Scandali, cipria e duchesse. Powder her face a Bolzano

Recensione della prima opera di Thomas Adès in scena per l’Oper.a Festival della Fondazione Haydn

Nonostante Thomas Adès sia senza dubbio uno dei compositori più importanti di oggi (e uno dei più popolari), la sua produzione operistica non è particolarmente ampia, a dispetto della quantità di lavori dedicati all’orchestra, al pianoforte, agli ensemble da camera. Ciononostante, si sbaglierebbe chi relegasse il compositore britannico alla sinfonica e alla cameristica, supponendo che il palco del teatro non sia la sua dimensione ideale. Le tre opere composte da Adès a intervalli di circa 10 anni mostrano invece la felicità della vena teatrale del compositore inglese, che riesce ugualmente a dominare la scrittura orchestrale e quella vocale, non mancando di un certo gusto per la teatralità e una forza retorica ben affilata che non disdegna la crudezza delle scene né si restringe in compassate declamazioni da oratorio. Se attenderemo novembre per poter vedere The Tempest (2003-04) al Teatro alla Scala, la Fondazione Haydn ha offerto un’anticipazione del teatro adesiano con Powder her face (1995) il 25 e 26 marzo per il suo Oper.a Festival, l’unica manifestazione italiana convintamente dedicata all’opera dal Novecento alla contemporaneità. Non potevo farmi sfuggire l’occasione di vedere finalmente la prima opera di Adès dal vivo, dopo averne ascoltato più volte la parafrasi per due pianoforti e averla scoperta nella splendida incisione Warner.

 

Powder whose face?

Prima di gettarci nella recensione, ripercorriamo rapidamente l’opera. Il naso da incipriare è quello di Ethel Margaret Whigham (1912-1993), divenuta Duchessa di Argyll sposando in seconde nozze Ian Douglas Campbell. L’ingiurioso appellativo di “dirty duchess” con cui ancora oggi è nota è il lascito di uno dei grandi scandali del Novecento britannico, intriso di moralismo e selvaggio gossip da tabloid. L’opera comincia nel 1990, con la Duchessa ormai anziana e sola in una camera d’albergo mentre un elettricista e una cameriera commentano gli scandali, ridicolizzando la donna. Da qui, l’opera si svolgerà come una serie di istantanee sulla vita della Duchessa. La seconda scena si svolge nel 1934 e vede la Duchessa commentare il proprio recente divorzio (il primo) con una confidente e un gigolò, giocando sprezzante sulla possibilità ora di sposare il Duca di Argyll, interessato ai soldi della Whigham, e poter così entrare ufficialmente nella nobiltà. L’entrata in scena del Duca lancia verso la terza scena, ambientata nel ‘36, in cui una cameriera racconta il matrimonio appena avvenuto, le meraviglie della vita mondana ed elegante, la seduzione del lusso e della ricchezza più sfrenati. La quarta scena fa un balzo in avanti, siamo nel 1953, e la Duchessa si è rifugiata in una stanza d’albergo in attesa dell’incoronazione di Elisabetta II (fan di The Crown unitevi), cogliendo l’occasione per proseguire la sua opera di libertinaggio, incontrare i suoi amanti e sedurre persino lo staff dell’albergo. In quest’atto si svolge quella spregiudicata scena erotica che nel ’95 accese un po’ di scandalo anche intorno all’opera stessa. Con la quinta scena rimaniamo nello stesso anno. Il Duca, in atteggiamenti intimi con un’amante, scopre le voci sulle infedeltà ripetute della moglie e l’esistenza di documenti che a riprova – tra cui le celebri foto. È una delle scene forse più interessanti di Powder her face, per l’evidente distanza morale che separa il Duca (uomo e dunque perdonato se non ammirato per le sue amanti) e la Duchessa (i cui appetiti sessuali non si addicono ad una nobildonna).

 

Il duca e l’amante nelle essenziali ma efficaci scene di Anneliese Neudecker. Crediti © FONDAZIONE HAYDN STIFTUNG.

 

Secondo atto e fine del flashback

Con il secondo atto siamo nel 1955, la causa per il divorzio intentata dal Duca alla Duchessa è iniziata. Il maschilismo della situazione è evidente e il Duca viene ritenuto una vittima della perversa mente della sua consorte. Il giudizio moralista e patetico del giudice si scontra con l’alterigia della ormai ex Duchessa. La settima scena fa un balzo nel 1970, Whigham viene intervistata da una rivista di gossip e si abbandona a commenti ossessivi sulla bellezza, unica cosa che conti nel mondo, fino ad espliciti commenti razzisti e a sua volta moralisti. L’ultima scena torna nel 1990, con la ex Duchessa cacciata dalla sua stanza dal direttore dell’hotel perché avendo dilapidato il suo patrimonio è insolvente da mesi. L’anziana donna cerca di sedurre un’ultima volta il direttore che, inflessibile, la conduce alla porta. Palindromicamente, l’opera viene conclusa da un “Ghost Epilogue” con cameriera ed elettricista, in un ultimo commento lapidario e impietoso.

