Argerich e Dutoit: un abbraccio tra due giganti

La nostra cronaca del concerto del 9 dicembre 2021 presso il Casino Bern con l’European Philarmonie of Switzerland

Un concerto attesissimo da tutta la città di Berna. Argerich e Dutoit sono infatti sinonimo di grandi attese e aspettative. Nel programma pagine titaniche come il Concerto di Ravel per pianoforte in sol maggiore e la Nona di Dvořák. Poche volte nell’epoca Covid ho visto sale traboccare di pubblico come in questa serata, ma in effetti si gioca facile.

Il concerto si apre con Jeu de Cartes di Stravinskij: scelta bizzarra, un’apertura del concerto poco convincente sia come scelta del brano sia come esecuzione. Brano nuovo per l’orchestra, una risposta del pubblico un po’ timida, le sopracciglia parlanti e minacciose di Dutoit? Difficile dirlo con certezza; ciò che è certo è la presenza di Martha nel pianoforte prepotentemente in attesa a lato del palco. I pochi posti liberi sono occupati mentre lei sale sul palco.

Martha e Ravel

Martha Argerich mette le mani sul pianoforte prima che l’applauso muoia del tutto: difficile dire chi sia più intrepido tra lei e Dutoit. La sinergia tra Ravel e Argerich non è una novità, ma ciò che emoziona e sconvolge è la naturalezza, la solidità umile e senza sfarzi. Il primo movimento si apre allegramente (di nome e di fatto) con una Argerich trasfigurata nello slancio delle prime battute. Cattura e travolge senza presunzione. I dialoghi con fiati e percussioni sfiorano livelli cameristici rari nella musica per solista e orchestra, possibili solo con grandi interpreti e repertori altrettanto importanti.

 

Dutoit è duttile e quasi liquido nella direzione di un Concerto che gode di un’orchestrazione di rara bellezza, e non aggiunge altro. Pretende dall’orchestra una risposta rapidissima al cambio di colori e atmosfere; prepara la liricità della Argerich prendendosi cura di tutto ciò che circonda la parte del pianoforte. Come direbbe Leonard Bernstein “Il direttore d’orchestra è una sorta di scultore il cui elemento è il tempo, anziché il marmo”È esattamente questa l’immagine che Dutoit proietta di se stesso durante tutto il concerto. Presente e trasparente, s’immobilizza all’inizio del secondo movimento e non è il solo.

Martha accoglie il silenzio e lo riempie già solo con i primi sei accordi nella mano sinistra dell’Adagio assaiquesto è uno di quei momenti rarissimi della vita durante il quale si è serenamente rapiti e coscienti dell’unicità di cosa sta accadendo nella sala. Dutoit, l’orchestra e il pubblico ascolta la Argerich come se non stesse suonando, in totale contemplazione. Morbidissimi l’orchestra e il lungo dialogo con il corno inglese, questo è l’unico momento dell’intero concerto durante il quale Dutoit porta il dito alla bocca come a chiedere silenzio, soprattutto quando Martha suona da sola. Ancora una volta il pensiero musicale ed espressivo della Argerich è così limpido e inequivocabile da lasciare atterriti, ma mai confusi.

Il Presto finale è ancora una volta una corsa quasi gershwiniana dove eccelle l’assoluto controllo e decisione di Dutoit: la partitura scivola senza intoppi, fluida e sicura, mentre la Argerich fa brillare il pianoforte in tutta la virtuosità e il carattere di quest’ultimo movimento. Apprezzatissimo è l’equilibrio dei volumi e dei colori: l’orchestra controlla molto bene il contrasto tra esuberanza e furbizia, caratteri principali di queste ultime pagine del Concerto.

Ci vogliono cinque minuti di applausi per far sedere di nuovo al pianoforte Martha: inchini profondissimi e un timido sorriso sul viso, sembra una giovane solista ai primi successi. Distrugge il generoso bouquet pur di dare una rosa al primo violino, gesto apprezzato dal diretto interessato e dal pubblico che non vuole lasciarla andare. Abbracci tra giganti, quelli tra lei e Dutoit. Un baciamano e via, fuori dal palco insieme, mano per la mano, come due confidenti che si r’incontrano dopo una lunga assenza e ricordano ancora il movimento dei passi dell’altro.

