L'anima del trombone

C’è una boutade tra le più note tra chi frequenta le orchestre, che incoraggia i direttori a non guardare mai verso i tromboni per non incoraggiarli a fare ancora più rumore.

La frase è attribuita nientemeno che a Richard Strauss, che pure con i tromboni aveva una certa confidenza, ma è interessante perché ci regala un tipico cliché che accompagna questo strumento: il trombone è uno strumento fatto apposta per fare rumore.

trombone

C’è però chi si è messo in gioco per smentirlo, questo cliché. È il caso di Francesco D’Urso, che con il suo disco Paradise Bone si è imbarcato in una sfida di far sentire l’anima più profonda e intimistica del suo strumento. Il trombonista, di origini pugliesi, è da anni colonna portante di grandi orchestre svizzere come la Sinfonietta di Losanna e l’Orchestra da Camera della stessa città, nonché docente presso il Conservatorio di Ginevra.

Nelle undici tracce di cui è composto “Paradise Bone” il trombone si allea di volta in volta con vari strumenti per trovare voci sempre nuove: così si passa dalle Deux Danses di Defaye, in cui il trombone fa da contrappunto ad un quintetto di fiati e percussioni, a un più tradizionale Trombone e Pianoforte nel Concertone di Saglietti fino ad un incredibilmente lirico arrangiamento della celebre Meditation da Thais di Jules Massenet, in cui il trombone adagia il suo canto su un delicato tappeto sonoro di arpa. Tra tutte le proposte di questo disco spicca forse per originalità “Per il mio cuore” di Alexandre Mastrangelo. Qui il trombone duetta con la voce sopranile, in un brano che si apre a metà strada tra inno e fanfara, in cui però la voce e l’intensità del testo lirico richiamano quasi alla mente dell’ascoltatore echi della musica antica; si staglia poi un passaggio solistico e virtuosistico del trombone solo, a cui segue una meditazione quasi da recitativo. Certamente aiuta il fatto che il brano sia stato composto da un trombonista, ma comunque non è poco per uno strumento che dovrebbe fare solo massa sonora.

E proprio grazie all’eterogeneità di questi compagni di viaggio si esalta di volta in volta una caratteristica diversa del trombone solista, che mostra sfaccettature imprevedibili ma al tempo stesso fa risaltare di luce nuova gli altri strumenti con cui dialoga.

E il dialogo si ritrova anche in un ulteriore punto saliente di questo progetto: nell’eclettico mix di brani di cui è composto il disco, si trovano anche musicisti appartenenti a diverse culture, sia tra gli interpreti che tra i compositori.

Così l’ensemble Kaboul, artisticamente figlio dell’Asia centrale, accompagna Tromtchi di Khaled Arman, dimostrando quanto possa essere fertile l’incrocio di culture musicali così distanti e in un repertorio così originale.

Paradise Bone è disponibile online su Spotify e tutte le principali piattaforme discografiche online.

Il sito web di Francesco D’Urso è disponibile a questo link.

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