Sono solo canzonette?

Come sta la musica da camera in Italia: una panoramica dei progetti più interessanti per il mondo dei Lieder e della canzone d'arte.

L’Italia è storicamente la terra del melodramma e dell’opera lirica. Una questione quasi di sangue, iscritta in un DNA collettivo tanto indimostrabile quanto imprescindibile. Dal “Viva V.E.R.D.I.” di memoria risorgimentale fino ai bagni di folla per l’Aida diretta da Tullio Serafin, la dimensione universale dell’Opera ha sempre riscosso un consenso pressoché unanime, tanto tra gli addetti ai lavori quanto tra il grande pubblico italiano. Schiacciata tra il gigantismo della lirica e la severità della musica sacra, la musica vocale da camera non ha avuto tanta fortuna nel nostro paese come i Lieder nei paesi di lingua tedesca. Oppure no?

 

Per fortuna si tratta di luoghi comuni: premesso che l’opera ha avuto un gran numero di detrattori in Italia – Francesco Bracci ha addirittura dedicato un saggio agli italiani contro l’opera – e la musica vocale da camera ha avuto estimatori, compositori e interpreti appassionati e di assoluto valore. Non c’è dubbio che la tradizione austrotedesca abbia raggiunto i vertici del genere, ma è imprescindibile scoprire quali sono le tracce che sono rimaste nel panorama musicale italiano fino ad oggi e capire quale potrà essere il suo posto in futuro.

 

Il compositore riscoperto: Francesco Paolo Tosti

La storia della musica è piena di cicli di fama di questo o quel compositore, che hanno alternato momenti di sostanziale oblio a una fama persino insperata. Pare sia arrivato questo momento ora per Francesco Paolo Tosti, compositore abruzzese attivo tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi del Novecento. La peculiarità principale della produzione di Tosti è che scrisse una quantità sterminata di musica vocale ma senza mai lambire l’ambito operistico: una scelta sicuramente distintiva in un periodo in cui Verdi prima e poi Puccini dominavano le scene. E fu anche una scelta probabilmente vincente, visto il successo e la popolarità che riscosse in vita, complice anche un fortunato sodalizio con il suo corregionale D’Annunzio. Le romanze di Tosti sono delle composizioni generalmente di breve durata, che potremmo assimilare a tutti gli effetti alla canzone d’autore, ma caratterizzate da un buon gusto e da una deliziosa scelta armonica che le rendeva perfettamente uniche e distinguibili nel panorama di fine secolo. Tra l’altro Tosti oltre ad essere compositore fu anche un acclamato didatta: tra i suoi innumerevoli allievi si annoverano anche alcune delle più prestigiose teste coronate del tempo e rispettivi rampolli, cosa che contribuì così a cementarne il successo. Oggi un Istituto eponimo ne custodisce l’eredità a Ortona, sua città natale, sostenendone la diffusione in Italia e all’estero.

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Gli interni della casa museo dedicata a Tosti
© Chieti Today

 

Tra i progetti che hanno dato il la a questa riscoperta c’è l’integrale pubblicato dall’etichetta olandese Brilliant Classics, del 2020, o l’incisione del baritono Vittorio Prato, che raccoglie venti romanze della produzione tostiana, e il progetto di “rielaborazione” delle romanze in chiave orchestrale portato avanti dal direttore d’orchestra romano Francesco Lanzillotta, che lo descrive così. “La mia idea era quella di ripensare una musica che – paradossalmente – è già perfetta così com’è. Per questo ho scelto di dare ad alcune delle tantissime romanze una nuova veste: non una semplice orchestrazione, ma neppure uno stravolgimento totale.” Nelle nuove rielaborazioni di Lanzillotta, che sono fedelissime per quel che riguarda il flusso melodico e i fondamentali armonici del brano, emergono di volta in volta nuovi particolari, nuove idee che tramite il filtro di una sensibilità moderna superano il muro dell’esercizio di stile costituendo un oggetto d’arte a se stante.

Il risultato è già stato testato e apprezzato più volte dal vivo – incredibile a dirsi, visto il periodo – e per farvi un’idea ci sono delle incisioni su Youtube a partire da quella qui sotto.

 

Il festival: Liederiadi

Complice la vicinanza con la Mitteleuropa, Milano rappresenta senza dubbio uno dei luoghi più fecondi per la produzione liederistica: tra i grandi teatri e le grandi istituzioni concertistiche La Scala è quello che, statisticamente, ospita più di frequente musica vocale da camera. A meritare una particolare attenzione è però il Festival Liederiadi, interamente imperniato sul genere. Con i suoi quattordici anni di attività la manifestazione, oggi ospitata alla palazzina Liberty del capoluogo meneghino, ha costruito una sensibilità invidiabile attorno a questo tipo di musica, cosa decisamente degna di nota. Ma ancora più originale è la scelta del repertorio: non solo “musica” appartenenti ai grandi cicli di Schubert, Schumann o Brahms, anzi. Scorrendo il programma dell’edizione di quest’anno, per ovvie ragioni in gran parte consultabile online, si trovano nomi di autori più disparati, passando dalle Scottish Songs di Beethoven alle liriche italiane di autori del Novecento italiano come Ghedini o Castelnuovo-Tedesco, anch’essi sulla via di una riscoperta meritatissima.

