Vincere il Paganini: intervista a Giuseppe Gibboni

“Possiede un’intonazione perfetta, una tecnica strabiliante, un suono molto affascinante e una musicalità sincera” (S. Accardo)

Giuseppe Gibboni, un ragazzo appena ventenne che compie una straordinaria impresa, quella di vincere il concorso violinistico per eccellenza, il Premio Paganini. Alla sua 56ª edizione, il Paganini è un duro scoglio per i violinisti di tutto il mondo, ed erano 24 anni che nessun italiano riusciva a salire lo scalino più alto del podio.

In questa edizione la commissione, presieduta da Sergej Krylov, è stata composta da Pietro Borgonovo, Pierangelo Conte, Francesca Dego, Stephanie Gonley, Aiman Mussakhajayeva, Christoph Poppen, Jacob Rohde Soelberg e Pavel Vernikov. Dopo il nostro Gibboni primo classificato, il secondo premio è stato assegnato al coreano Nurie Chung, premiato anche per la migliore esecuzione del brano contemporaneo e come finalista più giovane. Terze a pari merito, la tedesca Lara Boschkor, e la svedese Ava Bahari. Infine, diploma di merito alle altre due finaliste, l‘inglese Louisa Staples, e la russa Olga Artyugina.

In 56 edizioni, Giuseppe Gibboni è dunque, dopo ben ventiquattro anni, il quarto italiano a vincere il Concorso Paganini, dopo nomi illustri come Salvatore Accardo (1958), Massimo Quarta (1991) e Giovanni Angeleri (1997), e non si è solo accontentato di raggiungere questo illustre traguardo, ma ha anche fatto una sostanziosa collezione di premi: oltre a quello in denaro, il giovane Giuseppe ha vinto il premio per la migliore esecuzione del Concerto e dei Capricci di Paganini, il premio del Pubblico, quindici concerti in prestigiose stagioni italiane, un contratto di due anni da parte di un’agenzia di concerti di Shangai, e l’immenso onore di suonare il leggendario strumento appartenuto proprio a Niccolò Paganini, un violino Guarneri del Gesù del 1743, chiamato “il Cannone”.

Giuseppe suona il violino da quando aveva solo tre anni, ed è nato e cresciuto tra note corde e violini, in una famiglia di musicisti.

Giuseppe, quale è il tuo rapporto con il violino?

Il violino è uno strumento che mi accompagna fin da piccolissimo, da quando avevo tre anni. Io provengo da una famiglia di musicisti, e il violino fa parte della mia vita da sempre. Il lungo lavoro che ho affrontato con lui, con costanza e determinazione non mi è mai pesato, e ora finalmente i risultati stanno arrivando.

A quali grandi musicisti ti ispiri? Quali sono i tuoi interpreti di riferimento?

Sicuramente i grandi del passato, come Ojstrakh e Heifetz , sono tutti musicisti che avevano un grande carisma musicale. Oggi ci si omologa un po’ troppo secondo me, e questo in parte è anche una conseguenza dei concorsi, perché richiedono dei canoni che a volte vanno un po’ contro la musica e contro ciò che dovrebbe essere, a mio parere, il carisma di un musicista. Trovo che i grandissimi del passato invece non avevano paura di osare.

Tra i tuoi tratti distintivi troviamo la grande maturità esecutiva, quale è il tuo approccio allo studio del repertorio?

Per me è fondamentale conoscere la storia del compositore e dell’opera, sapere cosa stava vivendo il compositore mentre stava componendo quel brano. Questo è assolutamente necessario per poter raccontare una storia, quindi di base faccio questo, mi documento a livello storiografico. Al giorno d’oggi tra l’altro è facilissimo, basta un telefonino per conoscere la storia della musica e trovare ciò di cui abbiamo bisogno.

Come hai costruito il tuo essere violinista professionista?

Sicuramente i concorsi, fino all’altro ieri, sono stati la mia principale occupazione e interesse, perché al giorno d’oggi sono fondamentali per la formazione di un musicista. Purtroppo rischiano di omologarci perché vanno molto in contrasto con il senso della musica, ma sono un ottimo trampolino di lancio e di grande visibilità. Inoltre, studiare con un buon insegnante è fondamentale per la formazione della personalità musicale e tecnica. La mia l’ho costruita in questo modo: ottimi insegnanti, ho studiato con Salvatore Accardo, Pavel Berman e adesso studio con Pierre Amoyal a Salisburgo, e fare dei passi giusti al momento giusto.

Che strumento suoni?

Suono un Balestrieri del 1752 che mi viene prestato dal collezionista Stefano Arancio attraverso l’attività del progetto “Adopt a Musician” ideata da MusicMasterpieces di Lugano. È uno strumento bellissimo, lo suono da un anno, e ha tenuto testa in questo recente concorso, ad uno Stradivari meraviglioso del secondo premio, suonato da un coreano.

