FUTURSTAGE – Un manifesto per il palcoscenico del futuro

La prima traduzione italiana del manifesto prodotto dal metaLab di Harvard

Dal 2020 al 2021, un gruppo di 22 professionisti, studiosi, docenti, provenienti dai più diversi ambiti del design, delle arti performative, del management culturale, si sono riuniti per un progetto coordinato da Jeffrey Schnapp e Paolo Petrocelli del metaLAB di Harvard. Il risultato del progetto è stato il manifesto FuturStage, dedicato al futuro delle arti performative, che espone una visione – anche provocatoria – di come potrebbe e di come dovrebbe apparire il palcoscenico del futuro, nelle sue più diverse accezioni e con particolare attenzione all’innovazione tecnologica. A Quinte Parallele abbiamo studiato e approfondito il manifesto, per portare il nostro punto di vista sui molti spunti che contiene e provare a offrire riflessioni concrete basati sul particolare mondo della musica classica. Nelle prossime settimane, usciranno diversi interventi di commento: ogni discussione è vitale per portare avanti una seria interrogazione su cosa si intenda oggi per innovazione nell’ambito della nostra musica.

Di seguito, la prima traduzione italiana del manifesto, a cura di Lara Martelozzo e Alessandro Tommasi.

 


 

LA PERFORMANCE ARTISTICA È UN DIRITTO UMANO

La performance artistica non è una merce. Non è un lusso. Non è qualcosa di accessorio allo scorrere della vita. Non appartiene alla dimensione immateriale, allo stato o ai finanziatori privati. Non si limita ai luoghi in cui viene realizzata.

Che sia un’improvvisazione di strada o una rappresentazione formale di un’opera del passato, la performance artistica vive nel momento.

La performance artistica è interstiziale e connettiva; è in continuo sviluppo, ricreata ex novo nell’atto dell’esibizione. Porta in scena suoni, immagini, odori, corpi, spazi, tempi e sensazioni. Lungi dallo starsene in disparte, è anzi virtuosamente intrecciata con tutte le altre arti, da quelle spaziali alle figurative.

La performance artistica è una forma fluida che nasce dalle interazioni: tra il performer, il team di produzione, il pubblico; tra la natura e la cultura; tra l’uomo e la macchina; tra l’architettura e gli esseri viventi.

La performance artistica è un bisogno umano: bisogno di libertà d’espressione, di fantasia e finzione, di un senso di appartenenza individuale e collettiva sempre più profondo, di esperienze condivise dalle quali nascono comunità e popoli. Nella gerarchia dei bisogni umani fondamentali, la performance artistica dà gli strumenti per l’autorealizzazione, l’autostima, il senso di familiarità e di interconnessione sociale nelle e tra le comunità.

La performance artistica è un diritto umano. Non nel senso più noto e illuministico del termine, che troppo spesso ha spacciato per ideali universalisti realtà omologanti a scapito di culture indigene e di popolazioni colonizzate e private di ogni potere. È un “diritto” carico di domande universali ed essenziali: come può il diritto alla performance fondarsi su, definirsi in base a, criticare o risanare il dialogo postbellico sui diritti umani? Come può quel diritto essere esteso a tutto lo spettro delle arti, dalla danza all’opera, dalla musica al teatro, dai video allo streaming, a culture bottom-up invece che top-down? Come può non soltanto far convergere pubblico e pratiche che costituiscono il mondo dello spettacolo locale, ma anche farsi ponte tra popoli, culture, classi sociali e generazioni? Come può essere equamente tradotto in un sistema di diritti d’autore per interpreti e creatori?

La performance artistica è un diritto umano e il diritto di esibirsi e di vivere lo spettacolo deve diventare parte integrante della pianificazione delle politiche e della vita economica, incastonata nel tessuto sociale tra spazi pubblici e dibattiti civici, soprattutto ora che il mondo è alle prese con il trauma e le perdite causate dalla pandemia e sente la necessità di ricostruire un nuovo senso di comunità a livello locale e globale, oltre che una responsabilità condivisa per il destino del nostro pianeta. Lo stesso vale per il settore dell’educazione: nessun percorso educativo dovrebbe essere considerato completo se il bambino non ha fatto esperienza delle arti performative della sua cultura.