 

L’ensemble: I Liederisti Italiani

C’è anche chi ha provato a gettare un ponte tra il mondo austrotedesco e l’Italia. Tra i progetti più significativi che lavorano in questo campo c’è quello dei Liederisti Italiani, un ensemble formatosi all’interno della classe di Erik Battaglia al Conservatorio di Torino. Battaglia, vero e proprio decano della pratica liederistica in Italia, ha dato vita oramai più di dieci anni fa ad un ciclopico progetto di Schubertiade pluriennale in collaborazione con l’Unione Musicale, storica istituzione cameristica torinese, come omaggio a Fischer-Dieskau, coinvolgendo negli anni alcuni tra i suoi allievi ed ex allievi e talvolta vestendo i panni di esecutore assieme al soprano Valentina Valente. Da queste iniziative è nato l’ensemble, che ha ufficialmente debuttato nell’ottobre 2020, raccogliendo le esperienze degli anni passati in cui si erano alternati numerosi musicisti e qualche highlander, come il pianista Sandro Zanchi. Ma in generale le diverse esperienze che hanno portato insieme i sei musicisti sono accomunate dall’amore per una forma musicale, e l’impulso di diffonderla il più possibile

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I Liederisti Italiani: in piedi, da sinistra Christian Chiggiato, Sandro Zanchi, Davide Filippo Pirroni, Stefano Gambarino. Sedute, Maria Valentina Chirico e Laura Capretti. © Ombretta De Martini Fotografia

Per molti versi la lingua tedesca in cui cantiamo i lieder ha rappresentato il principale ostacolo per il nostro pubblico – racconta il tenore Stefano Gambarino – e spesso c’è la preoccupazione che chi viene a sentirci possa distrarsi tra le traduzioni, la comprensione del testo e così via; la ricerca di determinate sfumature, nuance che magari nell’opera mancano, ci ha reso forse un po’ meno accessibili, o meglio, è più difficile creare un attaccamento più forte e immediato con il pubblico. Certo, non sempre si ha modo di fare un passo supplementare, di seguire guide all’ascolto o leggere le traduzioni dei testi prima del concerto ma, una volta che si riesce a coinvolgere il pubblico, il risultato è magnifico, e ci si può veramente abbandonare a questa meravigliosa musica, a ciò che essa trasmette.” “Nel Lied, tra l’altro, è proprio la parola che conta più di tutto, o almeno così dovrebbe essere.” Gli fa eco Laura Capretti, mezzosoprano. “In aggiunta, la lingua di questa musica è una lingua poetica spesso estremamente elevata, che già di per sé richiederebbe una conoscenza o almeno un’abitudine ad un materiale letterario di un certo tipo. Proprio perché così elevata, però, presenta vari piani di lettura e comprensione, offrendosi a tutti i fruitori come musica universalmente comprensibile ed emozionante. Queste composizioni sono nate in un ambiente e all’interno di una cerchia di uomini di immensa cultura trasversale che spesso è inconcepibile per un mondo in cui la specializzazione è diventata così predominante.”

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Sandro Zanchi e Stefano Gambarino in azione © Unione Musicale

 

Le circostanze concomitanti che chiunque può immaginare hanno costretto i Liederisti, dopo un primo esperimento, a ripensare delle versioni online di queste avventure. Il felice accostamento tra l’interpretazione dei lieder e il loro l’allestimento scenico minimale si è rivelato estremamente funzionale alla fruizione online. La cornice dei testi poetici recitati dalla voce narrante di Olivia Manescalchi hanno risposto perfettamente alle diverse esigenze di fruizione che un “concerto” del genere ha, compresa anche un po’ di interazione con il pubblico. Concerti registrati e dialoghi con il pubblico tramite i commenti di Youtube. Spiega Sandro Zanchi che “[…] l’elemento della distrazione, una volta che si deve seguire qualcosa stando al computer, è per forza di cose onnipresente. Però abbiamo cercato di costruire un qualcosa che svecchiasse un po’ la tradizione del buio in sala – che ha le sue ragioni, ci mancherebbe – vista la situazione. E poi ci ha fatto piacere notare come comunque il grosso dei commenti non arrivasse in diretta ma subito dopo la fine della registrazione. Distrazione o no, ci hanno seguito attentamente per tutto il tempo.”

Maria Valentina Chirico e Laura Capretti. Sullo sfondo, Dante Gabriel Rossetti © Unione Musicale

 

A valorizzare il tutto c’è stata anche una serie di scelte anche iconografiche controintuitive: per le due puntate online della schubertiade si è scelto un setting preraffaellita. che, nonostante sia apparentemente sfasato con l’universo schubertiano, parrebbe giustificato dal fenotipo del mezzosoprano Laura Capretti. La diretta interessata però ha un’altra versione per spiegare questa scelta: “In realtà si tratta di una scelta molto pratica: portando avanti questa schubertiade, ci siamo trovati ad esplorare anche parti del repertorio schubertiano piuttosto sconosciute, eppure dovevamo creare una storia che fosse piacevole e comprensibile da seguire. Così le immagini sono diventate una sorta di filo conduttore tra questi Lieder che parlano di spiriti, personificazioni della natura, apparizioni magiche, alternanza di giorno, notte, stagioni: allora abbiamo pensato di creare dei piccoli personaggi fantastici, per aggiungere un carattere un po’ più magico e misterioso a una musica che effettivamente ci ha dato queste sensazioni. Abbiamo messo il Wanderer a contatto con un universo per lui completamente nuovo!” “Tra l’altro – chiosa Zanchi – il linguaggio musicale e poetico di Schubert è necessariamente distante da noi, ma non lo sono le emozioni che suscita: accostarlo ad immagini un po’ più vicine a noi aiuta a rendere ancora più forte questa dimensione senza tempo.”

L’effetto è un po’ straniante, lo ammetto, ma il risultato merita. Giudicate voi:

 

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