Ego te absolvo, la divina perdonanza

A Nuova Consonanza "Ego te absolvo", atto unico di Roberta Vacca su testo di Cinzia della Ciana. Ne abbiamo parlato con le autrici.

Si sta svolgendo in questi giorni la cinquantanovesima edizione del Festival di Nuova Consonanza, una stagione all’insegna della narrazione, dell’innovazione e della contemporaneità, intesa in tutte le sue accezioni. Il titolo dalcroziano del Festival, “Musica in movimento”, incarna infatti appieno lo spirito di Nuova Consonanza: un moto perpetuo proiettato in avanti e una finestra sempre aperta sull’orizzonte.

Dopo i primi incontri, si prosegue il 26 novembre in un altro luogo esemplare della capitale, il Teatro di Villa Torlonia. Qui prenderà vita l’allestimento di Ego te absolvo, un atto unico per due attori, danzatrice, violoncello, voce, live elettronics ed elettronica, composto da Roberta Vacca, su testo di Cinzia della Ciana, con la mise en éspace di Pierpaolo Mancinelli. Concepito nel 2021 e poi rivisitato e rimodulato per Nuova Consonanza, quest’atto unico presenta la fusione alchemica fra danza, poesia, arte e musica.

Ancora una volta il teatro rende possibile l’impossibile, riabilitando anche nelle arti un nome che per troppi anni è stato oscurato dalla severa sentenza di Dante. Ego te absolvo mette in scena infatti un dialogo immaginario tra il Sommo Poeta e Celestino V, che prende vita dall’equivoco generato dal famoso verso del III canto dell’Inferno “colui che fece per viltà il gran rifiuto”. Il lavoro di Roberta Vacca e Cinzia Della Ciana rappresenta così anche un viaggio misterico che passa per la ricerca, l’introspezione e infine giunge al perdono.

Quinte parallele ha incontrato per voi la compositrice e l’autrice del testo.

Maestro, come nasce l’idea di questo progetto?

Inizialmente il lavoro nasce da una richiesta specifica per la ricorrenza dei settecento anni dalla morte di Dante. Per cimentarmi in questo lavoro mi sono confrontata con il mio conterraneo Angelo de Nicola, giornalista nonché appassionato studioso, che ha dedicato molta attenzione alla rivalutazione della figura di Celestino V al di fuori del Canto III dell’Inferno.

Nasce così Ego te absolvo, un atto unico, nel quale ci troviamo di fronte all’incontro fra Celestino V, al secolo Pietro da Morrone, e Dante Alighieri. Nel dialogo Dante, irrimediabilmente consapevole della propria grandezza, resiste a riconoscere di aver commesso peccato, e cerca di trovare altra giustificazione che lo svela politicamente coinvolto mentre Celestino V, guida delle anime, trova la soluzione in nome del “perdono”.

Il dialogo, che è in vero un acceso contraddittorio in cui quest’ultimo rivendica la propria forza di volontà e di scelta, nonché il valore della “perdonanza”, è punteggiato da alcuni interventi del coro dei Templari che ripetono il loro motto, al modo del coro della tragedia greca.

Un’opera dunque che affonda le sue radici nel passato e nella tradizione classica, da voi però riproposta in chiave molto moderna.

Anzitutto partirei dalla sua definizione: non si può considerare tanto un’opera, quanto più un’operazione di teatro musicale. Il concetto di opera infatti ci rimanda a qualcuno che canta. In questo lavoro c’è una parte cantata, affidata però in modo completamente anticonvenzionale ad una strumentista, per questo allestimento Flavia Massimo, che si inserisce nella recitazione dei due personaggi principali. La voce, si va a sommare a quella di Celestino, quasi fosse un alter ego, che si eleva anche al di sopra di tutto.

Anche la danza ci proietta nella contemporaneità, per questo allestimento affidata a Gaia Tinarelli, che interpreta con il suo ruolo una sorta di anima, asessuata, appartenente all’uno e all’altro personaggio. Nello spettacolo, muove lo spettatore tra le pieghe dell’anima, sottolineando testo e azione, celando gli atteggiamenti opposti: quello esteriore di Dante, e quello interiore di Celestino. I due hanno come legame di fondo la comune ricerca della verità, quasi fosse un basso continuo che percorre i pensieri e le vite di entrambi. Inoltre la danza da un’immagine corporea ad un terzo personaggio non presente in scena, il coro dei templari, che rappresenta la folla, e simboleggia ciò che siamo noi oggi: un gruppo di persone che ne segue un altro in cui si riconosce, e che ritiene possa essere una guida.

Altro elemento moderno è la mise en éspace, articolata in cinque quadri che dividono l’opera e vengono materialmente espressi in scena. Realizzati da Pierpaolo Mancinelli, artista che ha svolto una serie di studi sulla luce, servendosi del pc e utilizzando il mouse al posto del pennello. I quadri articolano il procedere dello spettacolo e dello stesso testo, e gli stati d’animo in evoluzione dei due personaggi.

