Diario dallo Chopin: il primo giorno

Vista l’ora cui abbiamo finito ieri, non mi resta che iniziare questa prima vera pagina del Diario dallo Chopin il mattino dopo, sperando di scamparmela prima di dover turbinosamente fuggire verso la Filarmonia di Varsavia. Nell’introduzione di ieri parlavo di otto ore al giorno di Chopin, ma mi sbagliavo, quello sarà dal prossimo stage, per il momento di ore in sala se ne vanno dieci, dalle 10 alle 15, dalle 17 alle 22.

Questa è una cosa particolare del concorso, infatti. La quasi totalità dei grandi concorsi internazionali porta alle fasi finali non più di 30 candidati. Lo Chopin, invece, dopo le gigantesche preselezioni di luglio, porta a Varsavia un numero enorme di candidati (87!), da cui poi procedere a selezionare via via chi procede verso le finali. Altra cosa particolare è che fin dal primo giorno queste lunghe giornate sono affollatissime. Persino al Tchaikovsky di Mosca, decisamente ben seguito, all’inizio in sala non c’era il pienone. Ed era il 2019! Qui invece, senza distanziamento, sale strapiene. E la gente rimane fino alla fine, con qualche defezione solo verso sera. Se serve un indicatore dell’importanza di questo concorso per la città di Varsavia, questo è sufficiente.

Concorso Chopin

Xuanyi Mao, foto di Darek Golik

Comunque, basta cincischiare, veniamo alla prima giornata! Ad aprire le danze è stata Xuanyi Mao e nonostante iniziare sia sempre difficile, ha dato una splendida prova. La pianista cinese ha suonato sullo Steinway (matricola 300, quindi lo chiameremo “Steinway 300” per distinguerlo dall’altro Steinway), portando gli studi op. 10 n. 5 e op. 25 n. 6, il Notturno op. 48 n. 1 e la Fantasia op. 49. Questo è il programma di tutte le prime prove: due studi veloci, un notturno o uno studio cantabile, un ‘pezzone’ (ballate, fantasia, scherzi, barcarola). Fin dal primo attacco si è sentita la solidità della preparazione di Mao. Il Notturno è stato affrontato con eleganza e un senso delle proporzioni drammaturgiche molto ben centrato. Con “drammaturgico”, per chiarire il termine, intendo la struttura del brano. Quando un pianista è consapevole del ruolo di ogni frase, ogni sezione, il senso che questa possiede nel portare avanti il discorso, collega bene le frasi con gusto del dettaglio e dell’architettura, allora la drammaturgia del brano funziona, i temi dialogano come personaggi e le scene si susseguono coerentemente anche nei principali colpi di scena. Tornando a Xuanyi, la preparazione cui accennavo è risultata ancora più evidente negli Studi, particolar modo l’op. 10 n. 5, brillante, frizzante e con un gran bel suono. Bene ma non benissimo l’ op. 25 n. 6 e la Fantasia. In questa non era chiarissimo dove volesse andare a parare nelle prime battute, ma ha ampiamente compensato con un lavoro sorprendente sulle sonorità. Si vedeva distintamente che la pianista ascoltava il suono riverberare in sala, tirando fuori tutta la sensibilità timbrica di Chopin, e questo ha compensato altri passaggi meno riusciti, ad esempio l’ultimo ritorno della marcia, suonato con enfasi bombastica un po’ eccessiva

Meno convincente il polacco Tomasz Marut (sempre Steinway 300). Nello Studio op. 10 n. 6 non era sempre chiara la sinistra e il controllo della destra, pur nei bei fraseggi, non evitava qualche ineguaglianza. L’op. 10 n. 1, temibile Studio, è andato bene, tutto sommato. C’era giusto qualche errore qui e lì (quasi inevitabili in questo pezzo) ma soprattutto il pianista sembrava un po’ affaticato. Stesso vale per l’op. 10 n. 2, altrettanto temibile, in cui a momenti di notevole definzione seguivano altri in cui si nascondeva nel pedale. Impressione non diversa nello Scherzo n. 4 op. 54, in cui i rapidi accordi dell’inizio erano buttati, poi magari seguiva un’agilità fantastica, poi di nuovo “meh”. Neanche il cantabile ha risollevato la prova: mancava proprio quella magia che tiene sospesa la sala. Molto belli i trilli, però!

