo, sia che si parli di Cécile Chaminade sia di Félicien David.
Ovviamente siamo consapevoli che da qualche anno a questa parte sia a livello europeo sia mondiale si sente il bisogno di dare spazio a questa parte ‘dimenticata’ della musica classica. Noi che lo facciamo ben da prima, da più di dieci anni, ci siamo aggiunti ben volentieri a questo movimento molto importante, aumentando ancora di più la loro presenza nelle nostre stagioni e nelle nostre registrazioni.
Purtroppo però, per certi repertori, penso all’opera o alla musica sacra, è molto difficile avere un equilibrio fra compositori e compositrici in una stagione. Le compositrici non ebbero modo di confrontarsi con tutti i generi e, ovviamente, risulta impossibile oggi scoprire qualcosa che non esiste.

Una scelta ‘editoriale’ che vi ha portato quest’anno non solo a pubblicare un disco interamente dedicato a loro (ndr ‘Compositrices. New light on French Romantic women composers’) ma anche a dedicare l’intera programmazione del prossimo festival (1 aprile – 11 maggio). Cosa deve aspettarsi il pubblico e che cosa vi aspettate dal pubblico?

Il pubblico non deve aspettarsi nulla di nuovo rispetto a qualsiasi altra edizione, come già detto continueremo sulla linea precedente, ovvero nessuna differenza fra compositori e compositrici. Certamente, però, tranne qualche nome che ricorre spesso nei nostri concerti, ci saranno tante nuove scoperte che abbiamo messo sotto un unico nome di ‘Compositrici!’ ma l’intenzione ultima, negli anni che saranno, è quella di fare un festival dedicato a César Franck esattamente come uno dedicato a Mel Bonis.

Ma questa normalità è dovuta anche al lavoro che il Palazzetto fa oltre alla stagione: le edizioni stampate, la produzione discografica recente, persino tutto il lavoro con i media che chiaramente sono interessati a questo tipo di tematica ma che inevitabilmente devono trovare del materiale a disposizione per poterne parlare.
Facile dire ‘programmiamo più compositrici’, meno facile avere il materiale per riempire una programmazione radio, ad esempio, di sole compositrici.
Questo lavoro combinato permette di normalizzare questo repertorio e dà la possibilità di suonare, sentire e vivere la musica. E ora, grazie al Palazzetto Bru Zane, è possibile.

© Dettaglio del giardino del Palazzetto Bru Zane – Matteo De Fina

A quale delle compositrici si sente più legato e perché? C’è un brano in particolare di quelli che verranno proposti che si sente di consigliare al pubblico di Quinte Parallele?

Devo dire che in questi anni mi sono appassionato particolarmente alla figura di Mel Bonis.
Trovo che avesse raggiunto la modernità di Debussy nella musica orchestrale ma al contempo la sua musica per pianoforte guarda a Fauré e Chopin. È una pietra di volta fra il romanticismo e la prima modernità del Novecento.
Siamo anche fortunati che abbia composto in tanti generi diversi, anche con organici diversi. Veramente la più originale e interessante, per me.
Mi permetto di aggiungere anche Charlotte Sohy e Rita Strohl che stiamo appena ora iniziando a scoprire e su cui concentreremo una parte della nostra produzione editoriale.
Sui brani, invece, propongo quella che per me è una vera e propria esperienza sonora.
Il weekend inaugurale presenta due diverse opportunità: l’inaugurazione (sabato 1 aprile, ndr) a S. Giovanni Evangelista presenta un serie di brani per trio e pianoforte che ci restituisce una visione complessiva del nostro progetto sulle compositrici, mentre il concerto della domenica (domenica 2 aprile, ndr) sarà interamente dedicato ad un solo brano, Contes fantastiques per pianoforte di Juliette Dillon, compositrice sconosciuta morta purtroppo molto giovane. Sarà un’esperienza particolare e unica.

