La Marsigliese: riflessi e risonanze nella musica per film

Cosa vuol dire citare La Marsigliese, il celebre inno dei francesi, al cinema?

Cosa differenzia un inno patriottico da un canto popolare? Per sommi capi, l’inno nazionale è il canto dell’identità di uno stato moderno e ne racchiude la storia e il “credo” dei cittadini, che intonano con entusiasmo e commozione i versi sulla gloria della propria patria. Contrariamente, il canto popolare, per sua natura, viene trasmesso oralmente, e spesso i contenuti di protesta, sintomo dell’urgenza di un cambiamento sociale e politico, sono sentiti comunemente da tutte le genti, prescindendo da qualsiasi confine geografico.

Ne La Marsigliese, l’“inno dei francesi”, troviamo fusi inscindibilmente i principi di rivoluzione e patriottismo: il canto esorta alla libertà, alla lotta contro la tirannia e esulta all’arrivo del “giorno della gloria” del popolo; tuttavia, la sua genesi ne suggerisce una natura militare. La Marsigliese venne infatti composta nell’aprile del 1792, nel pieno della Rivoluzione Francese, dall’ufficiale Claude-Joseph Rouget de Lisle per le truppe francesi radunate al fronte contro l’esercito tedesco. Venne poi intonata dai volontari di Marsiglia, i fédérés, quando entrarono a Parigi all’assalto di Palais des Tuileries, sede di Luigi XVI, determinando la caduta della monarchia e l’inizio della fase repubblicana della Rivoluzione. La marcia, inizialmente intitolata “Chant de guerre pour l’armée du Rhin”, non manca di esaltazione e dedizione patriottica e musicalmente coglie in pieno l’afflato rivoluzionario con un ritmo di 120 passi al minuto, tecnicamente passo doppio o da manovra, diversamente dai 60 del passo ordinario.

La Marsigliese

Isidore Pils, Rouget de Lisle chantant la Marseillaise, olio su tela, Musée des Beaux-Arts de Strasbourg, 1849

È affascinante il paradosso che implica l’origine de La Marsigliese: il celebratissimo, presunto autore era un aristocratico che rifiutò di giurare sulla costituzione ma, nonostante ciò, lo chant de guerre non fu per niente apprezzato da Napoleone e dalla Restaurazione borbonica. I versi de La Marsigliese, infatti, sono violenti («Qu’un sang impur / Abreuve nos sillons!») e densi di invettive contro i regimi monarchici ispirate a manifesti di contestazione («Contre nous de la tyrannie, / L’etendard sanglant est levé», recitano i versi). L’energia rivoluzionaria che subentrò a quella bellica non passò inosservataLa Marsigliese fu in grado di coinvolgere tutti i rivoluzionari dell’Ottocento mitteleuropeo e i ceti popolari insorti, i quali si identificarono con il canto della resistenza, di solidarietà e di coraggio di fronte alla minaccia. Lo stesso Hector Berlioz, apolitico, ne scrisse un arrangiamento nel 1830 per grande orchestra, doppio coro e «Tout ce qui a une voix, un cœur et du sang dans les veines».

Di quale sottotesto è portatrice La Marseillaise, se inserita come citazione musicale in una colonna sonora, quindi in contrappunto all’immagine in movimento? In che modo può ottenere un esito straniante o coinvolgente per lo spettatore? Il Novecento è stato il secolo del cinema e con esso la “nascita” della musica per film apre nuovi orizzonti alla sintesi tra le diverse arti. Nella nuova realtà sconvolta dai conflitti mondiali e documentata dalla macchina da presa La Marsigliese ricorre più e più volte, completa o meno del suo testo: il canto della Rivoluzione Francese diventa ora simbolo di resistenza e unità, ora di conflitto e disuguaglianza, ponendo in luce la dualità che esso cela. Vediamo come.

Sin dagli albori del cinema, La Marsigliese è stata una scelta frequente per le “colonne sonore”, veri e propri pastiches di brani preesistenti, e nel primo trentennio del Novecento è diventata un vero cliché di accompagnamento per le scene di rivolta. Nel biopic Richard Wagner (1913, r. Carl Froelich) il compositore Giuseppe Becce cita il canto rivoluzionario nella scena della Märzrevolution del 1848 – non a caso, anche nella Confederazione tedesca si lottava perché giungesse a termine il regime monarchico a favore di uno parlamentare. Ancora, nel classico Metropolis (1926, r. Fritz Lang) Gottfried Huppertz commenta la rivolta degli operai oppressi, “risvegliati” anche musicalmente, con una Marsigliese dissonante. Una “chicca” per i cinefili è invece La Marseillaise (1908) di Simon Georges Mendel, riprodotto grazie al phono-cinématographe, apparecchiatura sperimentale per la sincronizzazione audiovisiva, in cui il canto dei francesi è protagonista. La pellicola, di appena 3 minuti, ritrae il baritono belga Jean Noté dell’Opéra di Parigi che esegue l’inno nella sua interezza.

