Biennale Musica Anno Uno – Viaggio al centro della contemporanea #1

Pensieri dal 66. Festival Internazionale di Musica Contemporanea di Venezia

È contemporanea ma è anche passato. La 66. edizione della Biennale Musica, secondo capitolo del progetto di Lucia Ronchetti, raccoglie quel grande corpus di incognite e argomenti sospesi che rappresentano la contemporanea d’oggigiorno.

La declinazione del tema di questa edizione è dedicata al teatro musicale (giusto giusto quei 6/7 secoli di tradizione) con un particolare occhio al desiderio dell’ultimo secolo di trovare nuovi spazi performativi, sperimentazione ormai diventata tradizione ma ugualmente evocata dal titolo della rassegna ‘Out of stage’.

 

Sperimentare è bello, ma ascoltare bene di più

Non stupisca quindi se poi, gira che ti rigira, si torna sempre dove tutto si è sempre fatto, soprattutto se nel frattempo nessuno si è premurato di creare nuovi palcoscenici ad hoc.

Il titolo di apertura di questa edizione, la fantasia da camera “Jules Verne” del Leone d’Oro 2022 Giorgio Battistelli, che ebbe la prima nel 1987 negli spazi del Centre Culturel Le Maillon di Strasburgo, dove poteva essere rappresentata per questa prima esecuzione nella versione italiana?

A Venezia, salvo i recuperati spazi Biennale e poco altro, non esiste un posto alla pari.

Unica soluzione uno degli spazi più tradizionali ma al contempo altare di tante prime di tempi lontani e vicini, il Teatro La Fenice che indubbiamente rimane non solo il palcoscenico più scenografico ma anche fra i più validi acusticamente.

“Jules Verne” è la storia di un confronto fra i tre principali protagonisti dello scrittore francese: i comandanti di Terra, d’Acqua, e d’Aria, il prof. Lidenbrock (Viaggio al centro della Terra), il dott. Ferguson (Cinque settimane in pallone) e il Capitano Nemo (Ventimila leghe sotto i mari).

Chi fra loro è il preferito da Verne?

A nessuno la palma perché l’indagine psicologica li vede sì differenziarsi ma anche riconoscersi come facce dello stesso uomo nuovo, scientifico e avventuroso, che ci si aspettava avrebbe governato il ventesimo secolo. Fortuna che Verne non ha visto il ventunesimo secolo.

Un homo novus tripartito che si avvinghia alla scrittura musicale di Battistelli che prende alcuni strumenti canonici per creare nuovo suono (pianoforte, sassofono, canto) e nuovi strumenti percussivi (mattoni, catene e acqua) per rievocare il passato.

L’opera, pensata per tre percussionisti polistrumentisti, ha visto la partecipazione dei vincitori del Leone d’Argento 2022, l’Ensemble Ars Ludi (Gianluca Ruggeri e Antonio Caggiano, Rodolfo Rossi), un raro completamento e compenetrazione fra l’oro e l’argento biennale in un unico spettacolo.

Il trio si è mosso eccezionalmente nella scena concepita da Angelo Linzalata, sfruttando una regia essenziale ma puntuale dello stesso Battistelli, alternandosi sia come musicisti, sia come cantanti ma soprattutto come performer a 360° sia dei materiali percussivi a loro intorno sia di loro stessi.

Acclamazioni costanti per il compositore e per i performer.

Jules Verne di Giorgio Battistelli / Courtesy La Biennale di Venezia © Andrea Avezzù

 

Nudi e crudi

Tutti gli spettacoli, soprattutto di un festival di contemporanea, partono dal presupposto di essere nuovi, freschi e possibilmente innovativi.

Nel lavoro ‘Reaching Out’ dei compositori Ondřej Adámek e Rino Murakami, l’idea è quella di sfruttare fisicità e vocalità dell’ensemble di performer N.E.S.E.V.E.N. come strumenti musicali a tutti gli effetti, nel tentativo di rispondere ad alcune delle principali domande esistenziali dell’uomo.

Knock Earth Stone Dust (Adàmek) punta alla percussività contrapponendo la caducità dell’uomo all’immortalità della pietra (immortalità tale anche se l’uomo, come avviene in scena, arriva a spaccare le pietre, lasciando quindi una sua traccia definitiva) e ha il pregio di portare una poetica e una tradizione, quella islandese, di cui sentiamo ancora molto la distanza.

