Guida alle sonate per violoncello di Prokofiev e Shostakovich

Una nuova incisione delle due sonate da parte di Geminiani e Braconi ci offre nuovi spunti per tornare a parlare di questi due capolavori.

L’interpretazione della musica sovietica per violoncello passa inevitabilmente per un nome: quello di Mtislav Rostropovich. Il violoncellista di Baku infatti era un referente imprescindibile per i compositori suoi contemporanei, che per gratitudine lo eleggevano spesso a dedicatario delle loro composizioni. È il caso ad esempio della sonata di Sergei Prokofiev: il brano fu frutto di un incontro felicissimo tra due musicisti di generazioni molto distanti anagraficamente – Prokofiev era nato nel 1891 e la sonata era già il numero 119 del suo catalogo, Rostropovich invece era nato nel 1927 – ma che condividevano un idem sentire nei confronti della musica cameristica. Questo permise ai due di intessere un dialogo creativo che possiamo ritrovare anche nella stessa forma in cui la sonata è stata consegnata alla storia.

Diverso è il caso del rapporto tra Shostakovich e Slava, come veniva chiamato Rostropovich dagli amici: sebbene tra i due ci fossero comunque 22 anni di differenza, Shostakovich era stato docente di Rostropovich negli anni del conservatorio, quando la sua sonata per violoncello era già diventata un classico del repertorio cameristico sovietico. Il musicista divenne però amico del suo maestro e fu essenziale nella scrittura del suo primo concerto per violoncello – a cui è legato da un curioso aneddoto – ma questa è un’altra storia.

Perché indugiare così a lungo su Rostropovich come trait d’union tra due brani così diversi e tra due musicisti per giunta spesso in disaccordo tra loro? Perché, al netto di queste differenze, il violoncellista sovietico riuscì a imporsi come fulcro interpretativo della musica di entrambi, consegnando tramite le sue incisioni un modello imprescindibile per le generazioni di violoncellisti a venire.

Non fa eccezione Gabriele Geminiani, che nel suo ultimo lavoro discografico affronta entrambe le partiture accompagnato da Monaldo Braconi al pianoforte. Il duo, formato da due interpreti d’eccezione, affronta le sonate in termini decisamente intimistici ma molto personali. In linea di principio, infatti, la musica da camera di questi autori si presta ad essere vissuta in questo modo in forza dell’enorme contrasto che c’è con la produzione sinfonica in termini di finalità espressive e sonorità.

 

Una scelta interpretativa

Geminiani spiega così il suo processo di lavoro sulla sonata, compreso il paragone ingombrante con Slava:

Credo che l’avvicinamento ad un brano sia molto soggettivo… nel mio caso tendo sempre a non farmi “condizionare” troppo da ogni registrazione esistente per cercare  di costruire una mia idea, partendo dalla struttura, passando per le difficoltà tecniche e via via cercando poi di imbastire una visione totale priva di “influenze” esterne. Va da sé che ogni violoncellista non possa non fare i conti con quella che è stata e sempre sarà una figura di riferimento come Rostropovich. Musicista a tutto tondo, violoncellista, pianista, compositore, direttore d’orchestra, una figura leggendaria si può dire, così pieno di musica da farci sicuramente vivere il clima musicale di quel preciso momento storico. Quindi sì, le sue registrazioni sono, per me, sempre un riferimento e, in alcuni casi, ancora oggi inarrivabili per chiunque!

La scelta più interessante a livello “macro” interpretativo è quella di astrarre le due sonate dal momento storico in cui sono nate e porle sullo stesso piano, come se fossero uno specchio dello stato emotivo e creativo di due compositori che si trovano a lavorare nello stesso istante su una simile intuizione e una simile necessità. Non bisogna mai dimenticare che la musica da camera rappresentava per entrambi gli autori una via di fuga dal rigido controllo censorio che era riservato ai lavori di più ampia scala: ed ecco che dunque, attraverso le mani di Braconi e Geminiani, le pagine delle sonate si trasformano in un inno all’individualità creativa degli autori e una fuga dalle necessità del personaggio pubblico, il cui dovere – per citare una massima attribuita a Shostakovich dal dibattutissimo Volkov – era quello di giubilare.

