A tu per tu con Nina Kotova

Abbiamo incontrato la violoncellista Nina Kotova, da quest'anno docente permanente dell'Accademia Internazionale di Imola

Nina Kotova è una violoncellista di fama internazionale con una grande esperienza di insegnante, oltre che di interprete. Da questo anno scolastico farà ufficialmente parte del corpo docenti della Fondazione Accademia Internazionale di Imola. Ecco la nostra intervista riguardo alla sua formazione e alla sua idea di didattica.

Nina Kotova

L’anno accademico che sta per iniziare ti ha riservato una grande novità. Cosa significa per te entrare a far parte del corpo dei docenti permanenti della Fondazione Accademia Internazionale di Imola?

L’Accademia è conosciuta in tutto il mondo come una delle istituzioni più prestigiose nel campo della musica classica ed è un onore entrare a farne parte come docente. Non vedo l’ora di cominciare l’anno scolastico e sono sicura che si tratterà di una sfida affascinante, ma anche di una grande responsabilità. Lavorare insieme a giovani musicisti mi ha dato sempre una grande gioia, sia nelle masterclass sia nelle mie precedenti esperienze di insegnamento di violoncello alla University of Texas in Austin come artista residente, dove ho avuto modo di insegnare violoncello, composizione e musica da camera.

A proposito dei tuoi insegnanti, quali sono stati i momenti più importanti della tua formazione come musicista?

Il mio background violoncellistico deriva dal fondatore della scuola russa di violoncello, il grande Karl Davydov. Da lui provengono Semyon Kozolupov e Svjatoslav Knushevitsky, che hanno poi insegnato ai miei maestri. Ho studiato alla Central Music School a Mosca, il Conservatorio di Mosca, e poi alla Hochschule di Colonia con Boris Pergamenchikov.

Inizialmente la sfida più grande è stata quella del palcoscenico. Imparare a esibirmi sul palco mi ha dato però anche la massima gratificazione, così come la possibilità di presentare al pubblico nuove musiche, sia mie che di altri compositori a cui commissionavo nuovi pezzi di repertorio.

Mi vengono in mente tanti momenti o persone fondamentali per me. Il mio primo mentore musicale da bambina è stato mio padre Ivan Kotov e più tardi il grande Mstislav Rostropovich. La collaborazione artistica, l’amicizia e l’incisione per Warner Classics insieme al vincitore del Van Cliburn, José Feghali, è stata un’altra esperienza molto forte. Molto ho imparato anche dai brevi scambi durante le prove o i concerti con i grandi musicisti. Ad esempio ho avuto la fortuna di lavorare insieme a direttori come Vladimir Fedoseev, Nicola Luisotti, Tony Pappano, Vladimir Yurovsky, Jaap van Zweden. Conservo poi alcuni ricordi indimenticabili, come il mio debutto da solista con l’orchestra alla Carnegie Hall dove ho suonato le Variazioni su un temà rococò di Tchaikovsky, il primo contratto di incisione con Philips Classics, il mio album di debutto in vetta alle classifiche nel 1999, o ancora la première del mio concerto per violoncello a San Francisco nel 2000.

Ci tengo ad aggiungere ancora qualcosa sul mondo da cui provengo. La mia formazione musicale è avvenuta in una nazione completamente chiusa al resto del mondo. Mio padre è stato il primo contrabbassista nella storia del paese a vincere il Primo Premio al Concorso Internazionale di Ginevra. Mosca poi ha sempre avuto una scena culturale animata: le esibizioni al Museo Pushkin, quasi 50 teatri, l’opera e il balletto al Teatro Bolshoi, i concerti al Conservatorio, il concorso Tchaikovsky, gli scrittori underground… non era solo l’intelligentsia a respirare quest’aria, ma anche noi bambini. La musica e l’arte erano tutto per noi. Una volta costretta a vivere nella rigida morsa del sistema sovietico, sentivo di avere una responsabilità speciale in quanto musicista cresciuta in mezzo all’arte: continuare a educare i giovani alle arti.

Quali sono le tappe principali dell’educazione di un giovane violoncellista?