 

ARCHITETTURE CONNETTIVE: IL PALCOSCENICO DEL FUTURO

Dato che la performance artistica è un aspetto fondamentale della società, il “palcoscenico” tradizionalmente inteso è solo la punta più visibile e formalizzata di una moltitudine di fasi che caratterizzano la vita di una comunità in un dato tempo e luogo. È per questo che il palcoscenico del futuro non può essere ripartito tra o conformato unicamente a dei modelli di performance plasmati nel passato, recente o remoto. È per questo che il palcoscenico del futuro ha bisogno di essere intimamente connesso alle altre dimensioni su cui si svolge la nostra vita, da strade e marciapiedi a TikTok e Zoom, dagli uffici agli eventi culturali e i festival.

Gli spazi adibiti alla modalità di performance in loco non possono, dunque, essere solo i palcoscenici del passato. Devono agire da tessuto connettivo tra interno ed esterno, tra passato, presente e futuro, tra il fisico e l’online. La loro struttura fisica deve necessariamente riflettere quest’identità connettiva, anche quando un determinato tipo di performance decide di astenersi dal digitale.

Che aspetto hanno questi teatri e questi spazi performativi? Che forma dovrebbero avere? Una moltitudine di forme ridisegnate in base al luogo, al contesto e al genere specifici.

Nella visione A, il palcoscenico del futuro è un laboratorio di trasmissione che pone le sue fondamenta sui teatri-laboratorio del secolo scorso, sui momenti rituali di incontro comunitario. Nella visione B, il palcoscenico è uno studio di produzione in cui il pubblico sta davanti e dietro, da un lato all’altro, sul palco e fuori dal palco, in presenza e online. Nella visione C, il palcoscenico è un parco giochi interattivo e partecipativo in cui la realtà è stratificata, arricchita di sogni e illusioni virtuali. Nella visione D, il palcoscenico è uno “spazio” diffuso che vive nel cloud, dove l’intelligenza artificiale è lo storyteller e persiste solo la realtà virtuale. Nella visione E, è l’animazione di spazi interni ed esterni concepiti senza alcuna allusione alla trasformazione in effettive scene. Nella visione D, è una scena della mente, che non ha bisogno di incarnazione.

Non c’è una risposta.

Ma non è nemmeno sufficiente continuare a replicare le forme tradizionali o semplicemente costruire scatole vuote, lasciando al futuro il compito di riempirle.

Le nuove architetture teatrali devono prendere dei rischi e questi rischi devono essere interconnessi, transmediali e transculturali.

 

LIVENESS PLUS: NUOVI ORIZZONTI DEL NETWORK

Tra i palcoscenici che più efficacemente riescono a plasmare la società contemporanea ci sono quelli connessi all’ubiquità dei network e dei dispositivi di rete, nei molti modi in cui questi stanno rimodellando i contorni dell’esperienza e dell’interazione umana. Che riguardi gli interpreti o il pubblico, l’aura dei flussi di dati e algoritmi che ora circonda, caratterizza ed irradia da ogni azione umana richiede una conoscenza approfondita della performance live: è ciò che chiamiamo “liveness plus”.

La performance dal vivo può e deve rimanere un attributo fondamentale di tutte le forme di spettacolo, siano esse del passato o del presente. Ma questo, nel palcoscenico del futuro, significa affrontare il “quando”, il “cosa” e il “dove” della performance in condizioni che rendano sfumati i confini tra presenza e tele-presenza, tra corporeo e multimediale, tra azione umana e flusso di dati, tra coscienza e metaverso.

Questa modalità espansa non può più essere pensata in un secondo momento rispetto alla rappresentazione. Al contrario, implica l’apertura di nuovi orizzonti di esperienza per pubblico e interpreti: esperienze viste da angolazioni e con scale percettive e temporali finora inimmaginabili; eventi che vogliono essere valore aggiunto a ogni canale in cui è strutturata l’esperienza.

La “liveness plus” non ha solo bisogno di essere integrata a ogni palcoscenico del futuro, richiede l’implementazione di nuovi approcci organizzativi, programmazioni e modelli di business; nuovi modelli di inclusività, accesso e diffusione; nuovi modelli di governance e responsabilità, nuove impalcature giuridiche. Richiede delle nuove modalità di formazione per gli artisti, che si ritrovano a confrontarsi con la natura cangiante della performance stessa e con il confine sempre più sottile tra interpreti e pubblico. Richiede un riesame delle caratteristiche basilari dell’economia delle arti e delle pratiche artistiche, come la tournée.

