Corrispondenze n. 7: Trittico Marsigliese

"I suoni rispondono ai colori": il carteggio tra Andrea Liberovici e Gianfranco Vinay

Il penultimo episodio del carteggio tra Andrea Liberovici e Gianfranco Vinay è incentrato sul cosiddetto Trittico Marsigliese: tre lavori che, nella lettura del musicologo, possono essere letti anche in una visione dantesca di Inferno, Purgatorio e Paradiso.

Trittico Marsigliese

Carissimo Gianfranco,

ho pensato di inviarti una sorta di “Trittico Marsigliese“ che credo possa interessarti molto per tante ragioni. Fra cui: Sex, Drugs e Rock’n’Roll ma del nuovo millennio quindi Sex (soli allo specchio) Drugs (mercato delle illusioni) Rock’n’roll (senza corpo danzante). Per evitare di cadere nell’inganno queste tre prime categorie sono i temi di due movimenti mentre il terzo è, di fatto, una ipotesi di trasformazione, in positivo, dei tre punti precedenti. Inizierei quindi gli ascolti con questa trasformazione. 

Ma immagino che tu, almeno in parte, sappia già di cosa ti sto parlando.

Aspetto tuo feedback!

A.

Springing from the Earth – su poesia di Daisaku Ikeda, soprano Shigeko Hata

 

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Caro Andrea, 

il tuo ultimo invio mi ha fatto esplodere una crisi di nostalgia: i lavori teatrali e/o acusmatici Faust’s Box, Frankenstein Cabaret, Electronic Lied e Springing from the Earth sono stati tutti commissionati da Raphaël de Vivo, e prodotti dal GMEM, il centro di produzione musicale di Marsiglia, da lui diretto fin al suo pensionamento, verso la metà dello scorso decennio. Grazie a lui il festival musicale di Marsiglia era diventato in quegli anni un’occasione artistica di primo livello nel panorama francese e internazionale. Mia moglie, l’adorata Marianne, faceva parte del consiglio direttivo e come nel caso del GRM di Parigi, ti aveva presentato a Raphaël, con cui era nata subito una grande amicizia basata su affinità elettive, umane, artistiche e culturali. Per me e per Marianne il festival di Marsiglia era un piacevole rito estivo, che ci permetteva di immergerci nel calore non solo atmosferico della città (la Napoli della Francia), e ritrovare gli amici marsigliesi: Georges Bœuf, Jean-Claude Risset e numerosi altri che erano all’origine della creazione del GMEM. Specialmente dopo l’apertura della linea diretta da Parigi con TGV, Marsiglia si raggiungeva (e si raggiunge tutt’oggi, Covid permettendo) in poco più di tre ore. E il passaggio rapido dalle brume e dalla grisaille parigina al plein soleil mediterraneo era ed è un’attrazione fatale. Vi è stato un momento, prima che il progredire della malattia di Marianne limitasse gli  spostamenti da Parigi, in cui avevamo pensato di acquistare un appartamento a Marsiglia e potervi così soggiornare più spesso. Ma siccome Raphaël veniva sovente a Parigi per i suoi diversi impegni, anche in quegli anni ci frequentavamo regolarmente, e alcune volte siamo riusciti a vederci tutti assieme, te compreso.

Adesso basta con i ricordi e con il sapore dolce-amaro che ti lasciano in bocca e nel cuore. Purtroppo, oltre che Marianne, Georges, Jean-Claude e diversi altri amici sono ormai scomparsi, ma Raphaël è vivo e vegeto e continua con lui un’amicizia a dimostrazione che ciò che ci legava non era soltanto la funzione direttiva che esercitava e le possibilità di lavoro e di collaborazioni connesse, ma la sua umanità, la sua cortesia, la sua ironia, le sue doti umane di cui fortunatamente possiamo godere ancora oggi.