Quali caratteristiche deve avere un violino per assecondare la tua personalità?

Per me non è importante il nome, mi è capitato di suonare violini importanti con alle spalle una grande storia, che però al sodo non rispondevano. L’importante è che sia uno strumento pronto, facile da suonare, e che abbia la qualità timbrica. Noi possiamo passare le ore a studiare e lavorare tanto il suono, ma poi lo strumento deve rispondere.

Cosa significa per te vincere il Paganini?

Il Premio Paganini è il concorso per eccellenza per noi violinisti, è un qualcosa di inarrivabile, con una storia immensa. Lo hanno vinto musicisti che hanno fatto la storia, come Accardo, Kavakos, Kremer, Faust… quindi per me è un sogno, dopo 24 anni divento il quarto italiano delle 56 edizioni, che dire, un’ emozione immensa!

Come costruisci la tua preparazione? Cosa consiglieresti ad un giovane che sta affrontando in questo momento lo studio per un concorso?

Io ho iniziato a studiare per il Paganini da circa un anno, appena uscì il bando decisi di iscrivermi, e a lavorare da subito dando tutto me stesso, perché è un concorso importantissimo, soprattutto per noi violinisti. L’ho preparato lavorando sodo, studiando meticolosamente tutti i brani, eseguendoli senza sosta durante le lezioni o in concerto. A chi affronta un concorso così prestigioso, posso sicuramente consigliare di lavorare con determinazione, e la cosa più importante credo che sia la costanza quotidiana, essere davvero precisi, perché altrimenti si rischia di perdere tempo ed arrivare sotto concorso non pienamente preparati. Ma soprattutto, il consiglio che sento di dare è quello di non affidare mai ai concorsi il potere di stabilire il proprio valore, perché sono qualcosa di non sempre oggettivo.

Tante ore di studio in posizioni non sempre naturali a volte ci portano a problemi posturali, come affronti la prevenzione o lo scomodo problema di tendiniti e dolori da strumento?

Sicuramente facendo tanto sport. Nella preparazione per il mio concorso ho sempre dedicato un’ora al giorno per fare sport, credo sia fondamentale, soprattutto per noi strumentisti che gestiamo l’arco.

La tua esplosione avviene a ridosso del lockdown, quanto ha cambiato le tue prospettive o interferito con il tuo studio?

Ha cambiato tantissimo le mie prospettive: partecipai al concorso Enescu  di Bucarest a diciassette anni, vinsi il III premio con I premio non assegnato, dopodiché superai le selezioni per il Concorso Tchaikovsky  nel 2019. Però non ci andai per dei problemi con il repertorio. Decisi così di aspettare. Poi all’improvviso è arrivato il lockdown e mai avrei pensato che quello sarebbe stato il mio ultimo concorso per i successivi tre anni, che sono tanti per un giovane in età da concorso. Sono arrivato quindi al Paganini con la consapevolezza di quello che sono e di quello di cui ho bisogno.  Il lockdown mi ha dato la possibilità di riflettere e non perdere tempo, focalizzandomi su questo mio obiettivo.

Quale è il tuo rapporto con la musica contemporanea? 

Per il premio Paganini era previsto un pezzo d’obbligo, appositamente commissionato al compositore Carlo Boccadoro, ed è un bellissimo brano per violino solo dedicato a Marco Pantani, intitolato Un’ala soffice, infinita, riportante la dedica “al Pirata”. Un brano veramente molto difficile, caratteristico, scritto molto bene a tal punto che Boccadoro  è riuscito attraverso il brano a far sentire la bicicletta e la pedalata. E’ stato emozionante poterlo suonare. Un mio grande cavallo di battaglia è il pezzo per violino solo di Alfred Schnittke  “A Paganini” . In generale non ho un rapporto particolare con la musica contemporanea, ma mi piace seguirla.

In questo momento quali bisogni vorresti soddisfare per proseguire la tua crescita artistica?

Per un musicista che ha appena vinto un concorso importante, l’obiettivo è sicuramente quello di fare concerti, e che si veda riconosciuto il sacrificio di tanto studio. Vorrei che anche da parte delle istituzioni venga percepito quanto lavoro ci sia dietro un concorso di questa portata. Ho già ricevuto molte richieste, quindi al momento mi ritengo soddisfatto.

Uno sguardo al futuro, quali progetti hai?

Sicuramente ho intenzione di incidere, al momento ho realizzato un solo disco, ma ero ancora molto giovane, avevo 15 anni, sento che musicalmente non mi rappresenta più. Lo considero come una bellissima fotografia di quel periodo, ma ora vorrei esprimere meglio quello che posso fare.

Ciao!

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