L’avventuroso racconto di Ernani

La Fenice di Venezia mette in scena l’appassionato capolavoro giovanile di Verdi

Il bandito Ernani torna sul palco del Teatro La Fenice, lo stesso palco che ospitò l’opera di Giuseppe Verdi per la prima volta 179 anni fa. La nuova produzione, di cui ho assistito alla recita del 25 marzo, vede alla direzione Riccardo Frizza, ormai un punto di riferimento nel repertorio, e alla regia il trentacinquenne Andrea Bernard, salito all’attenzione internazionale con la vittoria dello European Opera-directing Prize nel 2016 e da allora sempre più presente nei cartelloni italiani ed internazionali.

Alle prese con il focoso e giovane Verdi, regista e direttore sono riusciti a districarsi con abilità nel mantenere un equilibrio godibilissimo. Frizza sceglie tempi spediti ma non corre, trova ottime sonorità nell’Orchestra della Fenice ma non illanguidisce, si scalda negli ampi slanci melodici, ma non banalizza né lascia briglia sciolta ad orchestra e cantanti, riuscendo a dare all’opera struttura e visione. Queste vanno però a scapito di un insieme buca-palco non sempre impeccabile, che soprattutto nel coro ha visto diversi inciampi, in particolar modo nei primi due atti, mentre sorprende l’implacabile gesto di un esperto donizettiano come Frizza, che nel mettere in moto il congegno sembra a tratti travolgere i cantanti, senza dar loro respiro. Per contro, Frizza riesce a donare leggerezza, scorrevolezza e una fluidità sorprendente ad Ernani, superandone a grandi falcate anche le giustapposizioni più forzate e le ruvide transizioni, facendo anzi emergere le intuizioni che Verdi già distribuisce a piene mani nell’orchestrazione.

 

Ernani

Ernani, Don Carlo ed Elvira. Ph Silvestri.

 

Questo equilibrio caratterizza anche lo spettacolo di Andrea Bernard, che sembra privilegiare prima di tutto una dimensione essenzialmente narrativa. Con furbizia, il regista bolzanino riesce a costruire uno spettacolo coerente e lineare, dosato con gusto, che non si ferma ad una superficie scintillante ma autocompiaciuta né ad un simbolismo esasperato. Anche il personaggi di Ernani è ciò che è, con i suoi tormenti, i suoi scatti appassionati e le sue evidenti pulsioni suicide – non passa scena in cui non chieda a qualcuno di ammazzarlo finché, finalmente, quella buon’anima di Silva non decide di esaudirlo. Il destino è un congegno di cause ed effetti, in cui l’eredità dei padri si riflette nella vita dei figli. Questo Bernard lo sottolinea bene con il video che, durante l’ouverture, ricostruisce l’antefatto con un video in bianco e nero in verità un filo troppo enfatico, ma che dà alla produzione un carattere da film vecchio stile, epico senza grandi complicazione, come ha ben notato il signore seduto di fronte a me a fine spettacolo, quando ha paragonato Ernani a Star Wars. Il parallelismo in realtà funziona su più livelli. Come in Star Wars la fanbase più ortodossa cerca insondabili profondità nella trilogia originaria (nascondendo la verità, ossia che guardiamo Star Wars per vedere le astronavi fare pew pew ed esplodere nello spazio), anche in Ernani perdersi in astratte riflessioni rischia di tradire lo spirito dell’opera.

Rileggere a posteriori l’opera di Verdi, scavando alla ricerca di anticipazioni dalla produzione più matura, quasi chiedendo scusa e cercando giustificazioni per l’ardore persino naïve con cui Verdi e Piave sgambettano nella tragedia (altrettanto ardimentosa, ma ancora più grottesca) di Hugo. Creare la giusta atmosfera, equilibrare tridimensionalità e linearità e in sostanza accogliere Ernani così com’è, potrebbe essere il principale pregio della produzione Frizza-Bernard. Una produzione che attinge anche dagli splendidi costumi di Elena Beccaro, che nel gioco dei colori aiutano ad orientarsi nei subitanei cambi di fazione (bordò, rosso, arancione, infine il giallo di Carlo imperatore), e dalle buone scene di Alberto Beltrame, oniriche e spezzettate, e dalle luci di Marco Alba, funzionali e non banali, anche se a tratti un po’ farraginose nelle transizioni.

 

Ernani

Tutti celebrino Pertusi-Silva! Ph Silvestri.

 

Il cast funziona. Svetta la Elvira di Anastasia Bartoli, capace di disegnare con forza le spericolate impennate della parte. La cantante veronese non sarà campionessa di finezze ed eleganza, ma canta e canta bene. La voce è solida e ben proiettata, seppur a tratti un po’ spinta, l’intonazione è quasi chirurgica e il soprano non sembra particolarmente in affanno né sulle zampillanti agilità né quando deve sovrastare orchestra e coro insieme. Piero Pretti indossa i panni del bandito Ernani con sicurezza, dando una prova non esente da sbavature e un po’ di fatica, ma comunque dritta al punto, efficace e (cosa forse più importante di tutte) capace di rendere il personaggio con buon carisma e convinzione. Meno riuscito il Don Carlo di Ernesto Petti, che di voce ne ha e pure tanta, ma l’emissione non sempre controllata e l’appoggio un po’ instabile ne rendono l’intonazione spesso precaria e l’esecuzione risulta a tratti slabbrata, senza che emerga chiaramente un’idea di dove condurre il personaggio. Un problema emerso soprattutto nel terzo atto in cui i tormenti interiori di Carlo (tra appetiti ferini e aspirazione alla virtù illuminata) dovrebbero donare al futuro il suo necessario spessore. Ovazioni per il Silva di Michele Pertusi, che spicca per dignità e dominio del suo strumento, riuscendo a costruire un personaggio credibile, orgoglioso e altero, mai ridotto a macchietta. Bene la Giovanna di Rosanna Lo Greco e, per quel poco che canta, lo Jago di Francesco Milanese, mentre in difficoltà il Don Riccardo di Cristiano Olivieri. Bene, al netto delle imprecisioni segnalate, il Coro del Teatro La Fenice preparato da Alfredo Caiani, in particolare le donne. In ogni caso, il teatro praticamente sold out non ha risparmiato applausi per tutti.

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