Come sai, ti scrivo da Siena, a un’ora da Firenze, e siamo nell’anno in cui si celebra il settecentesimo anniversario della morte di Dante. In omaggio a lui sto rileggendo la Divina Commedia nella bella edizione riccamente illustrata in nove volumi che sta uscendo in edicola. E quindi ciò che adesso ti dico è certamente influenzato da queste circostanze ed è contrario a tutti i precetti della critica musicale onesta, che richiederebbe e richiede che il critico tenga conto delle circostanze che sono alle origini di un’opera. E, certamente questi tre lavori tu li hai composti per circostanze diverse che non hanno niente a che vedere con Dante e la Divina Commedia. Ma lasciami per una volta trasgredire a questi precetti e avventurarmi in una sorta di esegesi fantastica, il cui asse della triade teorizzata da Jean-Jacques Nattiez (che tra l’altro ha scritto una critica molto elogiativa e sensibile nei confronti di due di questi tuoi lavori) è del tutto sbilanciato sul terzo dei livelli da lui (per la verità da Jean Molino, ma Jean-Jacques riconosce il prestito) teorizzati come fondamenti dell’interpretazione di un’opera musicale: livello poietico, livello neutro e livello estesico. Sbilanciato cioè sul livello estesico, che nel caso specifico consiste nelle mie personali illazioni riguardo la tua trilogia. 

Detto tutto d’un fiato, spudoratamente, Frankenstein Cabaret – Electronic Lied e Springing from the Earth corrispondono a Inferno, Purgatorio e Paradiso. Non saprei bene fra i primi due quale considerare come Inferno e come Purgatorio, che comunque, già in Dante sono due diverse gradi di espiazioni di colpe più e meno gravi, mentre il Paradiso è l’ascesi finale, la purificazione che ci guida «a riveder le stelle». Dunque, diciamo che i primi due sono una sorta di sintesi di Inferno e Purgatorio. E quali sono le colpe? Entrambi i lavori, in formulazioni non poi troppo dissimili, rappresentano l’Inferno-Purgatorio della nostra condizione umana contemporanea: sussurri e grida di corpi malati e assatanati (Fuck me), di solipsismi, di crisi di identificazione e di narcisismo (Hi-je suis), di perversioni acustiche, di furia del dileguare senza prender coscienza che stiamo dileguando («rien ne peut durer si ce n’est que la mutabilité»), che stiamo affogando in un bagno di banalità (per usare un’espressione gentile).

Il Paradiso, invece, è la scorporazione, l’ascesi della voce nel regno dell’incanto: una sorta di regno di Oz senza la strega cattiva. La voce della cantante che intona il testo di Daisaku Ikeda in giapponese si moltiplica attraverso il trattamento elettronico in echi, in polifonie che, in linguaggio moderno, rinviano all’Organum, al Discanto, all’Okoetus, a principi in uso nella polifonia antica, da Magister Leoninus e Magister Perotinus, dall’École de Nôtre-Dame in poi. Anche questa è probabilmente un’illazione: non so se avessi in mente tutto ciò mentre componevi Springing from the Earth. Ma poco importa, in arte nulla nasce dal nulla. La fantasia pura non esiste. Come ha dimostrato e mostrato Aby Warburg col suo poderoso lavoro di identificazione dei modelli di tutti i tempi e senza distinzione di livelli di artisticità, l’arte è una continua riconfigurazione di modelli e l’originalità dell’artista consiste nelle modalità nuove e originali di trasformare questi modelli. E questo vale ovviamente anche per l’arte contemporanea. Se non l’hai già letto ti consiglio di leggere questo libro di Salvatore Settis, appena uscito da Feltrinelli: Incursioni. Arte contemporanea e tradizione. Un libro del genere non è ancora stato scritto per l’arte musicale. Mi sta venendo la voglia. Magari lo scriverò.

Ma ritorniamo ancora un momento all’illecita analogia tra la tua trilogia (che, a prova dell’illiceità non fu concepita come tale) e la Divina Commedia. Anche lì, nella tua trilogia, una donna, e cioè Shigeko Hata, la cantante giapponese, appare come una Beatrice salvifica dopo le perverse seduzioni vocali e foniche di Ottavia Fusco degli altri due pannelli del trittico.

Ma prendi tutto questo come «quasi una fantasia». Tanto questa corrispondenza è fra me e te, e nessuno ci legge.

