Il folle volo dell'Orchestra Orfeo

Autori cronologicamente vicini come Tchaikovsky, Arensky, Elgar e Fuchs vengono interpretati dall'Orchestra Orfeo con una straordinaria varietà timbrica.

Music for strings – Tchaikovsky, Arensky, Elgar, Fuchs è l’ultima titanica impresa discografica dell’Orchestra Orfeo, diretta dal giovane Domenico Famà.

L’orchestra, nata nel 2020 a Catania, sotto la guida del sopracitato Famà, è formata da tutti giovani e talentuosi musicisti e si pone come obiettivo quello di lavorare spaziando lungo tutto il repertorio, dando pari importanza a tutti i periodi storici della musica, dal Barocco alla musica contemporanea, facendo particolare attenzione alle varie prassi esecutive di ogni periodo storico.

Il CD è targato Brilliant Classics, etichetta che lo scorso anno ha selezionato questa orchestra per un progetto discografico in orchestra d’archi.

Il risultato è stato un folle volo attraverso l’Andante cantabile op. 11 per violoncello e orchestra di Pyotr Ilyich Tchaikovsky, che è una trascrizione, fatta dal compositore stesso, di un suo precedente lavoro, il secondo movimento del primo quartetto per archi op. 11, le Variazioni su tema di Tchaikovsky op. 35a di Anton Arensky, anche queste una trascrizione di Arensky del secondo movimento del suo secondo quartetto (scritto a tributo dopo la morte di Tchaikovsky), l’Elegia per archi op. 58 di Edward Elgar e la Serenata n. 3 di Robert Fuchs.

Scendiamo nei particolari, tappa dopo tappa, di questo folle volo.

Tchaikovksy

L’Andante cantabile di Tchaikovsky ha visto come solista il primo violoncello dell’Orchestra Orfeo, Giulio Nicolosi. Questo brano, come si è detto, è una trascrizione del secondo movimento del primo quartetto del compositore. Il primo ad operare una trascrizione di questo movimento, a soli due anni dalla composizione del quartetto non fu però Tchaikovsky, ma il violinista Leopold Aurer, che lo trascrisse per violino e pianoforte. Questa fu la prima di moltissime trascrizioni, tra cui appunto quella in oggetto. Il motivo della grande fama di questo movimento è da ricercare nel suo lirismo cantabile (appunto), dai timbri caldi, non frenetici, nonostante la sua origine popolarissima. Il tema principale è infatti il canto popolare russo Vanja siede sul divano e fuma una pipa, ascoltato da Tchaikovsky nel 1869 nella campagna di Kamenka. L’Orchestra Orfeo ha saputo rendere giustizia al ricordo bucolico di questo tema, grazie a una cura molto dettagliata e attenta dei timbri di ogni membro dell’orchestra. Il solista, infatti, nell’esporre il tema iniziale non ha avuto necessità di forzare il suono per spiccare, ma, grazie sicuramente all’abilità del direttore Famà di coinvolgere l’orchestra nel più delicato dei piano, ha potuto cantare il tema in una dinamica consona allo scuro timbro ricercato. La parte centrale, di transizione, rimane in una sospensione continua grazie all’accuratezza degli archi scuri nel rendere i pizzicati sia un motore portante del violoncello, che si fa più cupo, meditativo, nelle intenzioni di Nicolosi, e sia un dubbio continuo, un puntare verso l’alto, ma esitare nel farlo, e ritentare, giostrato perfettamente dal piccolo impulso sulla prima delle tre note pizzicate, e il diminuendo graduale nelle restanti due. La ripresa è invece affermazione, il tentativo di puntare in alto è stato dunque raggiunto, e il suono pieno, dolce, morbido che prima era fatto risaltare nel violoncello solista è suonato da tutta l’orchestra, in brevi frasi, tutte affermative, piene di suono, dal timbro pastoso, pieno di un sogno concreto, che inizia a svanire quando il violoncello viene lasciato solo, nonostante cerchi di trattenerlo con la ripetizione del motivo iniziale, un dolce risveglio è quello che l’orchestra regala con l’ultimo accordo, dal timbro più brillante, conclusivo, sempre in una egregia dinamica di piano.