 

Le idee di Geminiani e Braconi

È interessante notare come però prevalga nel processo creativo di entrambi gli autori anche l’aspetto autoctono e “russo” della musica. Il materiale tematico ha spesso un sapore autenticamente russo e “popolare”, salvo forse il primo movimento della sonata di Shostakovich ancora fortemente venato da quelle stesso sfumature tardoromantiche che sono frequenti nella sua musica giovanile. In questo l’interpretazione del duo Geminiani-Braconi, seguendo la scia di Rostropovich, rende in modo autentico quelle che erano più probabilmente le autentiche intenzioni degli autori.

Spiega Braconi come:

 Queste sonate rispecchiano in pieno questa descrizione: emerge la malinconia, la profondità e, nello stesso tempo, la maestosità; sono sonate che sembrano partire da alcuni toni di grigio che, improvvisamente, diventano piene di tonalità forti, di colori sgargianti. È una musica grande, immensa, possente, carica di significati profondi che sicuramente si riesce a capire appieno solo vivendo profondamente la Russia ed i russi.

È proprio in Shostakovich che accade il miracolo, e per rendersene conto occorre fare una cosa che probabilmente farà avere un brivido freddo ai cultori dell’ascolto discografico: concedersi l’ascolto del primo e dell’ultimo movimento giustapposti è un’esperienza decisamente straniante. Il timbro e l’idea concettuale di Shostakovich ci sono, e sono sempre presenti, e il lavoro di Geminiani e Braconi rende giustizia a tutto ciò, ma nel raffronto tra i due momenti sembra quasi di vedere due brani diversi, due fasi creative distantissime l’una dall’altra tenute insieme solo da una sottile filigrana fatta di scelte minuziose ma essenziali.

La sonata di Prokofiev invece vive con un’altra linfa: pur trattandosi di un brano della produzione matura – o forse addirittura tarda – del compositore, è concepita come un processo di scoperta. È importante infatti ricordare che Prokofiev non solo aveva relativamente trascurato la musica da camera fino a quel momento, ma aveva dedicato anche meno spazio al violoncello come strumento solista. E allora torna l’importanza dell’incontro con Rostropovich, all’epoca giovane rampollo della scuola violoncellistica russa, che apre al compositore le porte di un nuovo universo creativo. Potremmo leggere infatti la sonata come un terreno sperimentale che porterà poi i suoi frutti più maturi nella Sinfonia Concertante di qualche anno più tarda.

Una ricerca di sintesi

A livello interpretativo il lavoro dei due musicisti è sempre di altissimo livello, ma la resa più interessante è probabilmente quella dell’ultimo movimento: il linguaggio di Prokofiev assume un carattere così apertamente neoclassico – il primo tema, con i suoi delicati cromatismi quasi “di maniera” potrebbe essere trafugato da un Haydn distratto – che la resa deve essere trasparente e cristallina anche quando ciò potrebbe essere parossistico. L’accompagnamento pianistico – che accompagnamento in senso stretto non lo è mai in Prokofiev, l’autore ci perdonerà l’improprietà lessicale necessaria – si fa a tratti denso e a tratti martellato, ed è proprio lì la vera sfida di Braconi, che deve cercare di far convivere la ricchezza della scrittura con un ruolo che non diventa mai pienamente solistico.

Il compito di Geminiani, impegnato in un finale che assume gradualmente sempre più i caratteri di “bravura” consoni a questa forma fin dalle origini, è invece quello di far trasparire con leggerezza una musica che di leggera ha solo l’apparenza. Da questa prova viene testimoniata l’intesa pluriennale tra i due musicisti, che riescono a bilanciare in modo che pare quasi naturale una serie di forze costantemente in tensione e contraddizione, regalando all’ascolto uno dei lavori più interessanti degli ultimi anni.


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