Concorso Chopin

Tomasz Maruto col suo sorrisono piacione. Foto di Darek Golik.

Segue Yupeng Mei, sullo Yamaha, in realtà un po’ assonnato in volto. La differenza tra Setinway e Yamaha era impressionante. Quest’ultimo rispondeva benissimo al tocco del pianista, permettendo nuances di colore nel Notturno op. 62 n. 1 davvero notevoli, ma mancava del calore e della profondità dello Steinway. Il pianista cinese si è dunque distinto proprio per questo carattere un po’ sospeso (anche se la ripresa trillata del Notturno poteva essere molto, molto più evanescente!), che è stato capace di cambiare nel saltare allo Studio op. 10 n. 8, disinvoltissimo, e poi nel turbinio dell’op. 25 n. 10. Qui, dopo una buona sezione centrale, Mei è un po’ caduto dove cadono quasi tutti, ossia sulla terribile ripresa, con quel passaggio per moto contrario da capogiro. Peccato, perché anche la Fantasia op. 49 subito dopo era molto interessante, con buon senso teatrale anche se meno colori di Mao. Mancava però un po’ di slancio nei punti appassionati e alla lunga il rischio era di diventare noiosi. Lo dimostra la signora alla mia destra, che ad una certa ha tirato fuori il Kindle e s’è messa a leggere. Brutto segno.

Arseni Mun (Yamaha) ho dovuto recuperarmelo dallo streaming, sommandolo con quanto sentivo da fuori sala, dovendo io fuggire per il primo Chopin Talk. In generale è difficilissimo confrontare lo streaming con le impressioni dal vivo, però mi è sembrato ci fosse una buona concentrazione e un bello studi odei colori sul Notturno op. 48 n. 2 (l’unico che l’abbia portato finora!), ma il pianista tende sempre ad irrigidirsi nervosamente nei passaggi più slanciati, cosa che mi ricordo fin da quando lo sentii al Tchaikovsky. Questo è stato più evidente negli Studi op. 10 nn. 1 e 2, corsi un po’ a perdifiato, senza dubbio con suonone e alcuni passaggi splendidi, ma molto spesso rigidi e nervosi. Stesso discorso vale per la Prima Ballata: buone idee, qualche passaggio molto bello, molto elegante, interessante il valzerino non troppo corso, ma poi tanti passaggi nervosi e tesi.

Concorso Chopin

Sento che queste foto mi daranno grandi soddisfazioni. Arseni Mun nella foto di Golik.

Non benissimo anche la prova di Szymon Nehring sullo Steinway 479: la polifonia del Notturno op. 55 n. 2 non era stabile, anche se le dinamiche più soffuse hanno davvero tolto il fiato alla sala. Partito bene anche lo Studio op. 10 n. 10, un po’ coperto col pedale a tratti, anche qui bellissimi i pianissimo, però iniziava ad essere troppo tenere questa monodinamica. L’op. 10 n. 1 attacca un po’ ansioso, buono in generale, ma di nuovo riduce la dinamica e rallenta nei punti in cui va in affanno. La Quarta Ballata non mi è proprio piaciuta. Fin dall’inizio, quegli scampanamenti tra sinistra e destra erano veramente eccessivi. Ci sta ritardare ogni tanto la destra, ma quando lo fai sempre, ad ogni ritorno del primo tema, su ogni nota, diventa solo una maniera e perde di interesse. In generale è apparso sempre un po’ forzato e troppo spesso il discorso è stato fermato da un rubatone molesto, quando magari doveva correre in avanti il discorso.

Concorso Chopin

Grandissime soddisfazioni. Szymon Nehring e lo sforzo titanico che comporta suonare al Concorso Chopin.

Viet Trung Nguyen è stato il mio candidato preferito della mattina, invece! Il pianista vietnamita-polacco (vietnamacco? polamita?) ha cominciato con un meraviglioso Notturno op. 27 n. 2 sullo Steinway 479. Il moto di barcarola della sinistra era sempre ben pensato e curato e l’espressione era fluida, naturale e mai forzata, anche nei climax. Molto bene lo Studio op. 10 n. 12, sia nella sinistra volteggiante che nel carattere generale, mentre meno riuscito lo Studio op. 25 n. 4, affanoso e scomposto. Poco male: il pianista si è ripreso alla grande con la Quarta Ballata, affrontata con grande gusto del fraseggio, suono bello e ben appoggiato, cura dei dettagli anche con scelte personali, ma sempre coerenti. Non nego qualche brivido nel crescendo che precede la coda!

