Cronache del dono e della maledizione, il nuovo album di Simone de Sena

Tra suggestioni rap e l'intramontabile violoncello solista, un nuovo album prodotto da Promu

Simone de Sena, violoncellista di fine talento, membro dei Solisti Aquilani e importante camerista, decide di decorare uno strumento classico come il violoncello di nuovi colori e geometrie, cimentandosi in un album che fa degustare il colto da un calice innovativo, dando vita ad un nuovo concetto di musica.

Cronache del dono e della maledizione, è stato pubblicato da Promu Label, un’etichetta discografica che rende il prodotto musicale artistico e trasversale, abbracciando diversi ambiti e discipline legate al patrimonio storico culturale e alle nuove tecnologie.

Non un album, ma un racconto, una sfida ai confini, a volte invalicabili, delle etichette di genere spesso imposte dal sistema e di riflesso anche dal gusto popolare, perché come scriverebbe Umberto Eco

«Ci sono dei confini al di là dei quali non è permesso andare».

Il violoncello di Simone de Sena in quest’album fonde in maniera intricata il suo background classico con la passione per il rap e l’elettronica, creando un groove dai riflessi sotterranei. Attraverso la sperimentazione, sembra giungere alla nascita di un nuovo movimento musicale, accompagnando l’evoluzione del genere nella fusione tra classico, elettronico, rap. Linguaggi differenti che vengono a contatto e si contaminano tra di loro.

Un album che scavalca la dicitura hic sunt dracones. Spingendosi oltre quei draghi, annullando i confini, offre al pubblico di tutti i gusti e di ogni tipo la possibilità di addentrarsi in un genere musicale ancora inesplorato, dove la voce del violoncello assume una connotazione metropolitana.

E così Simone de Sena, poliedrico violoncellista, narra di un viaggio, fondendo in un album di rottura diversi stili, passando attraverso la musica, la poesia, la letteratura e ispirazioni cinematografiche. Possiamo ascoltare alcune tra le più belle pagine di autori contemporanei come Giovanni Sollima, Mark Summer e John Zorn, fino a catapultarci nella sperimentazione elettronica con montaggi di liriche e riferimenti letterari dell’Inferno di Dante, sapientemente interpretati da Vittorio Gassman, e nel rapper della scena underground romana con artisti come Esdì e Lebby J., restituendoci una versione 2.0 di quello che sarebbero oggi brani dall’antico gusto colto europeo.

Attraverso un racconto che fa da filo conduttore a tutto l’album, l’artista scava e analizza gli istinti più primitivi e meschini dell’essere umano, attraverso imprevedibili cambi musicali, dipingendo la psicoanalisi di una società in declino. Il racconto è scritto e interpretato dal rapper Esdì, raccontando gli ultimi istanti di vita di un personaggio ispirato ad uno dei maledetti protagonisti della filmografia di Lars Von Trier.

Quinte Parallele ha intervistato per voi l’artista Simone de Sena

Simone, raccontaci il tuo album

L’album è il frutto di una lunga ricerca, iniziata in realtà molti anni fa, che parte da luoghi che sono rimasti particolarmente impressi nella mia mente, nei quali ho suonato o che ho semplicemente esplorato durante i miei viaggi. Così ho deciso di riassumere dei pezzi per violoncello solo, legati a questi luoghi, andando a scavare e cercare la loro storia e la loro origine nascosta. Da subito l’idea di sperimentazione è stata molto determinante, quindi decisi fin dal primo istante di inserire l’elettronica all’interno di alcuni brani dell’album. Avevo il desiderio di sperimentare come sarebbero stati alcuni brani storici, come la Follia di Marin Marais, oggi, nel 2022.

Dunque parti da un bisogno di sperimentazione del tuo essere artista piuttosto che da un tentativo di rendere un genere colto fruibile a ogni tipo di pubblico?

Sì, ho voluto creare in un unico album un percorso bilaterale e inverso: da una parte ho voluto inserire il rap su brani appartenenti al genere colto già esistente.  Dall’altra ho voluto ricreare i suoni elettronici di Kanye West con il violoncello, uno ad uno, ricreando con uno strumento di legno dei suoni campionati. E così troviamo nello stesso album un brano come La Follia 2.0 che trasporta in elettronico un Marin Marais del 1680, e un brano come Nuovi Schiavi, che riporta in acustico un Kanye West del 2000.

Nel tuo album fondi due mondi considerati agli antipodi, il classico e l’urban.

Sì, la mia idea e morale è quella di creare un album alla portata di tutti. Proprio per questo è stata scelta in modo mirato la copertina che contiene la citazione di un album di Eminem, proprio per far capire al pubblico già dall’impatto grafico che l’album è una fusione tra questi due mondi.

Come è possibile per te andare oltre il significato di genere musicale?

In questo album ho pensato di dare un tocco metropolitano ad uno strumento, che fin dalle prime pagine della musica barocca, ha visto i più grandi compositori cimentarsi alla creazione di un suo repertorio solistico. Per rendere possibile questa sfumatura dark mi sono affidato alla collaborazione di alcuni artisti urban di Roma come WhiteNoise, e dei rappers della scuola romana, come Esdì e Lebby J. Con loro, attraverso un percorso di rielaborazione e sperimentazione, abbiamo creato brani come la Follia 2.0, creando una versione contemporanea del famosissimo tema rinascimentale.

Questo disco dal sapore moderno è stato confezionato all’interno di luoghi traspiranti cultura, una scelta casuale o ricercata?

È stata assolutamente una scelta ricercata. Ho registrato la scorsa primavera le tracce dell’album nella bellissima Villa Livia di Roma, Via Appia Antica, e per bagnare l’album ancora di più di un colore nero profondo, abbiamo deciso di creare il booklet nel sottotetto del Teatro Verdi di Firenze. Questo soffitto molto scuro, senza nemmeno una finestra, ha l’intento di richiamare l’oscurità che tocca l’album e la storia in esso narrata.

Cosa rappresenta per te la storia inserita all’interno dell’album?

La storia, scritta interamente dal rapper Esdì, descrive gli ultimi istanti di vita di un immaginario assassino seriale senza nome, personaggio ispirato ad uno dei tanti protagonisti maledetti della filmografia del talentuoso ed innovativo regista Lars Von Trier. La storia accompagna il pubblico durante l’ascolto dell’album, scavando e analizzando gli istinti più meschini e primordiali del personaggio, ma anche della società moderna in declino che ci circonda.

Questo album supera il linguaggio tradizionale, confluendo quasi in un nuovo genere. Era questo il tuo intento?

Sì, fondere due mondi agli antipodi, unire le varie culture musicali e fondere artisti di background assolutamente differenti.

Progetti futuri?

Sicuramente creare uno spettacolo live dell’album che possa vedere la partecipazione attiva di tutti gli artisti che hanno collaborato alla sua realizzazione, pensato come un unicum, in cui la narrazione della storia si sposti reiteratamente dalla voce alla voce del violoncello.

A breve avrò anche dei concerti conclusivi della stagione con il mio gruppo dei “Solisti Aquilani”. Avrò anche dei concerti da camera, con un quintetto di Brahms con il clarinetto e il primo violino del Maggio musicale fiorentino.


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