Il primo passo è ascoltare la musica. Da bambina, oltre a mio padre che suonava a casa e ai concerti, i miei interpreti preferiti erano David Oistrakh, Daniel Shafran, Svyatoslav Knushevitsky, Natalia Gutman, Pierre Fournier, Emmanuelle Feuermann, Enrico Caruso, Enrico Mainardi, Herbert von Karajan, Tatiana Nikolaeva, Svyatoslav Richter, Serge Koussevitsky.

Il secondo step è fidarsi del maestro o, quando si è bambini, dei genitori che devono far capire l’importanza di spendere tanto tempo con lo strumento rinunciando a molte cose. È fondamentale quindi lavorare sulla perseveranza. Da bambina, per due anni mia madre ha suonato insieme a me ogni giorno per 5-6 ore, finché sono diventata abbastanza responsabile da impostare lo studio da sola.

Con l’aiuto necessario del maestro, tutto ciò che serve a uno studente sono: una stanza per suonare, la perseveranza e il tempo. Un’altra cosa che aiuta molto è studiare il pianoforte come secondo strumento.

Quali sono secondo te i punti di forza del fare musica in Italia?

I musicisti italiani sono un esempio di incredibile musicalità e hanno una familiarità particolare con la storia della musica. Ho avuto la fortuna di lavorare con molti ottimi musicisti italiani. Di recente ho avuto l’opportunità di esibirmi con il magnifico ensemble barocco, l’Orchestra Barocca di Venezia, con cui abbiamo suonato i concerti di Vivaldi per la stagione concertistica di Domus Artium. In precedenza, ho eseguito concerti di Saint-Saëns, Dvořák, Haydn e le “Variazioni su un tema rococò” di Tchaikovsky con orchestre italiane come l’Orchestra Verdi, l’Orchestra da Camera di Mantova, il Maggio Musicale e molte altre.

Quando ho iniziato a studiare violoncello, il mio insegnante dava la massima importanza allo studio di brani e sonate di compositori italiani del XVII e XVIII secolo. Molte di queste opere che ho imparato durante l’infanzia e l’adolescenza sono ancora nel mio repertorio. Si tratta di opere di compositori come Ariosti, Boccherini, Locatelli, Marcello, Pergolesi, Sammartini, Tessarini, Valentini, Vivaldi, ecc.

Ora che sei in Italia in pianta stabile, cosa ti colpisce di più del panorama culturale italiano?

La cultura italiana ha un peso importantissimo. Per secoli, l’architettura, la pittura e la musica italiane, e più tardi il cinema, hanno avuto un’importante influenza sulla cultura russa e sovietica. I legami culturali dei due Paesi sono fortissimi. San Pietroburgo è stata costruita in base agli schizzi di architetti come Giacomo Quarenghi, Bartolomeo Rastrelli, Carlo Rossi e altri. Il fondatore della musica classica russa, Mikhail Glinka, viaggiò e studiò in Italia e scrisse molta musica durante il suo soggiorno nel Paese. Ammirava in particolare le opere di Bellini, Donizetti, che conobbe personalmente, e Rossini. Numerosi artisti russi di spicco dell’800, compositori e interpreti, cantanti, si formarono in Italia e approfittarono dello stile di vita, delle amicizie e del clima mite e caldo. Proprio pensando alla bellezza e all’architettura italiana, Tchaikovsky scrisse opere importanti come il Sestetto per archi “Souvenir de Florence”, di cui abbozzò alcuni temi durante un viaggio a Firenze, e il “Capriccio Italien”.

C’è poi una storia ben nota. All’inizio del ‘900, al Conservatorio di Mosca, gli studenti della classe di violoncello del maestro Svjatoslav Knushevsky frequentavano le classi di canto per ascoltare Fyodor Shalyapin. In questo modo imparavano la tecnica del belcanto, e la vocalità italiana del ‘700 che si concentra sulla bellezza del suono e della linea melodica. Al contrario, per capire i segreti dell’arco e del fraseggio musicale continuo, gli studenti delle classi vocali frequentavano le lezioni di violoncello.

La realizzazione più completa del pensiero musicale è possibile solo quando l’interpretazione si basa su una solida formazione scolastica e sulla tecnica, della voce come di uno strumento musicale. Solo quando la tecnica è impercettibile, l’esecutore diventa un vero maestro.

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