Luigi Ceccarelli: "Amelia Rosselli, un mondo di suoni, allo stesso tempo musica e parola"

Intervista al docente, compositore e artista, che porta in scena la voce della poetessa Amelia Rosselli.

Dopo la fisarmonicista Fanny Vicens, in vista dello spettacolo Se resistere dipende dal cuore, ascoltando Amelia Rosselli, che andrà in scena il prossimo 15 dicembre al Mattatoio La Pelanda, per il 59° Festival di Nuova Consonanza, abbiamo intervistato per voi il compositore Luigi Ceccarelli, cuore pulsante della tessitura sonora e musicale dello spettacolo. Insieme ad Elena Bucci porteranno in scena questa performance che partendo dai versi, dalle poesie ma soprattutto dalla voce registrata della poetessa Amelia Rosselli, condurrà lo spettatore in un mondo altro di suoni. Testo e musicalità, sillaba e suono, travalicheranno le proprie singole possibilità per unirsi e diventare qualcos’altro, perseguendo proprio quell’idea di poesia musicale propria della poetessa italiana.

Elemento principale della poetica di Rosselli è anche la solitudine, e la voce in essa è la nostra unica compagna; negli ultimi anni diverse volte abbiamo fatto i conti con questi tipi di solitudine, dal lockdown a chi, dopo l’esperienza del Covid, ha deciso di continuare a vivere in questa sorta di solitudine ovattata. Quanto il lockdown ha influito sulla nascita di questo progetto? E quanto oggi, secondo te il valore positivo della solitudine, come interpretata da Rosselli, andrebbe riscoperta, in controtendenza alla pubblicizzazione della nostra vita a tutti i costi? E come l’avrebbe affrontata lei questa società?

La solitudine di Amelia Rosselli non era una solitudine culturale e soprattutto non era una solitudine cercata, piuttosto una conseguenza della sua malattia e prima ancora delle vicende familiari. Mi sembra invece che lei fosse inserita nell’ambiente culturale del tempo e avesse rapporti con molti poeti, musicisti e artisti suoi contemporanei. L’ambiente culturale romano degli anni ‘50 e ‘60 era molto più coeso di oggi, gli artisti si conoscevano tutti e si frequentavano assiduamente in molti locali del centro di Roma che ora non esistono più, essendo stati sostituiti da negozi commerciali e centri di business. Amelia era pienamente partecipe della intensa vita artistica della Roma di allora. Certo con dei limiti, uno tra i quali la sua spiccata profondità e originalità intellettuale, che anche se comunemente è considerata una qualità, nella realtà della vita sociale crea sempre problemi di relazione, certamente non desiderati da chi ne è affetto.

Credo che la solitudine sia necessaria a tutti perché è l’unica via per arrivare ad una profondità del pensiero e per poter compiere con successo il proprio lavoro. Ma a un certo punto chiunque realizza opere creative ha la necessità di comunicarle agli altri, e questo significa essenzialmente socializzare, cercare di comunicare con gli altri.

Oggi si tende molto alla pura comunicazione, senza dare alcuna importanza al contenuto del messaggio. Siamo spesso posti davanti a contenitori confezionati in modo mirabile che sono completamente vuoti. Un poeta come Amelia Rosselli avrebbe una vita ancora più difficile.

Riguardo all’influenza del lockdown sul lavoro che andiamo a presentare, devo dire che è stato un elemento in parte positivo. Soprattutto nel primo periodo del lockdown mi sono trovato con molto tempo a disposizione per lo studio e la progettazione dei miei lavori e senza la pressione di tante altre cose da fare.

Per contro, stiamo sperimentando quanto si sia ulteriormente rarefatta proprio quell’atmosfera di comunicazione tra arti e artisti della quale abbiamo desiderio e forse nostalgia, pur non avendola conosciuta e che, nonostante si esprima spontaneamente e in spazi di libertà, nutre ispirazione e qualità del lavoro.

L’idea di Rosselli di intersezione tra poesia e musica era molto forte, il legame che lei attuava tra la sillaba come unità di suono e non solo come unità di testo era fortissimo: come avete provato a riportare questo nello spettacolo? Cosa ha sfruttato o avete sfruttato, della sua voce, del suo modo di leggere le poesie, che è un modo molto musicale, per mettere in scena questo spettacolo?

Questo spettacolo non è esattamente uno spettacolo su Amelia Rosselli, piuttosto siamo partiti da lei, dai suoi testi e dalle sue idee per compiere una ulteriore evoluzione del suo linguaggio, cercando in questo modo di rispettare le sue idee che si sono basate sempre sulla ricerca e sull’elaborazione continua.

In effetti io ed Elena cerchiamo di portare ad un ulteriore livello di complessità e ad una completa fusione la relazione tra musica e testo proseguendo la strada da lei tracciata. Una ricerca che è iniziata con le avanguardie storiche all’inizio del ‘900 e che ora le arti digitali hanno reso possibile.

Del suo interesse sul rapporto tra poesia e musica Amelia Rosselli era debitrice ai suoi studi musicologici ma anche alla frequentazione della musica contemporanea, perciò il sistema metrico e ritmico era diventato uno degli elementi di base delle sue opere.

Dal punto di vista della lettura, i poeti ancora oggi restano troppo spesso molto distanti da una vocalità adeguata, non hanno quasi mai una educazione vocale per una buona lettura, e questo vale anche per i loro stessi versi. La voce di Rosselli era molto particolare, perché ha sempre mantenuto un accento vagamente straniero, soprattutto dato dalla sua erre francese, che la rendeva molto musicale. E questo, nonostante tutto, la rendeva una lettrice a volte affascinante.