Electronic Lied – attrice cantante Ottavia Fusco

 

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Caro Gianfranco,

l’ottimismo che esprimi rispetto a chi ci legge (nessuno!) mi commuove! Colgo l’occasione per segnalarti che, in realtà, gli implacabili “dati statistici“ dei nostri dialoghi stanno aumentando in modo importante rispetto a questa nostra nicchia fra le nicchie. In sintesi, non siamo soli. E questa crescita dei lettori mi sembra molto interessante, non per gratificazione narcisistica, ovvio mi fa piacere, ma perché ci segnala e ci ricorda che il web è anche, per fortuna, ricco di contenuti, che vengono cercati, rincorsi e approfonditi in mezzo ad una discarica di junk food infinita che spesso li nasconde. Come si diceva nello scorso millennio: la qualità paga (in questo millennio no ma questo è un altro problema). Con gli ascolti inizierei all’inverso, da ciò che identifichi con paradiso, in giù. Quindi dal brano giapponese per poi procedere verso un malmostoso mélange inferno purgante, peraltro di un’attualità impressionante visto che, parlando ad esempio di Electronic Lied, il tema è la ricerca di un dialogo qualsiasi attraverso una relazione sessuale (un grande classico) ma via internet. A questo proposito paradisi, purgatori e inferni, secondo la filosofia/religione buddista, sono tutti contenuti dentro di noi e sta solo a noi decidere in quale luogo soggiornare… ma per evitare doppioni ti allego la presentazione che avevo scritto per Springing from the Earth che contiene, inestricabilmente, il senso dei tre lavori e dei tre tempi a noi congeniti.

“Il poeta, non merita questo appellativo fin che parla dei suoi pochi personali sentimenti; tuttavia, appena riesce a far proprio il mondo, e lo esprime, allora è un poeta.“ J.W.Goethe*

È veramente un grande onore per me, ed una grande responsabilità, musicare, o meglio trovare, il suono nascosto dentro le parole, di questa bella poesia di Daisaku Ikeda.
Ikeda, oltre ad essere un grande poeta, scrittore e fotografo giapponese a noi contemporaneo, è Presidente della Soka Gakkai Internazionale (Soka Gakkai in giapponese vuol dire “associazione per la creazione di valore“) l’istituto buddista giapponese che protegge e divulga l’insegnamento corretto del buddismo di Nichiren Daishonin.
Da quando ho iniziato a praticare il Buddismo di Nichiren Daishonin, nel 1999, la dittatura dell’ego, che fin lì mi aveva accompagnato (l’ego dei compositori peraltro si sà, generalmente, è proprio una brutta bestia), progressivamente, ha cominciato ad incrinarsi rivelando spazi maggiori, sia umani che creativi. La scelta di questa poesia non è casuale. E’ un omaggio sentito al mio Maestro di vita e nello stesso tempo uno stimolo per approfondire il suo prezioso insegnamento. Sento molto vicino a me questa poesia, scritta da Ikeda in età giovanile, perché stigmatizza in modo preciso e sintetico, la tensione profonda verso l’autoriforma radicale dei pensieri, delle parole e delle azioni dominate dal mondo delle illusioni in cui tutti, chi più chi meno, consapevolmente viviamo. “Io emergo dalla terra“ (verso con cui si chiude questa breve poesia) credo, stia proprio ad indicare lo sforzo e la promessa della filosofia e religione buddista, vale a dire la felicità in questo mondo che, parafrasando liberamente Calvino e le sue Lezioni Americane, non è “superficialità“ ma “leggerezza“ intesa come risultato di una lotta costante con la propria oscurità da condividere con gli altri.
Quindi, vorrei ringraziare profondamente, sia Daisaku Ikeda per avermi permesso questo lavoro sia il direttore del festival Raphael De Vivo per avermelo commissionato e la brava Shigeko Hata per averlo con pazienza costruito insieme a me.

