Il pianista Andrea Bacchetti torna a suonare all'Auditorium di Milano

In occasione del prossimo appuntamento della Stagione concertistica 'Dal Vivo!' dell'Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi, abbiamo intervistato il pianista Andrea Bacchetti

La Stagione concertistica ‘Dal Vivo!’ dell’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi si prepara al suo settimo appuntamento con una serata dal titolo ‘Concerto dell’Incoronazione’. In programma non poteva certo mancare il Concerto per pianoforte n. 26 di Mozart che dà il nome alla serata, una composizione che appartiene agli ultimi lavori per pianoforte e orchestra del compositore di Salisburgo, caratterizzata da un’incredibile brillantezza timbrica e un’imprevedibile varietà d’invenzione tematica. A chiudere la serata sarà la Sinfonia n. 101 di Haydn, conosciuta anche come ‘l’Orologio’ per via del ritmo ‘ticchettante’ del suo Secondo movimento. Protagonista del concerto sarà ovviamente il pianista Andrea Bacchetti accompagnato dall’Orchestra Sinfonica di Milano diretta questa volta dalla bacchetta del M° Claus Peter Flor.

Noi di Quinte Parallele abbiamo avuto l’onore e il piacere di intervistare il pianista genovese, un musicista che ha dato avvio alla sua carriera da giovanissimo: già all’età di undici anni, debuttò come concertista nella Sala Verdi del Conservatorio di Milano insieme ai Solisti Veneti sotto la direzione di Claudio Scimone. Nonostante ciò, la modestia di Andrea Bacchetti è spiazzante: nel corso del nostro colloquio si è sempre difeso da ogni tipo di complimento tentando di sminuire come meglio poteva le sue straordinarie capacità. Questo mi porta a pensare che alla base del suo formidabile talento ci sia principalmente una grande umiltà.  

Subito dopo il ‘Buonasera’ di presentazione, prima ancora che l’intervista cominciasse, il Maestro mi ha comunicato la sua grande felicità nel poter tornare a suonare con l’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi:

“Ho suonato quattro volte all’Auditorium di Milano: una volta con il M° Uto Ughi per raccogliere fondi per la Fondazione Telethon, fu un tutto esaurito, addirittura molta gente rimase fuori; poi mi esibii sempre con l’Orchestra de La Verdi per due recital, e infine, suonai ancora nel 2018 per un concerto durante il periodo natalizio. La sala dell’Auditorium è favolosa, il pianoforte anche, e l’orchestra è fantastica, una delle migliori d’Europa a parer mio”.

Auditorium di Milano. Foto di Andrea Cherichi

Finalmente le sale da concerto si stanno riaprendo al pubblico. Che cosa ha comportato per lei a livello psicologico ma anche performativo la totale sospensione della musica dal vivo?

Una tragedia! Il fatto di non poter suonare più davanti a un pubblico non ha fatto altro che aumentare la mia ansia da palcoscenico… Domenica dovrò suonare al Piano City di Milano i Preludi e Fughe dal Clavicembalo ben temperato di Bach, Volume II, e anche se è da ormai un anno e mezzo che li studio e li ripeto tutti i giorni (ho fatto anche diverse registrazioni che può ritrovare agilmente su YouTube digitando “Bacchetti WTC II”), non so se riuscirò realmente a suonarli davanti a una platea, eppure suono tutta l’intera opera anche due o tre volte al giorno da capo a fondo e a memoria! Registrare per l’incisione di un disco o per una registrazione streaming è totalmente differente che sonare dal vivo: l’idea di avere una sola occasione nella quale non si può assolutamente sbagliare è spesso destabilizzante e mi porta ogni tanto alla sensazione di non ricordarmi più niente… questo è incredibile. Il dover chiudere le sale da concerto al pubblico per un periodo così lungo è quindi stato per me deleterio, perché mi porta oggi a fare appello a tutta la mia forza psicofisica e a tutta la mia concentrazione, sia prima che durante il concerto.

La sua attività concertistica è iniziata da giovanissimo, già da bambino si esibiva regolarmente presso le sale da concerto più prestigiose, con gli anni come è cambiato quindi il suo rapporto con il pubblico?

Sì, da bambino non avevo alcun tipo d’ansia e pensare che suonai in posti davvero molto prestigiosi, come al Festival di Lucerna, a quello di Salisburgo, mi esibii al Conservatorio di Milano molte volte. Ma sa, finché si è giovani e incoscienti non si ha il ‘batticuore’ pre-concerto, quello è iniziato a spuntare verso i vent’anni, e tra i venti e i trenta è aumentato… io tutti i giorni a casa, su insegnamento dei miei vecchi maestri dell’Accademia di Imola, eseguo diverse prove-concerto, con inchino annesso, proprio come se ci fosse il pubblico davanti a me e, già così, un po’ di timore mi viene, ma ovviamente è un’altra cosa rispetto all’emozione che ti assale quando hai una sala da concerto piena di gente.

quella sarà anche la magia del pubblico… 

(Ride) Può darsi, può darsi…

Si può dire che un bambino prodigio suona prevalentemente in modo istintivo e naturale; col tempo lei ha cercato di tutelare questo istinto o si è ritrovato a doverlo sottoporre a uno studio tecnico ben preciso?