Estremamente anti naturale il lettone Georgijs Osokins, sullo Yamaha. Entrato in ritardo, ha fatto ondeggiare la sua chioma fluente, si è seduto (bassissimo) sul suo Yamaha e ha iniziato a suonare il Notturno op. 62 n. 1 molto bene. Si vede che ci sono le idee, c’è abilità nella gestione dei trilli, il problema del Signor Ciuffo sono le smorfie. Non quelle con la faccia, chissene di quelle, quelle con le mani. Il pianista di colpo si ricorda di dover dar spettacolo e distorce di colpo la frase, getta indietro il capo, guarda il cielo alla ricerca dell’estasi mistica e ferma il discorso in modo totalmente innaturale. La sua interpretazione è attaccata lì a posteriore e l’imitazione di Trifonov è palese fino ad essere imbarazzante. A causa di questo si perdono tante cose belle, lo Studio op. 25 n. 6 era una interessantissima danza di folletti, l’op. 10 n. 12 era travolgente, la Terza Ballata aveva bellissimi momenti, ma poi ‘sto tizio sta lì e fa il cantabile seguendo con la manina per aria, ma che fai ma perché ma no ma sona e basta che viene meglio. Vabbè. Magari passa.

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Un po’ Trifonov, un po’ Gould, un po’ troppo. Osokins, foto di Golik.

Ho apprezzato di più Evren Ozel, sullo Steinway 479. Il pianista americano era partito molto bene, gran bel suono, maestoso, pieno ed appoggiato, molto bello il cantabile sul Notturno op. 62 n. 1, ma alla lunga si sentiva una certa fissità di suono e di colore. Lo Studio op. 10 n. 8 era partito molto bene, poi un po’ si è inceppato. Benissimo l’op. 25 n. 4, ben fraseggiato, molto nitido e definito, anche se pure qui ogni tanto poteva dare di più. Stesso vale per la Fantasia op. 49, in cui tutto molto bene, belli gli accordi, ma poi era sempre tanto, troppo cauto. Nel timore di un errore (che poi c’è stato e non importa a nessuno) Ozel si tratteneva visibilmente. Peccato perché le premesse ci sono tutte! Spero che possa comunque passare e riesca a dare il meglio al secondo stage.

Mi è piaciuto di più il polacco Kamil Pacholec, che ha direttamente buttato la prima nota sporca già all’inizio del Notturno op. 27 n. 2 e da lì in poi tutto in discesa. Il pianista si è ripreso benissimo, infatti, e nonostante il notturno non fosse sempre perfetto, c’era una bellissima espressività dall’inizio alla fine. Spettacolare l’op. 10 n. 4, partito molto bene e proseguito meglio, suonato con il fuoco sacro dell’ardore ma senza esagerare, tecnicamente impeccabile. Partito meno convinto sull’altro studio, l’op. 25 n. 10, si è ripreso bene nei fraseggi della parte centrale e soprattutto ha retto alla temibile scalata della ripresa, con suono massiccio e solido. Bene anche la Barcarola, in cui si poteva lavorare di più sulle risonanze del registro grave, mentre molto belle alcune iridescenze nel registro acuto. Bravo Camillo.

Primo della sessione pomeridiana è stato Jinhyung Park, sullo Yamaha. L’inizio del Notturno op. 48 n. 1 era un po’ meh, il fraseggio andava anche bene, ma anche il rubato era molto meh, si sentiva che l’ansia disturbava la concentrazione. Lo Studio op. 25 n. 5 è stato altrettanto meh e il pianista ha rischiato davvero di andare nel panico. Temevo la disfatta totale nell’op. 10 n. 1 e invece proprio sul titanico Studio s’è ripreso, dopo una partenza affanata si è portato a casa il primo Studio. Meglio la Prima Ballata, ma anche ripresosi, il suono appariva spesso schiacciato, idee belle venivano quasi soffocate da scelte molto antimusicali di fraseggio e di tempi, ad esempio quella coda buttata via di nuovo in preda all’ansia. Peccato perché gli strumenti per fare le cose bene ci sono tutti, però… Meh.