Si differenzia dall’Europa la Russia, dove La Marsigliese, ancor prima della popolarità del grande schermo, si pose a fondamento dei principii dei rivoltosi di fine Ottocento, i quali se ne appropriarono cambiandone il testo nonché il titolo in La Marsigliese dei lavoratori, e li accompagnò nel cammino verso la Rivoluzione del 1905 assieme a L’Internationale, altro canto rivoluzionario francese. Parlando di cinema, il compositore Edmund Meisel tiene conto dell’ambivalenza dell’inno nelle sue collaborazioni con Sergej M. Ėjzenštejn. Nel caso de La Corazzata Potëmkin (1925) è assolutamente intellegibile ciò che ascoltiamo negli ultimi minuti, in cui i membri dell’equipaggio della corazzata, dichiarando vittoria dopo la rivolta, intonano La Marsigliese – ideologicamente, d’altra parte, i fatti narrati si rifanno a vicissitudini, in parte vere, del 1905. In Ottobre (1928), invece, Meisel cita La Marsigliese in chiave critica: nelle musiche della pellicola predomina ossessivamente un carattere di marcia ironicamente distorto che fa dell’inno francese una “parodia” conformista. Nulla di più affine con le intenzioni di Dmitrij D. Šostakovič ne La Nuova Babilonia, (1929, r. Leonid Z. Trauberg, Grigorij M. Kozincev), pellicola sovietica da lui musicata in cui La Marsigliese rimanda ad un ideale tutt’altro che popolare, anzi reazionario, e che, con ironia, svela il suo lato originario di chant de guerre.

Con l’avvento del cinema sonoro la musica, a livello interno ed esterno, interviene anche sulla falsariga delle didascalie del cinema muto. Le scelte del compositore Max Steiner per Casablanca (1942, r. Michael Curtiz) offrono un buon modello di funzione sintattica della musica. Già nei titoli di testa e nel prologo l’elaborazione de La Marsigliese e dell’inno tedesco assume una funzione segnaletica e didascalica ai fini della contestualizzazione della vicenda nel quadro storico, cioè l’assedio dei tedeschi del Marocco francese durante la Seconda guerra mondiale. Il messaggio è rafforzato dalla modulazione in minore de La Marsigliese sul dettaglio di una targa con inciso “Liberté, Égalité, Fraternité”, sotto la quale un rifugiato politico viene ucciso. In una delle scene più memorabili, il leader della resistenza Victor Laszlo ordina alla band del Rick’s Café Américain di suonare La Marsigliese per soffocare il canto delle truppe naziste: di colpo, tutti i clienti del locale si alzano ed intonano il coro delle genti europee oppresse. Un momento senz’altro coinvolgente per il pubblico del 1942, anno del culmine del potere della Germania nazista apparentemente imbattibile agli occhi della Francia assediata. Tuttavia, bisognerebbe riflettere sull’ambiguità del grido alla libertà di coloro che avevano reso il Marocco una colonia.

Con Orizzonti di Gloria (1957, r. Stanley Kubrick) torniamo indietro alla Prima guerra mondiale. Le scelte musicali di Gerald Fried, prolifico compositore statunitense di musica per film, non sono del tutto difformi da quelle di Šostakovič, e si limitano alla citazione esplicita strumentale de La Marseillaise durante i titoli di testa. Il canto per la libertà è qui marcia di oppressione e controllo e privato dei versi di rivolta non è altro che mero tema retorico. Simbolo dell’ipocrisia dei potenti che inondano le trincee della loro brama di gloriaLa Marsigliese è portatrice del concetto chiave della pellicola: «Il patriottismo è l’ultimo rifugio delle canaglie». Luccicano, perciò, le due facce della medaglia, cioè la fedeltà alla patria e la perdita di fiducia in essa: da una parte, i generali che brindano “Alla Francia!”; dall’altra, una carrellata di volti rassegnati in trincea.

Dopo aver sfiorato tutti i decenni del Novecento, approdiamo infine ai coloratissimi e rivoluzionari anni Sessanta. L’emblematico squillo de La Marsigliese che apre “All You Need Is Love” (1967) dei Beatles è una scelta tutt’altro che casuale. Scritto da John Lennon per “Our World”, il primo programma trasmesso in mondovisione, il singolo dei Fab Four divenne inevitabilmente l’inno della Summer of Love del ’67: come La Marsigliese venne intonata nella fase di progresso dall’Ancien Régime prerivoluzionario al regime politico repubblicano, “All You Need Is Love” vuole far breccia come un canto di guerra e di rivoluzione, in cui esecutori e pubblico condividono lo stesso spazio, identificandosi con esso e viceversa. Sarà banale, ma non esiste rivoluzione — ideologica o, ahimé, armata —  senza unione: dovremmo esserne più consapevoli, oggigiorno.

https://vimeo.com/262481000

Articoli correlati