Ho cercato un modo per riuscire a mantenere la naturalezza che mi caratterizzava quando ero bambino. In un concerto di Mozart, per esempio, la vitalità, la naturalezza, la musicalità, la semplicità, sono aspetti fondamentali. Crescendo ho riscontrato diverse difficoltà: mi ero accorto che con la mia Maestra del Conservatorio avevo perso l’intesa, non riuscivo a imparare più niente e addirittura non riuscivo più a suonare. Per fortuna poi sono andato all’Accademia di Imola, e lì ho avuto diversi maestri che hanno saputo ‘sbloccarmi’ e mi hanno fatto rimparare a suonare onestamente, se non fosse stato per loro non avrei mai più potuto suonare. Per quanto riguarda la tecnica, l’ho studiata moltissimo da giovane, e tutt’oggi eseguo ogni mattina, in modo lento, gli Studi 7 e 8 di Chopin all’interno del mio riscaldamento quotidiano; però la tecnica, da un certo punto in poi, deve diventare automatica e naturale. Da giovane grazie a questo grande studio tecnico riuscivo tranquillamente a suonare in pubblico composizioni di Rachmaninov, List e Berio.

Andrea Bacchetti

Nel corso della sua prestigiosa carriera si è ritrovato a confrontarsi con musicisti di rilievo internazionale. Quale segno hanno lasciato in lei queste grandi personalità e in quale modo, se è successo, hanno contribuito alla sua crescita musicale? 

Sì, in effetti ho suonato con diversi Direttori d’orchestra famosi come Fabio Luisi, Aldo Ceccato, Piero Bellugi. La prossima settimana durante la serata a La Verdi dovrò suonare con Claus Peter Flor e onestamente spero molto che gli possa piacere il mio modo di suonare. Ho avuto poi la fortuna di ascoltare più volte dal vivo Maurizio Pollini, io sono amico del figlio Daniele con cui ho suonato a Pesaro nel 2000, posso dire che nutro nei confronti di Pollini un’ammirazione sconfinata. Poi ho studiato con Luciano Berio dall’89 fino alla sua morte. Ho suonato inoltre con diversi gruppi da camera eccezionali che sono stati per me davvero molto formativi, tra i quali i gruppi da camera dell’Accademia del Santa Cecilia, quelli dell’Orchestra della Rai, e anche quelli dell’Orchestra della Scala. Lavorare con musicisti di così alto livello è stato fondamentale per la mia crescita artistica. Ho suonato più volte con Uto Ughi, dal violinista ho imparato moltissime cose e ancora imparo molto quando proviamo insieme, per esempio, per quanto riguarda la dinamica, ho assimilato da lui i cambi di colore improvvisi, un aspetto fondamentale per levare la noia alla musica. Poi ho suonato tanti anni col violoncellista Rocco Filippini, lui per me è stato un maestro, a ogni concerto, a ogni prova, tutto era accuratamente calcolato, il suo modo di lavorare è stato per me una grande lezione. Si può imparare molto anche dai Direttori d’orchestra: la settimana scorsa ho fatto un concerto con una Direttrice d’orchestra italiana a parer mio bravissima, Gianna Fratta, che conobbi a un corso di pianoforte con Franco Scala circa vent’anni fa. La sua direzione è stata per me una rivelazione! Con lei ho eseguito la Seconda Sonata di Beethoven per pianoforte che è un pezzo che suono da trent’anni e vorrei anche non farlo più… L’orchestra non era una delle migliori con cui mi sono esibito, però la Direttrice ci ha fatto lavorare molto bene e alla fine l’organico si è distinto in molti dettagli sia a livello d’intonazione che d’insieme. Lavorando con la M° Fratta ho realmente capito che il Direttore è importantissimo, perché se è bravo e sa fare bene il suo lavoro, l’orchestra da modesta può diventare molto buona, mentre se un’orchestra buona è diretta da un Direttore mediocre, rischia di diventare un’orchestra scarsa e inascoltabile.

La prossima settima suonerà con la Verdi il Concerto dell’Incoronazione di Mozart, ci può brevemente parlare di questa composizione e delle difficoltà che un pianista si ritrova ad affrontare nello studio e nell’interpretazione di questa musica?

Allora, l’anno scorso ho suonato il concerto immediatamente precedente, il K503, con l’Orchestra della Svizzera Italiana, diretta dal M° Urbański. Il concerto dell’Incoronazione è grossomodo strutturato come il precedente n. 25, ma il tempo lento è realmente un capolavoro d’ispirazione, di una bellezza incredibile: cosa è venuto in mente a Mozart in quel momento lì, nessuno lo sa… Il Primo movimento presenta anche delle parti contrappuntistiche in stile “bachiano” che ci portano al secondo tema che è proprio quello dell’Incoronazione. La difficoltà, come in tutti i pezzi, è impararlo, ci vuole molto tempo.

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