Come avete affrontato la preparazione a questo spettacolo, come se aveste a che fare con una partitura oppure con un testo scritto?

La preparazione dello spettacolo si è svolta in due fasi. La prima è stata quella della conoscenza, dello studio della poesia di Rosselli e delle sue idee. Abbiamo cercato di capire le sue logiche, anche se spesso non è facile, in quegli anni era molto difficile la formalizzazione dei suoi concetti, già soltanto ipotizzarli è stato un passo gigantesco. Per esempio il suo scritto teorico “Sistemi Metrici”, ha molti lati che sono incomprensibili.

Nella seconda fase ci siamo posti una domanda: dove ci porta oggi la sua poetica e la sua teorizzazione? La soluzione è quello che vuole rappresentare il nostro spettacolo. Dopo aver impostato il nostro progetto ci siamo resi conto che stavamo realizzando una performance che non era un’opera teatrale, un concerto o una recita di poesie. Abbiamo cercato una via che mettesse allo stesso livello tutte queste cose creando una sintesi del tutto – In questo lavoro non mi sento il compositore, ed Elena non è una attrice, siamo due esploratori in un mondo di suoni che sono allo stesso tempo musica e parola.

La costruzione di questo spettacolo combina più elementi contemporaneamente. C’è una partitura che abbiamo costruito come una struttura a pannelli, che non segue una cronologia o un discorso consequenziale. E i pannelli vengono messi in relazione tra loro in modo astratto come una partitura musicale. Elementi costitutivi dei pannelli sono i vari testi che abbiamo arbitrariamente scelto ed elaborato partendo dalle poesie ma anche dalle interviste di Rosselli. In tutto questo ci sono elementi di costruzione formale molto rigorosi ma anche una grande libertà arbitraria.

Quanto la sua predilezione al digitale e il suo collegamento con altre arti ha permesso una interazione più facile con l’arte di Rosselli? Quando vi incontravate e parlavate di musica, cosa si diceva a riguardo? Quali erano i suoi interessi e in cosa vi trovavate in comunanza di idee o in disaccordo?

Sono sempre stato molto legato alle altre arti, la musica che ho creato molto spesso è in relazione con la danza, il teatro, il cinema e la letteratura, e sicuramente le arti digitali aiutano moltissimo l’interazione tra tutte le arti. In questo lavoro che io ed Elena abbiamo realizzato ed interpretiamo, la nostra interazione dal vivo è realizzata completamente tramite il mezzo digitale. Io memorizzo la sua voce dal vivo e la ripropongo all’ascolto elaborata nel tempo, nel timbro e nello spazio; lei ascoltando il risultato interagisce con la sua voce riprodotta e così si creano continue variazioni momentanee. Molto è lasciato all’improvvisazione, alle suggestioni del momento, anche se il tutto è imbrigliato come già detto in una struttura precisa. Questo era il metodo di lavoro usato anche da Rosselli.

Il mio rapporto con Amelia Rosselli non ha mai riguardato la musica, ma si parlava quasi esclusivamente dei i suoi testi. Ci siamo incontrati nei primi anni ‘80, io ero molto giovane ed ero piuttosto intimidito da lei, dal suo carattere molto riservato, dalla sua poca loquacità, ma soprattutto dal suo carisma. La incontravo spesso, anche per strada, ma soprattutto al teatro “Altro” dove abbiamo creato uno spettacolo insieme a Lucia Latour ed alle sue danzatrici. Un ambiente molto stimolante in quegli anni, dove non si incontravano teatranti, ma nel quale lavoravano insieme artisti di ogni linguaggio artistico nella ricerca di un unico linguaggio “Intercodice”. Io sono cresciuto culturalmente in questo ambiente e anche Rosselli, seppur con le sue particolari modalità, ne era parte.

La voce secondo te è uno strumento come tanti altri o nella tua poetica ha un trattamento riservato? Come viene trattata nelle tue composizioni e come viene trattata in quest’opera?

La voce non è uno strumento come gli altri, è molto di più. La possibilità di esprimere suoni che non hanno soltanto valore acustico o musicale, ma di esprimere parole che hanno significati e concetti precisi va molto oltre le possibilità espressive di uno strumento musicale.

Moltissima parte delle mie composizioni comprende la voce. E soprattutto ho sempre prediletto la voce parlata al canto. Trovo che nella cultura occidentale la musica consideri il timbro vocale in modo riduttivo, considerandone prevalentemente gli elementi armonici consonanti, e riducendo quindi le considerazioni estetiche agli aspetti melodici. Oggi non è più veramente così, nella musica contemporanea colta, ma anche nella musica di consumo si fa sempre più uso di timbri vocali non armonici. Ma i pregiudizi spesso sono duri a morire.

In quest’opera vengono utilizzati quasi esclusivamente suoni derivati dalle parole. Non ci sono né strumenti musicali né strumenti elettronici che producono suoni. Certo il suono della voce viene continuamente elaborato digitalmente, ma non si perde mai la riconoscibilità del suono vocale. Come in tutte le mie opere la composizione musicale è pensata e realizzata sì tramite strumenti digitali, ma a partire esclusivamente da suoni naturali. Trovo i suoni elettronici troppo astratti e troppo semplici, senza storia.

Quello che ci affascina del suono non sono tanto le sue proprietà fisiche, il timbro, l’altezza, la dinamica, ma è soprattutto la rievocazione ancestrale a darci emozione, il suono si porta dentro la storia dell’umanità.

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