Elegia notturna: Um Mitternacht di Gustav Mahler

Continua il viaggio alla scoperta dei Rückert-Lieder di Gustav Mahler: ci accostiamo oggi alla profondità notturna di Um Mitternacht

Molti poeti romantici come Novalis, Eichendorff, Goethe, Heine, si sono spesso rivolti al malinconico regno della sacra, ineffabile, misteriosa Notte, cogliendone le mille sfumature che avvolgono la vita e le passioni umane. Più raro, invece, il momento della mezzanotte, poetica linea di confine dello scorrere del tempo, che invita a fermarsi e riflettere. Ma proprio su quel “confine”, scandito tra le anafore di Um Mitternacht, il poeta Friedrich Rückert traccia un proprio, solitario percorso che dall’oscurità del cielo rientra nel dolore più profondo del cuore per poi elevarsi a Dio, custode supremo della Vita e della Morte.

L’apocalittica bellezza di questa lirica senza precedenti nella letteratura tedesca per il valore sacrale della Notte, cadenzato in solenne preghiera, sembra abbia voluto attendere l’umbratile solitudine di Gustav Mahler, la sua ricerca del Divino.

 

Il Lied mahleriano, composto nell’estate di Maiernigg del 1901 in doppia versione tonale (Si minore per contralto, La minore per baritono) e in un’insolita orchestrazione, priva degli archi e con fiati arricchiti da oboe d’amore, controfagotto, trombone e tuba per offrire diverso colore al paesaggio notturno, scandisce fin dall’attacco iniziale, nel Leitrhythmus dei clarinetti, lo scorrere lento del Tempo e, nella scala diatonica discendente dal registro sempre più grave, il volto oscuro e profondo della Notte

Um Mitternacht Mahler

per poi introdurre il canto, pacato e misterioso, della prima strofa:

Um Mitternacht
hab’ ich gewacht
und aufgeblickt zum Himmel.
Kein Stern vom Sterngewimmel
hat mir gelacht, um Mitternacht.

[A mezzanotte ero sveglio e ho guardato verso il cielo. Nessuna stella tra le migliaia del firmamento mi ha sorriso, a mezzanotte]

mentre un breve gemito, funebre Naturlaut dell’oboe d’amore, sembra squarciare il velo di un’inviolabile oscurità.  La seconda strofa, più dinamica e sostenuta dall’armonia dei corni e dal contrappunto dell’oboe d’amore, invoca luce [Licht] e conforto [Trost]:

Um Mitternacht
hab’ ich gedacht
hinaus in dunkle Schranken.
Es hat kein Lichtgedanken
mir Trost gebracht, um Mitternacht.
[A mezzanotte ho lanciato il pensiero oltre i limiti dell’oscurità. Nessuna luce mi ha dato conforto, a mezzanotte.]

Ma nulla risponde, mentre quel cosmico buio sembra respingere sempre più indietro, tra i confini del dolore:

Um Mitternacht
nahm ich in acht
die Schläge meines Herzens.
Ein einziger Puls des Schmerzens
war angefacht, um Mitternacht.
[A mezzanotte ho ascoltato attentamente i battiti del mio cuore. Solo un palpito di dolore si è acceso, a mezzanotte.]

Tutto risuona profondo sul ‘pedale’ dei fiati, come nel canto nietzschiano di Zarathustra, O Mensch! Gib Acht! della Terza sinfonia. E il dolore diviene universale, sospeso tra spasmi e lenti respiri. L’intensità cresce, fino al forte espressivo di Leiden, al melisma di entscheiden, al pathos che dichiara l’impotenza umana:  

Um Mitternacht
kämpft’ ich die Schlacht,
o Menschheit, deiner Leiden.
Nicht konnt’ ich sie entscheiden
mit meiner Macht, um Mitternacht.
[A mezzanotte ho combattuto la battaglia, oh umanità, del tuo dolore. Ma non ho potuto risolverla con le sole mie forze, a mezzanotte]

E ritorna il lamento dell’oboe d’amore, l’eco sinistra della scala discendente sul lento ritmo del Tempo
Il grido estremo della quinta strofa, enfatizzato in un climax rapsodico di ottoni e percussioni, rulli di timpani e di glissandi di arpa, sembra superare la voragine oscura del soffrire per giungere alla visione ultima sul divino altare del Custode supremo del Tempo:

Um Mitternacht
hab’ ich die Macht
in deine Hand gegeben!
Herr! Herr über Tod und Leben:
Du hältst die Wacht, um Mitternacht!
[A mezzanotte ho consegnato la mia forza nelle Tue mani! Signore! Signore della Morte e della Vita: sei Tu che vegli, a mezzanotte!]

In prospettiva estetico-spirituale, il Lied ripercorre il cammino del Nottambulo nietzschiano della grande Terza: undici versi tra i dodici rintocchi della campana notturna, scanditi tra ottoni e legni, tra cupe sonorità, solitudini, silenzi e la solennità di un canto espressivo e misterioso, dove profonda [tief] risuona la mezzanotte, il sogno, il mondo, il dolore, l’eternità:

O Mensch! Gib Acht!
Was spricht die tiefe Mitternacht?
Ich schlief, ich schlief!
Aus tiefem Traum bin ich erwacht!
Die Welt ist tief!
Und tiefer als der Tag gedacht!
O Mensch! Tief ist ihr Weh!
Lust tiefer noch als Herzeleid!
Weh spricht: Vergeh!
Doch alle Lust will Ewigkeit!
Will tiefe, tiefe Ewigkeit!
[Uomo! Attento! Cosa dice la mezzanotte profonda? Io dormivo, dormivo! Da un profondo sogno mi sono destato! Il mondo è profondo! E più profondo di quanto il giorno abbia mai immaginato! Oh, uomo! Profondo è il suo dolore! Il piacere è più profondo ancora del dolore di un cuore! Il dolore dice: Va’ via! Ma ogni piacere vuole eternità! Vuole profonda, profonda eternità!]

Un percorso che l’artista Mahler ama affrontare, ancora una volta, «nel regno delle sensazioni oscure, sulle porte d’accesso al mondo “altro”, che non si compone più nel tempo e nello spazio»:

Adele Boghetich

Adele Boghetich è autrice di Amore e solitudine in Gustav Mahler, Rückert-Lieder (2010) e, con Nicola Guerini, di Mahler. Dialoghi tra musica e poesia (Zecchini, 2021).

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