“Quando lo sviluppo di una persona ha raggiunto un certo stadio, è vantaggioso perdersi in un tutto più grande, imparare a vivere per gli altri, e dimenticare se stessi svolgendo una deferente attività per il prossimo. Solo allora si arriverà a conoscere se stessi.“ J.W. Goethe dal “ Wilhelm Meister“*

* Queste due citazioni di Goethe sono tratte da “Goethe l’uomo“ lezione tenuta presso l’Università Soka di Tokyo da D.Ikeda

In tutto ciò, come giustamente segnali nel tuo scritto, Raphaël de Vivo è stato il perno che ha permesso e commissionato questi tre frammenti in tempi diversi e poi, successivamente, Faust’s Box con l’ensemble Ars Nova. E vorrei ricordare, oltre all’amicizia tutt’ora in corso, l’unicità della sua visione. Raphaël non ha mai organizzato dei festival ma dei processi che duravano tutto l’anno per poi sfociare in un festival. Sceglieva dei temi, per esempio nel caso di Springing from the Earth il tema del festival era voce ed elettronica, e non soltanto li assemblava all’interno di un percorso ampio, teatri, chiese, piazze ecc. ma alcuni li produceva, appunto, partendo da un’idea di contesto. Le sue erano commissioni tematiche. Ma la cosa che più mi ha colpito era la capacità, attraverso una politica culturale capillare durante l’anno, di coinvolgere in questi temi un pubblico ampio e assolutamente eterogeneo. Ricordo una meravigliosa versione di “La lontananza nostalgica utopica futura“ di Luigi Nono, di domenica pomeriggio, in una chiesa a picco sul mare. Ricordo la coda di persone che aspettavano d’entrare e c’erano veramente i rappresentanti di tutta la città, dalla panettiera all’intellettuale, dal curioso, al musicista, dai giovani (tantissimi) a due preti ortodossi ecc. La musica contemporanea viveva, finalmente fra i contemporanei. Purtroppo quella stagione è finita. Da tempo chiedo a Raphaël di scrivere un libro per raccontare e tramandare il suo metodo veramente speciale d’avvicinare le persone a percorsi sonori e musicali complessi, ma lui si schernisce… come spesso accade ai “grandi“!

I malmostosi universi bassi e bassissimi, che definisci purgatorio-inferno, ovvero Frankenstein Cabaret e Electronic Lied e che hai ragione, sono assolutamente intercambiabili, hanno prodotto una definizione sicuramente lusinghiera all’interno della presentazione del CD Electronic Frankenstein (prodotto da GMEM) da parte di J.J.Nattiez e che mi innanzitutto aiutato a contestualizzare e definire la mia ricerca di quel periodo. Te ne allego uno stralcio:

“Andrea Liberovici è un compositore del suo tempo (…) le sue opere ci raccontano la tragedia dell’umanità postmoderna. (…) la sua musica ci costringe a confrontarci con i nostri più intimi conflitti negli abissi più foschi delle profondità del nostro Ego.“

Jean-Jacques Nattiez “Portrait du compositeur par Frankenstein“  2006

Un abbraccio

Andrea

Frankenstein Cabaret – attrice cantante Ottavia Fusco


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IN CAUDA

Caro Andrea, visto che all’inizio di questo scambio epistolare ho tirato in ballo la Divina Commedia , vorrei ritornarci «in cauda» con quest’altra citazione :

«Temer si dee di sole quelle cose

c’hanno potenza di fare altrui male;

de l’altre no, che non son paurose».

È Virgilio che parla, spiegando a Dante le ragioni per cui non si preoccupa di scendere dall’Empireo all’Inferno (II,88-90), per accompagnarlo nel suo viaggio catartico. Ma, come spesso nella Divina Commedia, i versi travalicano il contesto narrativo e si trasformano in formule sapienziali. Come nel caso delle tue citazioni goethiane, anche questo è un messaggio altruistico, tanto più valido in un’epoca in cui un atteggiamento egoistico e irresponsabile si ritorce anche contro chi lo compie. La paura del male si vince rispettando gli altri. Anche e specialmente nei periodi di pandemia.

Cari saluti

Gianfranco

Trittico Marsigliese

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