Salmon Crossing (Murakami) si fa didascalico nell’accostare il conosciuto rituale dei salmoni nel risalire la corrente come afflato umano contro le difficoltà.

Schlafen gut. Warm (Adàmek nuovamente) sfrutta il materiale inviato dal nonno internato nel campo di concentramento di Therensienstadt per mettere in parole e musica la violenza dell’Olocausto, ferita non ancora rimarginata ma che nei lavori europei tende a diventare monopolizzante.

Il lavoro di coreografia di Éric Oberdorff sui due danzatori, protagonisti silenti della rappresentazione, e sull’ensemble (sei performer e un percussionista) si accosta ai lavori puntando più sulla descrizione che sull’originalità performativa. Data anche la oggettiva difficoltà a muovere il palco con soli due elementi su nove effettivamente mobili e liberi da impegni musicali, l’azione scenica risulta spesso prevedibile puntando molto sul ‘quelli che partono a destra vadano a sinistra e viceversa’ fino al ‘tutti nudi o quasi’ per gli applausi, abbastanza scontato e prevedibile.

Ed è proprio questa inazione scenica, forse poco maturata, a non incrementare particolarmente l’empatia del pubblico di brano in brano che non riesce ad immedesimarsi in quelle questioni umane.

Reaching Out di Ondrej Adamek e Rino Murakami / Courtesy La Biennale di Venezia © Andrea Avezzù

 

Giovane verità

Come spesso accaduto negli ultimi anni di Biennale, la giovane rassegna Biennale College riserva produzioni già vecchie e altre nuove idee appassionanti per le quali rimane il rimpianto di non poterne fruire nuovamente.

L’one-woman-show della compositrice catalana Gemma Ragués, l’opera radiofonica ‘Verità a Venezia’ rientra ampiamente nella seconda categoria.

Ispirata dal lavoro sui suoni veneziani di Cage (ma fino ad un certo punto), Raguès racconta Venezia meglio di tanti veneziani e il fatto che ad esserci riuscita sia una compositrice catalana lancia ampi margini di riflessione. A partire dalla lingua utilizzata che è un catal-english misto italiano (l’italiano è veramente la lingua più parlata a Venezia?), l’opera racconta, attraverso i costanti aggiornamenti radiofonici di una emittente chiamata ‘Verità a Venezia’, l’improvviso miracolosa risonanza delle pietre veneziane che iniziano a urlare, smascherando fra le righe le tante ipocrisie cittadine e nazionali.

Riuscendo a immergere gli spazi della Sala delle Colonne nella quotidianità veneziana con semplici fili perimetrali su cui stendere la biancheria, il palcoscenico viene risucchiato dalla capacità performativa della stessa compositrice che trova anche il tempo di governare a distanza anche tutto l’apparato di regia del suono.

Un lavoro fresco che forse la diretta radiofonica (anche in questo interessante la meta-radiofonicità) ha reso solo parzialmente, privando gli spettatori all’ascolto di tutta la dimensione attoriale e scenica.

Verità a Venezia di Gemma Ragués / Courtesy La Biennale di Venezia © Andrea Avezzù

 

Gli eventi 

Mercoledì 14 Settembre – ore 20.00
Teatro La Fenice
GIORGIO BATTISTELLI e ARS LUDI

Giorgio Battistelli| Jules Verne

Immaginazione in forma di spettacolo per trio di percussioni, tre voci, sassofono e pianoforte (1984-85)
prima es. ass. della versione italiana

 

Giovedì 15 Settembre – ore 20.00
Teatro alle Tese (Arsenale)
ONDŘEJ ADÁMEK / RINO MURAKAMI

Ondřej Adámek / Rino Murakami | Reaching Out moving voices (2022, 60’ ca.)
prima es. it.

Ondřej Adámek | Knock Earth Stone Dust
rielaborazione di Man Time Stone Time per sei voci, due percussionisti, due danzatori;
poesie di Sjón (Sigurjón Birgir Sigurðsson)

Rino Murakami | Salmon Crossing
per sei voci, due percussionisti, due danzatori;
testo da Sake no Uta (Salmon Song) di Keiko Oguro (15’)

Ondřej Adámek | Schlafen gut. Warm
per sei voci, due percussionisti, due danzatori (nuova versione)

 

ore 22.30
Sala delle Colonne (Ca’ Giustinian)
BIENNALE COLLEGE MUSICA
Gemma Ragués | Verità a Venezia

composizione radiofonica performativa (2022)
prima es. ass.

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