 

PERFORMANCE AGILE: LE TOURNÉE ALLA PROVA

Le tournée rimangono uno dei pilastri della moderna economia dello spettacolo. Ma la tournée, prima che un diritto umano, è una necessità per gli artisti che, a causa del ruolo sempre più totalizzante di etichette discografiche, editori, sale da concerto, servizi di streaming e altri intermediari, non possono sopravvivere basandosi solo sull’incasso da biglietti e incisioni. Tutto ciò deve cambiare.

I terribili scenari previsti dal cambiamento climatico esigono nuovi modelli di sviluppo, condivisione, sostentamento e distribuzione, una rivisitazione del concetto di tour, un ripensamento di come assicuriamo la libera circolazione di idee e culture oltre i confini nazionali. In essi è implicito che una tournée, come la si intende oggi, debba via via diventare l’eccezione, più che la regola. Questi scenari chiedono ridefinizioni innovative della tournée: modalità di performance agili, a basso costo, telematiche, multisede; delle collaborazioni internazionali che facciano leva sul potere delle piattaforme digitali; delle performance concepite perché possano viaggiare da un sito all’altro, da una società all’altra, riducendo sensibilmente gli spostamenti umani; residenze di artisti in un numero ridotto di strutture, invece di costosi e superflui spostamenti tra città e continenti. Questi sono solo alcuni barlumi della tournée del futuro, barlumi che rimarcano un imperativo sempre più urgente: nelle loro scelte, i responsabili delle politiche culturali e delle decisioni prese oggi, per non menzionare artisti e team di produzione, devono affrontare l’impronta ecologica della performance.

 

NON IMPIGLIARTI NELLA RETE: APPROPRIATI DELLO STREAMING

Mettere in rete la performance ci pone di fronte al problema dello streaming dal vivo, l’alternativa sulla quale istituzioni e artisti hanno fatto maggiormente affidamento durante il lockdown. Sono comprese nel concetto di “streaming” tutte quelle modalità di diffusione che permettono di viaggiare nello spazio e nel tempo pur rimanendo fermi in un luogo; mentre con “appropriarsi” intendiamo i concetti di “accogliere”, “riconoscere” e “assumersene la responsabilità”.

Surrogato dell’esperienza in loco e dal vivo, il live streaming ha lo straordinario potenziale di democratizzare e delocalizzare quelle forme culturali che sarebbero altrimenti inaccessibili. È ormai certo che avrà un ruolo fondamentale nel futuro della performance. Ma non come mero accessorio o compromesso per lo spettacolo dal vivo. E non senza che avvengano dei cambiamenti fondamentali a modelli già esistenti di proprietà e generazione di reddito. (Anche i grandi interpreti hanno scoperto durante questa pandemia che l’arte, oggi, non può vivere solamente di streaming). E nemmeno senza tenere in considerazione le profonde disuguaglianze che sussistono tra nazioni, regioni e generazioni per quanto riguarda la possibilità di accesso alla banda larga, disuguaglianze che compromettono il futuro delle arti performative.

Trasmettere una performance progettata per determinati spazi e dimensioni senza adattamenti o modifiche non è un’innovazione capace di interfacciarsi con profondità e ampiezza di sguardo alla rivoluzione mediatica. Nel migliore dei casi, è come versare del vino vecchio in una bottiglia nuova; nel peggiore, si rovina il vino. Lo streaming adempie alle sue promesse quando ragiona creativamente e criticamente sulle specificità, capacità e possibilità che possiede in quanto nuovo media culturale. Ciò significa esplorare un nuovo universo di esperienze online che sia, nella sua essenza, diverso dall’evento in presenza, anche quando i due si intersecano. Perché possono intersecarsi. E questo punto di intersezione deve essere vagliato separatamente in quanto proposta di valore aggiunto, che arricchisce e anima sia l’esperienza online che quella dal vivo.

Espressione chiave della “liveness plus”, lo streaming deve diventare una funzionalità perfettamente integrata in ogni performance, non meno integrale e concreta di luogo, istituzione, interpreti, atmosfera. Allo stesso modo, deve entrare a far parte dell’infrastruttura concettuale e fisica del palcoscenico del futuro.