Arensky

Le Variazioni su tema di Tchaikovsky op. 35a di Anton Arensky sono divenute più famose nella loro versione per orchestra, che ascoltiamo in questo CD, che non come movimento centrale del secondo quartetto di Arensky. Il tema di partenza, che dal titolo si deduce essere di Tchaikovsky, è quello della n. 5 delle 16 canzoni per l’infanzia op. 54, la Legenda. Arensky, come il suo ispiratore era un gran conoscitore delle canzoni popolari russe, non solo profane, ma anche di chiesa, era infatti molto interessato all’intonazione salmodica e al suo utilizzo. Questo doppio aspetto, tra il sacro e il profano, a cui si aggiunge il tributo a Tchaikovsky, si percepisce bene in queste Variazioni, ed è resa dall’Orchestra Orfeo attraverso una attenzione ai timbri, ma anche, cosa degna di un plauso maggiore e di grande lode, alla tenuta dei suoni, il suono dell’orchestra è teso ed è presente fino in fondo, nessuna nota, nessun suono è lasciato andare, nulla è considerato meno importante, come unica massa sonora l’orchestra si muove tra le dinamiche in maniera compatta, univoca. L’aspetto sacro, voluto da un grande e denso lirismo e ricorso a lunghe melodie, della composizione è sempre rispettato, anche quando la scrittura generale è più energica e più brillante. Un esempio tra tutti per questo aspetto può essere la Variazione II, dove il timbro degli archi scuri, con tema molto timbrato e pizzicati riempitivi di lirismo non sono assolutamente, nella direzione di Famà, penalizzati dai virtuosi tecnicismi brillanti dei violini, che, pur dovendo essere considerati di “accompagnamento”, non risultano essere in secondo piano, viaggiano piuttosto su due binari paralleli, evidenti e ben distinguibili, ma non invadenti gli uni con gli altri.

Elgar

L’Elegia per archi op. 58 di Edward Elgar fu composta nel 1909. Ad Elgar era stato chiesto un pezzo breve per commemorare il Reverendo Robert Hadden, membro della Worshipful Company of Musicians, scomparso prematuramente. Destino volle che questa richiesta arrivò a un mese dalla scomparsa del caro amico di Elgar, August Jaeger (per lui il Nimrod delle Variazioni Enigma), quindi la composizione racchiude non un dolore generico, ma un dolore molto ben indirizzato, e molto personale. Un dolore che però risulta essere contenuto nella tonalità di impianto del pezzo e nella chiusura in “felicità” di Do Maggiore. Non, quindi, una sofferenza patetica (nel greco senso del termine), da struggimenti e lacrime insostenibili, ma un dolore lieve, di un ricordo, un’aria serena, luminosa, rinata. Complice certo la scrittura e la struttura del breve pezzo questa serenità e lievità è resa dalla bacchetta di Famà e dal suo organico con un suono molto arioso, un notevole cambio di timbro rispetto ai due precedenti autori che compongono il CD, da un suono denso, scuro, molto timbrato, a un’aria costante nel suono di tutte le sezioni, mai interrotto, acceso, lieve, sempre ben legato, che rendono un dolore un malinconico ricordo, con un sorriso sul volto.

Piccola curiosità, questa elegia è suonata ogni anno nella Cattedrale di Saint Paul a Londra dalla Worshipful Company of Musicians, in ricordo di tutti i membri della compagnia scomparsi nel corso dell’anno.

Fuchs

Ultima, ma non ultima, composizione del CD è la Serenata n. 3 di Robert Fuchs. Fuchs fu un grande didatta e un ottimo compositore, riconosciuto come tale da suoi allievi e contemporanei come ad esempio Gustav Mahler e Johannes Brahms (Brahms diceva di lui e della sua musica “Fuchs è uno splendido musicista, tutto è così bello e così abile, inventato in modo così affascinante, che uno è sempre contento”). Poca fama ebbero le sue composizioni, ma di certo le più famose sono le Serenate, in tutto cinque, di cui abbiamo ascoltato in questo CD la terza. Quest’ultima è dedicata a Elizabeth Habsburg, imperatrice d’Austria ed è divisa in quattro movimenti (Andante sostenuto, Menuetto, Allegretto grazioso, Finale alla zingarese – Allegro con fuoco). Di nuovo, a costo di risultare ripetitiva, un enorme plauso va fatto all’Orchestra Orfeo e a Domenico Famà per la qualità del timbro dell’orchestra e della sua sonorità. Pur sembrando un CD composto da autori cronologicamente vicini, sono molto differenti nello stile e nella richiesta di suono finale, e, come fossero organici diversi, l’Orchestra Orfeo rende più che giustizia a tutti i tipi di suono e di timbro richiesti. In questo caso specifico il suono doveva risultare più denso dell’appena lasciato Elgar, ma non cupo e scuro come i due russi, ma anzi brillante, chiaro, limpido, nonostante l’apertura misteriosa, che già si preannunciava a lieto fine con la scoppiettante zingarese. Immancabili, e difatti non mancano, grandi escursioni dinamiche da parte degli esecutori, che si destreggiano tra temi cantabili e rapidi virtuosismi mantenendo sempre il carattere brillante della serenata.

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