Una risposta sul caso Gergiev

Gentilissimi,

Ho letto con ammirazione il lungo intervento di Alessandro Tommasi sull’affaire Gergiev.

Da musicista, da Pubblico Ufficiale della Cultura (scusate l’eccesso germanofilo di maiuscole) quale mi sento -per formazione e ruolo ricoperto-, ho istintivamente approvato la decisione del Sindaco Sala; poi ho imbastito una riflessione più strutturata e sono giunto a conclusioni molto simili a quelle ben esposte da Tommasi.

Non si tratta, come ha scritto qualcuno, di un rigurgito premoderno, di una tragica volontà del Potere di controllare la coscienza dell’individuo. Qui è in gioco qualcosa di meno altisonante, se vogliamo, e sottilmente più importante.

Ho reagito con sdegno all’improvvida iniziativa – poi maldestramente rientrata – dell’Università di Milano Bicocca che cancellava delle lezioni sul povero Dostoevskij, ma Gergiev non è Dostoevskij.

Soprattutto perché è vivo, mi verrebbe da dire; vivo e disponibile a prese di posizione nettamente politiche, come nel caso dell’annessione russa della Crimea.

In Italia abbiamo sofferto da sempre per la collocazione del musicista ai margini della Cultura vera, in una zona grigia che è più prossima allo “spettacolo”, al “divertimento”. A volte lo si considera solamente un (bravo, bravissimo) giullare, che non ha mai lontanamente a che fare con quella cosa ingombrante che si chiama verità. Questa volta senza la maiuscola: non l’arma da taglio che troppi brandiscono sulle teste altrui, ma quella che nasce dal nostro incontro con l’interiorità – nostra e dell’Altro – in dialogo circolare con il Mondo e i suoi movimenti. L’arte ha quel ruolo e quel valore, se no non ce ne facciamo nulla, è solo ciarpame decorativo.

Se Sala avesse permesso a Gergiev di dirigere La dama di picche senza colpo ferire, sarebbe stato sepolto sotto un coro di riprovazione per la cinica indifferenza. Se avesse risolto unilateralmente il contratto con Gergiev, si sarebbe unito agli imbecilli dell’Università che volevano tacitare Dostoevskij, scomodo perché russo.

Ha scelto l’opzione più saggia ed equilibrata, mescolando alte ragioni ideali e un po’ di opportuna concretezza. Poteva fare di meglio? Può darsi, ma non avrei avuto grandi suggerimenti da offrirgli.

Inoltre al grande direttore russo non è stato impedito di esprimere le proprie opinioni. Gli si è fatto presente che l’implicito sostegno ad una brutale guerra di aggressione avrebbe costituito un motivo per fare a meno dei suoi – sia pur splendidi – servigi artistici.

Non nego che Céline sia uno scrittore degno di questo nome, ma le sue ributtanti prese di posizione mi obbligherebbero a non invitarlo, se organizzassi un festival di letteratura per fantasmi. Se altri vogliono leggere Céline, lo possono fare, senza che io mi scandalizzi. Il Teatro alla Scala ha semplicemente detto a Gergiev quello che io avrei detto a Céline. E prendendo le distanze, non lanciandogli un missile sulla casa.

Ancora complimenti ad Alessandro Tommasi per la lucidità e la forza del suo articolo.

Con i più cordiali saluti.

Alberto Borello


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