Appropriarsi dello streaming significa molte cose: dal punto di vista del pubblico, significa impegnarsi per rendere lo streaming parte integrante di ogni performance; dal punto di vista economico, significa fare in modo che lo streaming sostenga la creazione di contenuti, i creator e gli artisti tramite nuovi modelli di business; dal punto di vista architettonico, significa rendere possibile ad ogni scena di trasmettere la propria performance via streaming in modo quanto più dinamico e “a prova di futuro” possibile.

Appropriarsi dello streaming chiede uno sforzo stratificato. Implica inclusività, co-creazione e democratizzazione; ma soprattutto implica una riconcettualizzazione e una redistribuzione tanto del capitale reale quando di quello simbolico.

 

IMMAGINARE, INNOVARE, FORMARE: LE NUOVE PROFESSIONI DELLO SPETTACOLO

Così come il palcoscenico del futuro richiede strutture, infrastrutture e modalità di performance nuove, esso esige anche dei nuovi e più versatili approcci alle strutture organizzative e di business, al management delle arti performative e al reclutamento del personale.

 

COMPETENZE

Invece delle tradizionali scuole di spettacolo, il palcoscenico del futuro chiede approcci multidimensionali e profondamente interdisciplinari alla formazione, che esplorino una nuova idea di rapporto tra creazione, produzione e fruizione; chiede che i nuovi mondi dello spettacolo, potenziato dalle nuove tecnologie, avvicinino sempre più la performance e la formazione tecnica.

Invece dei tradizionali amministratori, deve promuovere una nuova generazione di leader culturali che lavorino con la “liveness plus” come elemento organico e pienamente integrato nel processo creativo.

Invece dei tradizionali artisti, richiede artisti per cui lo storico confine tra l’interprete e il pubblico divenga una membrana permeabile e l’espansione tecnica e virtuale, l’arricchimento del loro lavoro divengano pane quotidiano.

Invece dei tradizionali consulenti teatrali, impone una concezione integrata degli spazi della performance secondo i criteri della “liveness plus”, accelerando la formazione di nuove tipologie di relazione tra i creator, il pubblico e i consumatori interattivi.

Invece del marketing tradizionale, richiede dei rapporti più sofisticati e interattivi con i pubblici e i consumatori, una personalizzazione, un riconoscimento di quanto sia ormai superata la linea di confine tradizionalmente impermeabile tra artisti e pubblici.

Invece dei tradizionali direttori finanziari di formazione ragionieristica, vuole dei veri e propri ideatori di modelli business e artisti del reddito più sofisticati e inventivi.

 

STRUTTURE

È necessario che ogni persona coinvolta nello spettacolo possa lavorare interdisciplinarmente, così che non venga perpetuata la tradizionale divisone di competenze anche nelle nuove strutture aziendali e organizzative.

È necessario mettere da parte le gerarchie professionali (spesso radicate su disuguaglianze storiche e su una centralizzazione esclusionista del potere e della redistribuzione di risorse) e riconoscere il primato che scaturisce da nuovi metodi lavorativi, con lo scopo di identificare, favorire e realizzare al meglio le fondamentali innovazioni lavorative.

Queste considerazioni stanno iniziando a modellare un universo espanso di professioni dello spettacolo per il palcoscenico del futuro. Di seguito una lista, di carattere speculativo, di alcuni dei ruoli transmediali che potrebbero emergere:

1. Animatore di Waiting Room: L’equivalente nell’era di Zoom di un presentatore che prima dello spettacolo saluta il pubblico nella sala d’attesa digitale e ne prepara l’attenzione mentre si attende l’inizio della performance. Che questo “animatore” sia un attore, un musicista, un comico o un prestigiatore è meno importante del fatto che lui o lei mettano in moto l’entusiasmo e la concentrazione del pubblico.

2. Agente Immobiliare Virtuale: Un libero professionista esperto in “case” tecnologiche; le autoregolamentazioni volontarie aiutano i produttori ad esplorare tutte le piattaforme digitali disponibili e a trovare la giusta combinazione di software/hardware/programmi che risponda al meglio ai bisogni di una data produzione. Fortemente connessi al mondo dell’intrattenimento tech, gli agenti immobiliari virtuali aiutano anche a mediare nei contratti di mutuo beneficio, che supportano e sostengono la programmazione streaming.

3. Regista del Lag; Nel prossimo futuro, la lag di immagini e suoni e gli annessi bug saranno una parte inevitabile della performance transmediale e digitale. Parte produttore, parte tecnico, il lavoro del regista del lag è di far sembrare queste “irregolarità” delle caratteristiche già previste di ogni performance tramite interventi e improvvisazioni sul momento.