L’opera è costellata di numeri strumentali, che permettono una certa libertà di manovra al regista, mentre l’agilità dell’organico (15 strumentisti in buca, 4 cantanti sul palco) rende Powder her face un’opera da camera di semplice replicabilità, al netto del virtuosismo delle parti. Difatti, il senso dell’orchestrazione del giovane Adès, all’epoca appena ventiquattrenne, emerge nitido tanto quanto la sua abilità nel caratterizzare ogni ruolo, tra cui spicca la Duchessa, in tutta la sua tragicità, non ponendosi limiti alla scrittura.

 

Il giudice e il popolo benpensante. Crediti © FONDAZIONE HAYDN STIFTUNG.

 

La recita di Bolzano

Delle due recite in programma, ho avuto modo di assistere alla prima, il 25 marzo. Il giudizio complessivo, lo dico subito, è positivo, ma non senza riserve. I musicisti dell’Orchestra Haydn con la direzione di Timothy Redmond hanno dato in generale una buona prova, ma vuoi per qualche peccato di gioventù del compositore, vuoi per una concertazione non sempre immacolata, non sono riuscito a trattenere la sensazione di un po’ di caoticità dalla buca. Per contro, l’ensemble non è riuscito a liberarsi di una certa rigidità che faticava ad adattarsi alla flessibilità richiesta dalla scrittura di Adès, sempre pronto a scivolare nello swing e in una Trivialmusik dal kitsch prorompente e sempre straordinariamente pertinente con la scena. Non male gli equilibri tra buca e palco (i 15 musicisti, vista la preponderanza di percussioni e fiati, non vanno sottovalutati), mentre i punti più riusciti sono stati a mio avviso quelli più intimi e quelli più intensi, tra cui la straordinaria ottava scena. Il cast mi è sembrato nettamente sbilanciato verso le due donne.

Il tenore Timur (Timur e basta, pare) ha trovato momenti più felici quando poteva abbandonarsi ad un’isteria effemminata che ben si addiceva ai suoi personaggi, ma molto in difficoltà il basso Graeme Danby, che tra Duca, giudice e direttore dell’albergo ha faticato a trovare un buon appoggio sulle note più acute, spesso un po’ strozzate, non brillando poi negli altri registri o per doti attoriali. Ben diversi i casi della Duchessa di Sophie Marilley e della cameriera, giornalista, ecc. di Alison Scherzer. La Duchessa è l’unica a non dividersi tra più ruoli, in Powder her face, ma questo anche perché lei in primo luogo è sfaccettata e complessa. Marilley è riuscita a rendere con grande efficacia le contraddizioni interne di questo personaggio, che seduce e impietosisce, che richiede tanto una vocalità sontuosa quanto una marcata forza drammatica, tanto la frivolezza estrema quanto la consapevolezza del proprio dramma. Ancora più notevole la prova di Scherzer: il soprano è riuscito ad unire stabilità e solidità vocale anche nelle saettanti parti che Adès gli affida, affiancando una recitazione disinvolta e di grande effetto, mai caricaturale.

Questo della caricatura è uno dei rischi più grandi dell’intera opera e la regia di Julien Chavaz non è riuscita ad evitarlo completamente. È facile in Powder her face cadere oltre il velo del sarcasmo e sconfinare nel cattivo gusto. Molti movimenti scenici erano esasperati e sovraccarichi, mentre la celebre scena della fellatio era trattata con sbuffi di fumo che uscivano dalle mutande del cameriere come in un cartone animato. Un velo di pudore che ha portato a ridicolizzare una scena potenzialmente assai forte? Eppure poco prima Chavaz non aveva esitato a mostrare l’autoerotismo della Duchessa con la cornetta del telefono. La regia si dimostrava però ben congeniata sia con le essenziali ma efficaci scene di Anneliese Neudecker e le luci di Eloi Gianini, sia con il meraviglioso finale. La scena in cui lo specchio di fronte alla Duchessa si sposta e dietro, inaspettata, compare Alison Scherzer vestita esattamente come lei è stata di enorme impatto ed è riuscita a grattare sotto la superficie dell’opera per dare un messaggio forte, in cui l’individuo si rispecchia nella stessa società che lo schiaccia. E lì, negli ultimi minuti dell’opera, tutte le meravigliose contraddizioni di Powder her face sono emerse con tutta la loro forza, gettando nuova luce sulle due ore appena trascorse.

 

Il meraviglioso finale di Powder her face. Crediti © FONDAZIONE HAYDN STIFTUNG.

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