Un po’ meglio Yeon-Min Park, che fin dall’inizio ha tirato fuori un bel suono sullo Steinway 479 per il suo Notturno op. 9 n. 3. Che strano sentire uno dei primi Notturni, onestamente, è stata una ventata di gioventù! (dice Alessandro, 85 anni). La pianista coreana ha poi portato l’op. 25 n. 6 e l’op. 10 n. 4 e ha concluso con il Quarto Scherzo. Mi permetto qui di mettere tutto insieme perché in generale ha suonato tutto molto bene, ma mancava sempre qualcosa. Mancavano i colori, la tensione espressiva, un’idea convincente di come si suoni la musica di Chopin, insomma, Yeon-Min Park suona indubbiamente molto bene, è preparatissima, ma non si distacca da un’onesta lettura.

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Un ultimo colpo di spazzola. Piotr Pawlak nella foto di Golik.

Onesta lettura che comunque ho apprezzato di più del polacco Piotr Pawlak. Peccato perché avevo apprezzato lo Studio op. 10 n. 6, desolato e intimo nel carattere, ma l’op. 10 n. 2 ha mostrato qualche problema non trascurabile e anche l’op. 10 n. 12 non ha convinto fino in fondo. Iniziavamo ad avere un po’ di riferimenti e la splendida interpretazione di Nguyen o quella super teatrale di Osokins davano molto di più. Non mi è piaciuta per niente la Quarta Ballata. Mancava fin dalle prime note quel suono che arriva da lontano e presto il pianista si è abbandonato a dei manierismi eccessivi, rallentando drasticamente quando la situa si faceva complessa e chiudendo con una coda veramente spompata.

Anche il nostro Leonardo Pierdomenico me lo son dovuto recuperare dallo streaming (mannaggia), con tutto ciò che questo comporta. Posso abbastanza tranquillamente affermare che il suono del suo Steinway 479 era bello e arrivava bene fino in fondo, se lo riuscivo a percepire nitidamente da fuori le porte, poi salvo qualche momento da nervosismo mi è parso che il suo Notturno op. 62 n. 1 sia andato decisamente bene. Nell’op. 10 n. 10 il meccanismo tecnico funzionava, anche se non oliatissimo, ma c’era un buon senso musicale che ha risollevato lo Studio. Meno bene l’op. 10 n. 4, in cui mancavano cosette qui e lì e qui davvero faccio fatica a capire se il suono secco che sentivo dallo streaming fosse poi tale anche in sala (la Filarmonia ha un’acustica magnifica). Meglio la Prima Ballata, tecnicamente solida e con splendidi fraseggi. Ogni tanto il pianista si irrigidiva e questo dava una sfumatura un po’ troppo legnosa al suo suono, mentre favoriva qualche errore evitabile, come la sinistra nel grande ritorno del secondo tema. Sia chiaro, qualche nota sporca non frega a nessuno, ma quando queste compromettono la parte musicale, il discorso ahimè cambia. Molto bene la coda, però, avrei davvero voluto sentirmela in sala quella!

Concorso Chopin

Leonardo Pierdomenico. In realtà volevo mostrare anche la sala in tutto il suo splendore. Foto di Darek Golik.

Mi ha convinto meno la polacca Zuzanna Pietrzak. Il Notturno op. 62 n. 2 era un po’ confuso e questo suono bello e presente risultava alla fine sempre pieno, tutto troppo pieno, mancavano rilievi e dettagli. Lo Studio op. 10 n. 12 è andato bene ma non benissimo, con qualche momento di fatica nella mano sinistra, e non sono stato convinto nemmeno dall’op. 25 n. 10. Certo, un gran suonone sulle ottave, ma sotto c’era poco e l’ha dimostrato la sezione centrale, con un legato non efficace. In generale la pianista mi è parso respirasse poco, che è pienamente comprensibile visto il contesto, sia chiaro!, ma poi si sente quando suoni. Un po’ impiantata e pesante la Ballata n. 1 op. 23: il suonone c’è, bello imponente anche, ma non c’era senso drammaturgico nel transitare da una sezione all’altra e alla fine rimaneva tutto fermo lì.