Argerich

Charles Dutoit e Martha Argerich ieri e oggi: due anime colossali

 

Quando ormai il pubblico si sta arrendendo Martha si siede e accenna il primo movimento delle Kinderszenen di Schumann, “Von fremden und Ländern und Menschen”, ed è una meteora: sfiora appena il pianoforte, ed è già finito. Di incomparabile eleganza e dolcezza, Martha Argerich è un gigante che a ottant’anni sorride timidamente portandosi le mani al petto come una fanciulla. Sembra ringraziare con lo sguardo ogni volto.

 

Charles e Dvořák

La seconda parte del concerto presenta una Nona di Dvořák potente, un’interpretazione che rispecchia perfettamente la direzione di Dutoit: essenziale, senza sfarzi o prepotenze. Dutoit dirige con estrema pulizia nei movimenti, limitati allo strettissimo necessario ma non per questo privi dell’intensità o direzione musicale. Il Largo è una perla di rara bellezza. Di altissimo livello tutta la sezione dei fiati che soprattutto in questo movimento mostra una grande espressività, sostenuta dalla presenza di Charles ancora una volta quasi immobile. È un momento commovente: Dutoit, libero della partitura, interviene nell’esecuzione dell’orchestra con solo alcuni accenni, lasciando grande respiro ai musicisti in religioso rispetto. Un altro esempio di notevole capacità di orchestrazione, Dvořák in questa Sinfonia chiede all’orchestra la capacità di fondere sonorità molto diverse nelle loro qualità e Dutoit riesce a prendere per mano l’orchestra senza costringerla.

Il silenzio nella sala è spaventoso: sembra improvvisamente di trovarsi in una stanza priva di gravità. Dutoit sembra percepirlo perché l’inizio dello Scherzo viene lanciato in aria e preso al volo con un sentimento di fanciullezza e di sincero divertimento accolto con slancio dall’orchestra. Il Molto Vivace è una doccia fredda dopo l’emozione del secondo movimento, ma non è traumatica né pesante. Charles fa viaggiare la partitura sulla stabilità e la leggerezza del tempo. Il cambio repentino del carattere e del colore dell’orchestra sono elementi fondamentali in questa Sinfonia, tratto distintivo della musica di Dvorak: Dutoit non interviene mai con un’ostentata fisicità, neanche nei solidi accordi o nei grandi unisoni degli archi.

La conduzione a memoria gli permette di gestire la libertà data e ricevuta dall’orchestra senza stralciare l’integrità e la potenza del materiale musicale. L’elemento folk di questo movimento scorre entusiasta e sincero e sfocia nel famoso Allegro con fuoco finale. Qui, come Martha con Ravel, Charles sembra trasfigurarsi; solidissimo e limpido, l’orchestrazione superlativa di Dvořák è esposta qui in tutta la sua bellezza. Meraviglioso è il discreto distacco di Dutoit, davvero dedito alla partitura e alla sua verità. Sembra quasi intimorito all’idea di influenzare l’idea musicale attraverso movimenti o cenni di personale coinvolgimento. Reale e comprensibile.

Il rush finale è pura adrenalina, accolta e donata con un sorriso fanciullesco: Dutoit saluta il pubblico e il concerto con la serenità di un bambino felice – difficile essere tristi dopo tanta meraviglia. Questo si conferma uno dei concerti più emozionanti della mia vita, nonché uno degli esempi più potenti del legame tra musica e vita, e di come questa continui a scorrere tra le partiture e nella loro evoluzione. Argerich e Dutoit, Martha e Ravel, Charles e Dvořák sono tre esempi perfetti di ciò che accade quando s’incontra l’anima gemella come quelle dei libri, concetto astratto che diventa credibile solo quando lo si vede in azione, proprio come questa sera.

 

 

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