Se vediamo il considerevole numero di compositrici presenti nel Romanticismo Francese, fa strano pensare come in Italia ci sia un salto temporale straniante da Barocco e Classicismo (pensiamo a Strozzi, Leonarda) direttamente fino al Novecento (Elsa Olivieri Sangiacomo Respighi, Iditta Parpagliolo).
Partendo dal lavoro svolto dal Palazzetto, come potrebbe nascere una ricerca dedicata ad altre compositrici dimenticate?

Il primo problema che mi viene in mente è che spesso non viene sfruttata al meglio la musicologia per la programmazione.
I compositori che eseguiamo al Palazzetto hanno una importante bibliografia internazionale, siano essi libri o tesi di dottorato, e non solo nel tempo recente ma da più di cinquant’anni. Informarsi su questi autori e autrici oggi è molto facile, dato l’enorme potenziale di internet, ed è altrettanto immediato consultare direttamente questi testi o, se mancano delle fonti, leggere i giornali dell’epoca.
Dunque molto del lavoro di ricerca risulta già fatto o rintracciabile.

Il secondo problema che riscontro potrebbe partire proprio da quello che si legge nella letteratura del periodo. Scorrendo i giornali dell’epoca, si può notare come settimanalmente ci sia sempre un piccolo articolo che riporta del concerto privato di quella o dell’altra compositrice, a raccontarci di una normalità che doveva essere tale anche per la società del tempo. Allo stesso modo negli scritti di altri compositori i riferimenti alle colleghe sono abbastanza usuali. Giro la domanda: è lo stesso anche in Italia?
C’è comunque chi già ci sta lavorando. Penso alla Fondazione Adkins Chiti: Donne in Musica di Roma, ad esempio.

© Affresco del Palazzetto Bru Zane – Matteo De Fina

Oggi un numero sempre crescente di donne percorrono la strada della musica sia come compositrice che come direttrici d’orchestra. Esempi per le musiciste di domani che trarranno ispirazione, si spera, per seguire questo esempio. Secondo Lei potrebbero essere loro le persone più indicate per raccontare ed eseguire questo repertorio?

Sì e no. Il sì è abbastanza lampante ma chiarisco subito perché il no.
Una donna che suona il lavoro di un’altra donna può sfortunatamente sembrare un mero atto politico e non il risultato di un ragionamento artistico.
Penso, invece, che debbano essere proprio i musicisti maschi i primi a suonare le compositrici.

Poi tutti quanti bisogna andare nella stessa direzione, cambiando il discorso generale delle donne in musica. Certo tutte le compositrici, come ad esempio quelle presenti nel cofanetto di cui abbiamo parlato prima, hanno avuto difficoltà nella loro carriera ma si può vedere come alcune siano riuscite a superare, anche grazie al successo in vita o al loro ceto sociale, i decenni, mentre altre, che abbiamo voluto fortemente inserire nella registrazione, riemergono solo ora.

Torniamo al Palazzetto Bru Zane. Cosa possiamo aspettarci per il prossimo futuro? Quale sarà il prossimo obiettivo a cui vi dedicherete? Ci possiamo aspettare delle sorprese?

Quando c’è un anniversario importante, dobbiamo sicuramente pensarci e posso svelare che sia il 2024 e il 2025 vedranno questo tipo di tema. Per l’autunno, invece, cambieremo idea tematica, sarà un percorso di geografia mondiale e sulla musica francese di ispirazione globale.
Come Palazzetto Bru Zane devo dire che siamo molto fortunati. Non abbiamo necessità di creare novità sui temi dei Festival perché il lavoro che facciamo è di logica musicale: con tutti i compositori con cui abbiamo passato del tempo assieme, si tratta di tirer le fil rouge, riprendere il discorso.

Ultima domanda. Vedendo l’intensa e pluripremiata produzione operistica del Palazzetto Bru Zane non si può non notare come fra i tanti paesi internazionali manchi proprio l’Italia a cui il Palazzetto è così legato per la sede veneziana. Ci può svelare se qualcosa bolle in pentola a riguardo?

Noi aspettiamo con molta impazienza che partner italiani ci propongano qualche progetto. È qualcosa di molto difficile in questo periodo ma devo dire che sembra che in un paio di anni ci possa essere spazio per qualcosa. Aspettiamo e vediamo!

 

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