4. Maestro di Sottotitolaggio Live: Le performance interconnesse offrono una maggiore accessibilità e dei nuovi modi di espressione tramite il captioning. Il sottotitolaggio dal vivo si presenta in molte forme. Può servire come supporto, apportando il giusto equilibrio di supporti testuali ad una performance che altrimenti potrebbe risultare incomprensibile a causa della lingua, del contesto storico, o della sua complessità. Può anche servire da modalità di esecuzione a sé stante, con i sottotitoli che forniscono feedback e annotazioni al volo, alla ricerca di effetti stranianti, comici o drammatici.

5. Schermografo: Uno scenografo per gli schermi. Addestrato al pensiero critico e creativo riguardo al design di spazi digitali, di realtà virtuale e aumentata, lo schermografo adatta le competenze e gli strumenti di uno scenografo all’ambiente digitale ed esplora un nuovo tipo di ibridismo schermo/spazio.

6. Alfiere dell’Accessibilità: Assicura l’accesso alla performance in tutti i sensi, dall’accesso fisico alle strutture per pubblico e staff, all’accesso del pubblico online da remoto. Le responsabilità in questione includono non solo la preparazione e la progettazione, ma anche un sevizio di problem solving presente e immediato.

7. PerforMedium: Opera in loco e ha la responsabilità di dare alla luce nuove opere superando il divario tra analogico e digitale. Con un ruolo che è non solo tecnico ma anche creativo, cerca di interpretare una determinata performance in modo da riconciliare le specificità di spazio e luogo e la necessità di catturare, trasmettere e assistere da remoto.

8. MetaCollettore: Coinvolto nel design di una performance fin dall’inizio, il metacollettore è responsabile della creazione di strumenti, documentazioni e supporti tecnici necessari a rendere la performance distribuibile e adatta a molteplici sale, in modo da ridurre o eliminare il bisogno di personale viaggiante per lo show.

 

RIPENSARE IL FUNDRAISING: NUOVI MODELLI DI FINANZIAMENTO

Il finanziamento delle arti performative è in crisi. In tantissimi modi. Le sue innovazioni rimangono delle idee astratte. Ripartisce le risorse in modo asimmetrico, sulla base di precedenti e spesso con scarso riguardo verso i cambiamenti demografici e sociali. Invece di guardare in avanti, torna indietro. Sottovaluta il ruolo delle istituzioni culturali come motori nella creazione di valore, oltre che fonte di sviluppo economico locale e regionale.

Cosa si deve ripensare? Quasi tutto.

I finanziamenti pubblici rimangono come sempre essenziali per le innovazioni del palcoscenico del futuro (i costi legati alla costruzione di sale d’avanguardia o alla ristrutturazione di vecchi palcoscenici non potranno mai essere sostenuti dalle sole entrate di biglietteria).­­­­

– Il presupposto per i finanziamenti pubblici non deve essere la tradizione o un precedente, ma l’innovazione e la creazione di un nuovo pubblico. Troppe tra le più grandi istituzioni delle arti performative oggi risultano arretrate e autoreferenziali: c’è un urgente bisogno sia di meccanismi partecipativi e comunitari per l’assegnazione delle risorse a livello locale e nazionale, sia di un approccio creativo alle partnership locali e internazionali.

– I finanziamenti privati sono più che mai benvenuti: non a sostituzione dei finanziamenti pubblici, bensì per completarli (specialmente come agenti di stravolgimento e rivitalizzazione).

– I regimi fiscali che governano il settore delle arti performative sono ormai datati, si focalizzano sulla creazione di valore locale (per la città, la regione, ecc). Raramente, se non mai, tengono in considerazione l’intera gamma dei flussi di guadagno, lasciando denaro inutilizzato, il più delle volte a scapito degli artisti (troppo spesso trattati come delle semplici “voci di costo”).

– La maggior parte dei sistemi di IVA classificano le arti performative come bene di lusso (ed è profondamente sbagliato: la performance è un bene essenziale)

– I modelli di sponsorizzazione rimangono sclerotici, mal calibrati rispetto ai bisogni attuali. L’epoca dei contributi in denaro in cambio della presenza del logo aziendale è finita. C’è bisogno di nuovi modelli di partnership che creino un valore autentico sia per gli sponsor che per chi ne riceve i finanziamenti.

