Violoncello In-Audito: la Fantasia op. 52 di Mieczysław Vajnberg

Nella Fantasia op. 52 di Mieczysław Vajnberg emergono tanto il lirismo del violoncello quanto la drammaticità di un momento particolarmente tormentato della vita del compositore polacco

A tre anni dal centenario della nascita, la musica di Moisej Samuilovič Vajnberg è sempre più spesso inserita nel repertorio e proposta all’interno dei programmi di sala. La sua storia e identità artistica, per quanto conosciuta e anzi, mai nascosta in vita, è ancora oggi oscurata da personalità giganti della musica del secondo dopoguerra a lui vicine come Rostropovich, Richter e Šostakovič.

La Fantasia op. 52 per violoncello e orchestra, sorella minore del Concerto op. 43 e del Concertino (escluso dal catalogo delle opere dallo stesso compositore) si colloca, infatti, in un periodo particolarmente tormentato della vita di Vajnberg ed è protagonista di quest’articolo.

 

Mieczysław Vajnberg

Mieczysław Vajnberg

Una gioventù tormentata e l’arrivo a Mosca

Nato nel 1919 a Varsavia da famiglia ebrea, già vittima della violenza antisemita durante il Massacro del Porgrom di Chișinău in Bessarabia, Vajnberg inizia e conclude la sua formazione presso il conservatorio della capitale con Jozéf Turczyński. Talento precoce, ad appena dieci anni suona regolarmente presso il teatro Yiddish del padre e già in adolescenza è pubblicamente riconosciuto come un futuro virtuoso del pianoforte.

I progetti di studio negli Stati Uniti sfumano nel 1939 con lo scoppio della Seconda Guerra mondiale: a vent’anni, appena diplomatosi in conservatorio, lascia la Polonia e la sua famiglia. I genitori e la sorella saranno deportati prima nel ghetto di Lodz e poi nel campo di concentramento di Trawniki.

Dopo un periodo di studi a Minsk con Vasily Zolotarev, Vajnberg è costretto ancora una volta a fuggire in Tashkent, dove incontra e sposa Natalia Vovsi. Compagna di una vita, è la figlia di Solomon Mikhoels, direttore artistico del Teatro ebraico statale di Mosca e presidente del Comitato Ebraico Antifascista. Sempre a Tshkent incontra Šostakovič, che lo convincerà a trasferirsi a Mosca nel 1943.

 

Itzik Feffer, Albert Einstein e Solomon Mikhoels negli Stati Uniti, 1943

Itzik Feffer, Albert Einstein e Solomon Mikhoels negli Stati Uniti, 1943

1948-1953: ždanovščina, il caso Mikhoels e la prigionia

La dottrina Ždanov o ždanovščina è una dottrina culturale sovietica concepita dall’omonimo segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. La Risoluzione, entrata in vigore prima contro due riviste letterarie nel 1946, si estende all’ambiente musicale nel febbraio del 1948. Tutte le espressioni artistiche di provenienza sovietica devono rappresentare e promuovere i principi del socialismo staliniano. Questa lotta contro l’anti-patriottismo e l’antiformalismo prende di mira tutti gli esponenti del novecento russo, da Šostakovič a Prokov’ev, Kabalevsky,  Mjakovskij, autore già affrontato in questa rubrica (Violoncello In-Audito: Il Concerto op. 66 di Mjakovskij) e colpisce direttamente anche Vajnberg.

Nello stesso anno dell’emanazione del decreto, Solomon Mikhoels è assassinato su ordine di Stalin. Da quel momento, per cinque anni, Vajnberg è perseguitato e seguito ovunque dalla milizia staliniana, e la sua musica è pesantemente censurata. Non potrà essere eseguita né trasmessa su alcuna piattaforma o palcoscenico.

Nel 1953 Vajnberg viene arrestato con l’accusa di “propaganda a favore dell’istituzione di uno Stato ebraico in Crimea”. A salvarlo dall’esecuzione è una lettera molto coraggiosa scritta da Šostakovič a Lavrentiy Beriya, a capo del Commissariato del Popolo per gli Affari Interni, per attestarne l’innocenza. Durante la prigionia di Vajnberg, Šostakovič decide anche di firmare i documenti necessari per ottenere la custodia della figlia Victoria. Tutti questi documenti saranno bruciati subito dopo sua la scarcerazione. Solo la morte di Stalin, nello stesso anno, permetterà una più ampia libertà personale e artistica. In questo contesto, tra il 1951 e il 1953, Vajnberg compone la Fantasia per violoncello e orchestra.