È stata poi la volta del cinese Hao Rao sullo Steinway 479. Io ve lo dico, questo è stato il mio preferito dell’intera giornata. Non solo perché ha un nome bellissimo (Hao Rao? Stiamo scherzando? Cioè mi offrite così gratuitamente la possibilità di fare un sacco di giochi di paRaole di cattivo gusto?), ma perché forse per la prima volta ho davvero avuto la sensazione di non stare ad un concorso ma ad un concerto. Il Notturno op. 27 n. 2 era ben condotto, musicalissimo nei climax, ricco di dettagli e di sfumature, sognante ma non addormentato. Lo Studio op. 10 n. 10 è andato ugualmente bene, con bel suono, buon senso musicale nelle sezioni, peccato per una nota sporca plateale proprio nelle ultime battute. Splendido anche lo studio op. 25 n. 11, pur con qualche imprecisione nella destra all’inizio, abilmente nascosta dalla sinistra. Fantastica la chiusura, scenica ma non esagerata, si sarebb quasi voluto applaudire. Ma il bello doveva ancora arrivare: lo Scherzo op. 31 è stata forse la cosa più bella ascoltata durante il giorno, ricco di idee, spunti, originale ma coerente, tecnicamente notevolissimo, ha tenuto palco e platea in pugno in ogni battuta. Veramente bRao. SperiHao che passi.

Hao Rao prima di salire sul pHaolco. Foto di Golik.

Meno convincente Yangyang Ruan (continuano i nomi splendidi). Chioma fluente 2 ha sicuramente tante idee, ma si sente che ancora sono un po’ confuse, buttate così, a manciate, ma senza che compongano un’interpretazione coerente. Penso basti davvero ascoltare il Notturno op. 48 n. 1 per capire ciò di cui parlo: non mancano le cose veramente notevoli, ma queste stanno vicine a dettagli non curati, scelte un po’ manierate e forzate, questioni ancora da risolvere (tipo i ribattuti nella ripresa) e via discorrendo. Discorsi simili si applicano per gli Studi op. 10 nn. 7 e 8 e ancor di più per la Fantasia op. 49, in cui si sente che l’idea c’è, ma la realizzazione ancora è incompleta.

Più solido Sohgo Sawada, primo a suonare sul Kawai, che atipicamente è partito con la Ballata (la prima). Splendidi i fraseggi, bello il suono, ben connesse le diverse sezioni, ma mancava slancio e pronuncia nei cantabile e ogni tanto qualche dettaglio sfuggiva al controllo. Molto bello l’approdo alla coda! Il Notturno op. 27 n. 2 era partito come tutto soffuso e giocato nelle mezze voci, ma è finito per diventare soporifero (complice anche l’ora e la tirata del primo giorno). Va bene farlo sognante, ma senza esagerare! Meglio gli Studi, con le splendide terze dell’op. 25 n. 6 e un op. 10 n. 4 preso troppo brusco, ma presto tornato in sella, non solo tecnicamente ma anche musicalmente molto ben centrale. Splendida la chiusura travolgente.

Aristo Sham e il suo immancabile farfallino. Foto di Darek Golik.

Termina la giornata, e con ciò questa prima, eterna pagina del Diario dallo Chopin, Aristo Sham sullo Steinway 300. Nonostante fosse l’ultimo, il pianista di Hong Kong ha retto benissimo, anzi. Si sentiva davvero la solidità della preparazione, che era solo la base per poter dare di più musicalmente. Il Notturno op. 48 n. 1 era molto ben condotto, con gran controllo e concentrazione, anche se la grande sezione conclusiva era un po’ eccessiva. Va bene affannato e appassionato, ma si arrivava ad un sovraccarico non necessario. Ma comunque, che sto a dire, tutta la sua prova non importa se confrontata con lo Studio op. 10 n. 8. Perché certo, belle le terze sgranate dell’op. 25 n. 6, coi fraseggi ponderati alla sinistra, notevole il senso musicale e drammaturgico della Quarta Ballata, ma davvero, sparatevi quell’op. 10 n. 8. Era impressionante. Dalla prima sterzata iniziale era come prendersi un ceffone, completamente inaspettato ma veramente da incisione. C’era giusto una notina sporca lì, verso la fine. Tiè. Fine. Incredibile. Sarei veramente, veramente sorpreso se non ce lo trovassimo al prossimo stage!

Bene. Ho finito. Ora fuggo che mi comincia una nuova, intensa giornata e mi sa che ogi si salta la colazione o coi tempi non ci stiamo dentro. CiHao a tutti.

Chiudo con questa spettacolare foto di Zuzanna Pietrzak, che rende bene anche il mio stato mentale alle 10 di ieri sera.

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