– È urgente e necessario innovare i finanziamenti e la gestione del copyright (è giunta l’ora di sperimentare con modelli alternativi, dal crowdfunding alle organizzazioni autonome decentralizzate e/o NFT).

Cosa accadrà se non si accoglieranno nuovi modelli di finanziamento per costruire, supportare e sostenere il palcoscenico del futuro? I palchi fisici languiranno. Lentamente, il pubblico li abbandonerà. Ci si ritroverà ad assistere alle arti performative solamente da dietro a uno schermo. Ma lo schermo e lo streaming sono i migliori amici del palcoscenico del futuro, i mezzi con cui lo spettacolo dal vivo può essere reinventato e rinnovato nel suo ruolo fondamentale, approdando finalmente alla “liveness plus”.

 

I CONCETTI CHIAVE

Il palcoscenico del futuro richiede nuove strutture architettoniche, organizzative e umane

(nuovi impianti fisici, nuovi modelli di finanziamento, nuovi ruoli professionali).

La liveness plus sarà la norma sui palcoscenici del futuro 

(raddoppiamo e costruiamo un ecosistema che promuova l’inclusività, un maggior accesso e a costo ridotto, oltre che modalità di performance più partecipative e una maggiore interazione con il pubblico).

Un pubblico del futuro per il palcoscenico del futuro

(il pubblico deve essere nutrito, dev’essere accolto: questo sarà possibile solo grazie a dei nuovi e freschi approcci alla programmazione).

Lo streaming è un media creativo (non un supporto) del palcoscenico del futuro

(esploriamone la specificità).

Il palcoscenico del futuro richiede piattaforme digitali migliori, più eque e più creative

(delle piattaforme che supportino i content creator e la partecipazione del pubblico, che promuovano modelli di proprietà equa e distribuita per i contenuti culturali).

Come lo spettacolo del passato, il palcoscenico del futuro richiede finanziamenti pubblici e privati con un focus specifico sulla creazione di nuovi pubblici

…e soprattutto…

Il palcoscenico del futuro è adesso.

(non ci può essere un ritorno a ciò che chiamiamo “normalità”, un sistema già compromesso; il momento per il coraggio, i progetti e le azioni è adesso).


Il progetto è coordinato da Jeffrey Schnapp (founder/director, metaLAB) e Paolo Petrocelli (director, Stauffer Academy for Strings)

Membri del Gruppo di Ricerca:
Matthew Battles (USA) Director of Scholarly Initiatives, metaLAB (at) Harvard
Cathie Boyd (Ireland/Scotland) Founder & Artistic Director, Cryptic
Marc Brickman (USA) Managing Director, Tactical Manoeuvre
Paolo Ciuccarelli (Italy/USA) Founding Director, Center for Design, Northeastern University, Boston
Wesley Cornwell (USA) Harvard Graduate School of Design
Lins Derry (USA) Prinicipal, metaLAB (at) Harvard
Evenlyn Ficarra (UK) Associate Director, Centre for Research in Opera and Music Theatre, University of Sussex
Mariana Ibañez (Argentina/USA) Chair and Associate Professor, Architecture and Urban Design, UCLA; Co-founder, Ibañez Kim
Simone Kim (USA) Director, Immersive Kinematics Research Group; Co-founder, Ibañez Kim
Mohammed Obaidullah (Saudi Arabia) Producer
Jay Pather (South Africa) Director, Institute for Creative Arts, University of Cape Town
Paolo Petrocelli (Italy) Research Affiliate, metaLAB at Harvard
Cui Qiao (China) President, Beijing Contemporary Art Foundation
Magda Romanska (USA) Associate Professor of Theatre Studies and Dramaturgy, Emerson College; Executive Director and Editor-in-Chief, TheTheatreTimes.com
Adama Sanneh (ITA) Co-Founder and CEO, Moleskine Foundation
Anthony Sargent (UK) International Cultural Consultant
Jeffrey Schnapp (USA) Faculty Director, metaLAB (at) Harvard
Shain Shapiro (UK) Founder & CEO, Sound Diplomacy
Sydney Skybetter (USA) Founder, Conference for Research on Choreographic Interfaces
Jean-Philippe Thiellay (France) President, Centre national de la musique
Shahrokh Yadegari (USA) Director, Sonic Arts Research and Development group at the University of California San Diego; Director, Initiative for Digital Exploration of Arts and Sciences at the Qualcomm Institute

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