Mieczysław Vajnberg

Mieczysław Vajnberg, fotografato da Jeffrey A. Wolin nel 1992 all’interno della sua serie “Portraits of the Holocaust”. Al centro del progetto, personalità variegate e di provenienze diverse – di cui la maggior parte polacche – e personali testimonianze degli orrori dell’Olocausto. L’intero portfolio è consultabile qui:

https://www.jeffreywolin.com/category/written-in-memory/

 

“Šostakovič veniva a trovarci ogni volta che voleva semplicemente sedersi per un po’ e fare due chiacchiere. Sempre quando aveva terminato un nuovo lavoro. Qualsiasi cosa: una sinfonia o un quartetto. Anche quando era ancora solo un manoscritto. Poteva capitare che ascoltassi il nuovo lavoro due volte… Ho fatto vedere tutti i miei lavori a Dmitri”

 

La Fantasia op. 52 – Andantino leggiero

Eseguita per la prima volta il 23 novembre 1953 da Danil Shafran e Nina Musinyan, in una riduzione per violoncello e pianoforte edita e pubblicata dal compositore l’anno successivo, manca a oggi la documentazione di una prima esecuzione nella sua versione integrale. La Fantasia è composta in una struttura ad arco che Vajnberg utilizza spesso in altre opere orchestrali e da camera. Lontano da temi e soluzioni più concitate e apertamente disturbanti o grottesche, spesso parte integrante del suo stile più giovanile, Vajnberg si concentra sul lirismo del violoncello e un elusivo utilizzo dello spettro tonale molto personale, che sviluppa proprio in questi anni.

Con un organico semplice – agli archi si uniscono il flauto, tre corni e una tromba – le prime battute dei bassi emergono dal silenzio, alla ricerca di un colore scuro, con un motivo ostinato e ripreso a canone da viole e violini. La cantabilità drammatica e instabile e la costruzione progressiva del suono dell’orchestra ricorda molto l’inizio della Sinfonia n. 10 dell’amico Šostakovič, composta nello stesso anno.

Da questo tappeto sonoro, il violoncello prepara l’andantino leggiero con un breve e ancora drammatico recitativo, che introduce il primo tema della Fantasia: una bellissima e malinconica linea melodica incorniciata in un’orchestrazione dall’aspetto danzante e accomodante. Vajnberg riesce a incastonare con grande sapienza elementi dal carattere folkloristico della tradizione polacca nell’accompagnamento orchestrale, insieme a intervalli e movimenti armonici che ricordano invece la tradizione ebraica: entrambi sono parte integrante della sua personalità e bagaglio culturale.

 

L’intervento del corno inserisce un breve ponte modulante dal carattere più sereno e assertivo che presto reintroduce il primo tema, ora ripreso dal lungo solo del flauto, con il quale il violoncello s’interseca in uno stretto dialogo. Vajnberg gioca su questi due tipi di cantabilità molto diverse, creando lungo tutta la Fantasia una dualità timbrica molto espressiva.

Nella coda di questa prima sezione emerge la voce del violoncello. Prima alla ricerca di un timbro più morbido, a imitare il movimento del flauto, in contrasto al movimento più grave dei violoncelli, la coda si apre in una inaspettata e meravigliosa cadenza verso il fa diesis maggiore, tonalità ricercata, solare e serena, accennata a più riprese, ma mai abbracciata con tale agio.

Allegro con fuoco

La breve cadenza del violoncello conduce con un lungo crescendo verso l’allegro con fuoco, un impetuoso unisono dell’orchestra sul quale Vajnberg ricrea un carattere danzante, pesante, tuttavia molto malleabile: in poche battute la voce del violoncello si fa ora più cantabile, più incalzante, per riprendere il dialogo lasciato nel primo movimento con i fiati, prima in un gioco di forza con il corno, poi in modo più accomodante con il flauto.

Un’ultima sezione orchestrale, con un episodio di concentrato virtuosismo del violoncello, conduce a un nuovo spazio che contestualizza finalmente il lato più intimo di questo movimento. La semplicità melodica e armonica, priva della tensione iniziale e un accompagnamento orchestrale sempre in anacrusi aprono una breve parentesi di ritrovata serenità prima di una lunga ripresa.

Partitura della cadenza

 

Vajnberg, nella sua ricerca e arricchimento dall’amicizia con Šostakovič, introduce spesso analogamente l’elemento della cadenza, un ritrovato spazio per il virtuosismo e un’espressività più autonoma e non più semplice consuetudine formale.

Come nel suo Concerto e nel Concertino, ma anche nella prima Sonata per violoncello e pianoforte op. 21, Vajnberg delinea la cadenza come momento indipendente e completo nella sua interezza, nel suo sviluppo e nel suo collegamento con la coda del brano. Sfrutta accordi pesanti pizzicati, zone e colori diversi dello strumento organicamente, lasciando sempre fluire il discorso musicale. Dal suono del violoncello, nella circolarità comune di Vajnberg, si ricostituisce il tema iniziale, ora però smembrato dal corpo sonoro delle voci gravi, e dell’orchestra nella sua interezza.

Il violoncello dialoga con il solo del violino in un carattere più mesto, che conduce all’ultimo climax: privo dell’elemento glorioso, è più intimo, disturbato da un accordo inaspettato, senza preparazione. Il movimento cromatico nei bassi e nelle viole dismembra rapidamente la serenità armonica appena ritrovata, e la Fantasia si chiude in poche battute con questa sensazione quasi di assuefazione, una sublimazione rapida, ma organica, nello stesso silenzio dal quale era emersa.

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