Come mai la scelta del violoncello come unico strumento?

Sin dal principio ho avuto la necessità di utilizzare uno strumento solo, che fosse una voce ma allo stesso tempo fosse funzionale anche al nuovo allestimento per Nuova Consonanza.

Il violoncello è lo strumento più vicino alla voce umana, e in quest’opera diventa un personaggio lui stesso, proprio come la danza. Inoltre grazie all’elettronica, con un peculiare uso di accessori per l’esecuzione, permette di sdoppiare il suo timbro caratterizzando una dualità di pensiero, prendendo le parti di ciascun personaggio, fino ad arrivare ad un’inversione dei ruoli: da giudicante a giudicato. L’elettronica inoltre conferisce la possibilità di moltiplicare dall’uno all’universale, dall’uno all’umanità.

A livello musicale inoltre troviamo anche diverse pratiche citazionistiche

Si, dal punto di vista musicale, mi sono basata su un brano del passato, una lauda celestiniana ritrovata da Francesco de Mei, dedicata agli aquilani. Ho scelto di partire da questa e utilizzarla citandola musicalmente, perché mi sembrava un omaggio a Celestino molto evidente, come gesto di gratitudine non solo a questa grande figura ma anche in un senso ancora più lato.

Un interessante intreccio di arti, che cela al di sotto grandi tematiche importanti

Sì, sono varie sono le tematiche di fondo: tra tutte spicca il tema del perdono, inevitabilmente legato anche alla perdonanza celestiniana, primo giubileo della storia, molto importante per la città de L’Aquila. Ricordiamo che Celestino V ha istituito l’indulgenza plenaria senza dovuto pagamento, atto decisamente rivoluzionario, sganciando il lucro delle indulgenze dal cattolicesimo, fino ad allora tesoro del potere temporale della chiesa.

E qui si inserisce un’altra tematica di fondo, quella del valore del benessere. Non si può comprare il benessere, va guadagnato per se stessi, ma è gratuito. Infine il coro dei Templari, elemento umano qui reso completamente elettronico, rappresenta la voce di una coscienza emergente dal popolo atta a ricordare che qualsiasi azione, per essere degna, dev’essere legata ad un bene superiore, oltre gli individualismi.

Anche la scelta del libretto ricalca lo stesso spirito: un linguaggio molto arcaico che si contrappone con la contemporaneità dell’allestimento. Dunque un pizzico di passato in una proiezione moderna. Cinzia della Ciana, come nasce la stesura di questo testo?

Il testo di Ego te Absolvo è inserito nella prefazione di un libro, Tre passi con Dante, che ho scritto insieme a mio marito, Andrea Maucci, docente di letteratura a Siena. Questo libro vede ogni regno e cantica della Divina Commedia alternarsi ad un atto unico, un saggio critico. Ogni atto unico ha la particolarità di una sorta di processo a Dante, perché i personaggi che ha collocato nel regno si ribellano a lui per la sua superbia.

Come appendice ho scritto Ego te Absolvo, immaginando che in questi settecento anni il Sommo Poeta abbia fatto un percorso nel Purgatorio, scontando le sue pene, tra gli invidiosi e i superbi. Ora, giunto finalmente in Paradiso, collocato nella candida rosa, trova sorpreso Celestino V. Entrano quindi in contraddittorio: Celestino lo rimprovera di aver scritto un verso, accusando Dante di aver giocato nell’equivoco facendolo passare per un grande vigliacco, quando invece la sua opera è stata mirabile, fino ad arrivare alla perdonanza.

Per poter rendere ancor più efficace il contraddittorio che si instaura tra queste due figure ho dovuto ricorrere ad una lingua che ricordasse in qualche modo quel periodo storico. Dunque le sonorità e linguaggi rievocano lo stesso Dante, come si esprime nella Divina Commedia, e giocano su questa caratura letteraria.

Un testo ispirato, ma con una volontà di riabilitare anche nell’arte il nome di Celestino V. Negli anni molti si sono pronunciati a riguardo, da Giovanni Pascoli a Papa Francesco. L’opera può essere considerata un contributo a questa istanza?

Esattamente, è una rivendicazione della legittimazione di questa grande figura, ingiustamente collocata nella veste di un approfittatore, tra gli ignavi, la schiera peggiore dei peccatori, perché sono coloro che non operano una scelta. Quando invece Celestino fu un eremita operoso ed è stato dichiarato santo nel 1313, proprio nel momento in cui Dante stava scrivendo la Divina Commedia, il che comporta che abbia giocato consapevolmente su un equivoco e in contrasto con la stessa chiesa.

Ed infatti Papa Francesco, ha sottolineato: «Erroneamente ricordiamo la figura di Celestino V come “colui che fece il gran rifiuto”, secondo l’espressione di Dante nella Divina Commedia; ma Celestino V non è stato l’uomo del “no”, è stato l’uomo del “sì”».

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