Violoncello In-Audito: le due Sonate di Mjaskovskij

Con le due Sonate per Violoncello di Mjaskovskij, compositore russo coevo di Prokof'ev, inauguriamo la rubrica "Violoncello In-Audito"

La rubrica Violoncello In-Audito nasce dallo studio del repertorio violoncellistico e dall’idea di esplorare e far emergere, attraverso l’analisi e un invito all’ascolto, pagine meno note, spesso meno eseguite, ma non per questo meno degne di interesse. Oggi affronteremo la figura di Nikolaj Jakovlevič Mjaskovskij, focalizzandoci sulle due Sonate per violoncello e pianoforte.

«Myaskovsky mi ha portato a Prokofiev, e Prokofiev indirettamente a Shostakovich,e attraverso Shostakovich a Britten»
Rostropovich

Nikolaj Jakovlevič Mjaskovskij (1881-1950) è considerato il padre della sinfonia sovietica avendo composto ben 27 sinfonie. In realtà, la sua attività è molto varia: compone anche poemi sinfonici come Molchaniye sulle parole di Edgar Allan Poe, si dedica alla musica corale – tra cui un’opera basata su L’idiota di Fëdor Dostoevskij, rimasta incompleta – e alla musica per pianoforte solo, per voce e pianoforte e infine alla musica da camera, con 13 quartetti, una sonata per violino e due per violoncello.

Mjaskovskij si presenta quindi come uno degli esponenti più importanti della Russia della prima metà del Novecento e come molti altri suoi contemporanei e conterranei, la sua vita professionale e personale è inevitabilmente intrecciata e influenzata dalla pressione del regime stalinista.

Mjaskovskij nel 1926

 

Il compositore

Personalità scomoda, individualista e forte della sua sensibilità e riservatezza, Mjaskovskij non è di certo un uomo adatto all’ideologia rivoluzionaria bolscevica, ma suo malgrado è uno dei compositori più apprezzati dal partito comunista: nella sua vita vincerà per ben cinque volte il Premio di Stato dell’Unione Sovietica, come nessun altro compositore. All’origine dei futuri contrasti con il regime sovietico è l’amicizia di una vita con Prokof’ev, un legame che si consolida negli anni del Conservatorio a San Pietroburgo.

A unire i due compositori, uno il più vecchio, l’altro il più giovane tra gli allievi della classe di Ljadov, è l’antipatia condivisa nei confronti dell’insegnante.

La prima collaborazione tra i due, su una sinfonia andata poi perduta e nata proprio in Conservatorio, si trasformerà presto in confronto costante e riconoscenza reciproca che porterà i due musicisti a condividere momenti molto delicati della loro vita. Sono diversi i documenti che testimoniano l’affetto – e l’apprensione – che Mjaskovskij nutriva per Prokov’ev. L’8 aprile 1930, in una delle sue numerose lettere ad Asaf’ev, compositore, musicologo e altra grande personalità del tempo, scriveva: «Questo non è il momento giusto per parlare a sostegno di Prokofiev – è meglio ripetere sempre le stesse cose, piuttosto che combattere contro i mulini a vento. Alla fine, Prokof’ev prevarrà e trionferà su tutti».

Mjaskovskij e Prokov’ev: la loro amicizia durò oltre quarant’anni

L’amicizia che lega i due compositori va oltre il loro rapporto e sconfina in una reciproca, costante influenza musicale, che plasmerà le rispettive produzioni.

Lo stile di Mjaskovskij riflette la grande capacità di assorbire e includere nella sua musica gli aspetti più intimi della vita. Privandosi (almeno nelle sue composizioni) dei sentimenti bui e dei rigurgiti rabbiosi delle masse, raccoglie gli aspetti più liberi dalle influenze sociali e politiche del suo tempo: dal folklore a un romanticismo quasi retorico.

Mjaskovskij parla a volte in un sussurro, altre volte con voce ferma, ma non urla mai. Non possiede la furia distruttrice del suo amico Sergej né la denuncia dichiarata e sfrontata del giovane Shostakovich che, rendendogli visita sul letto di morte, lo definirà «il più nobile, il più umile degli uomini». Eppure, le sue opere colpiscono, trascinano l’ascoltatore a una dimensione di profonda e sincera intimità: in un’altra lettera sempre indirizzata ad Asaf’ev, risponde alle critiche del partito chiedendosi: «È possibile che il lato psicologico sia così estraneo a queste persone?».

Questa cura per l’intimo, il “non detto” è forse la sua firma stilistica più caratteristica.

 

Mjaskovskij e i suoi studenti: sono più di ottanta i compositori cresciuti nella sua classe al conservatorio di Mosca, tra questi Kabalevsky, Khachaturian e B. Tchaikovsky

 

La Sonata n. 1 op. 12

La Sonata n. 1 op. 12 è inizialmente composta nel 1911, quando un quasi trentenne Mjaskovskij ha appena concluso i suoi studi a San Pietroburgo e mentre l’amico Sergej inizia a scrivere il primo dei sue cinque concerti per pianoforte. Mjaskovskij la revisionerà profondamente una prima volta tra il 1929 e il 1931 e poi nuovamente nel 1945, all’età di 63 anni. Solo tre anni più tardi prenderà vita la seconda Sonata. È quindi inevitabile notare la vicinanza di questi due lavori: le tempistiche di scrittura e revisione ci inducono a considerare che le due composizioni fossero fortemente imparentate fra loto: un unico frutto di un più ampio pensiero. L’op. 12, seppur un lavoro al quale Mjaskovskij è chiaramente legato, resta tra le sue opere meno eseguite e incise.

Considerata la prima opera di stampo modernista di Mjaskovskij, la Sonata si compone di due movimenti e presenta molti richiami a un giovanissimo Rachmaninoff e alla sua Sonata, composta dieci anni prima. Il materiale melodico è espresso ed esteso, ripreso, in entrambi i movimenti; una Sonata che scorre all’ascolto, non perché breve – meno di venti minuti – ma perché estremamente equilibrata.

 

(Invito all’ascolto: Bruno Philippe, cello · Jérôme Ducros, piano Cello Sonata No. 1 in D Major, Op. 12: I, Adagio – Andante)

L’opera si apre con un recitativo in cui il pianoforte lascia libero spazio al violoncello che quasi declama questa introduzione all’Andante. Un breve adagio iniziale che possiede un’atmosfera diversa dal resto del movimento ed è un elemento che si ritrova sia nella Sonata di Rachmaninoff che la precede, sia in quella di Prokov’ev. Caratteri diversi, eppure familiari: il primo tema che apre l’Andante, in re maggiore, sfoggia una bellezza rara nel repertorio per violoncello e pianoforte. Aperto, solare, sembra davvero un invito a mettersi comodi, a fidarsi di ciò che seguirà.

Una pace che deve convivere però con frequenti cambi di tonalità e atmosfera, repentini e rapidissimi, molto lontani tra loro (nel giro di un paio di minuti si passa da do minore a mi bemolle minore, sonorità che appartengono a un’altra sfera rispetto al re maggiore d’impianto) eppure non risultano mai estranee all’ascoltatore.

Contrariamente a quanto ci si possa aspettare dalla musica di questo periodo, il tormento e la mobilità tonale non rendono l’ascolto più faticoso; l’elaborazione di tutti questi elementi è di chiara comprensione, i temi e i contrasti sono facilmente riconoscibili. I momenti di affanno, urgenza, sono sempre seguiti da una carezza, un momento di densa espressività che trova un’ottima proiezione nel timbro del violoncello.

 

(Invito all’ascolto: Invito all’ascolto: Bruno Philippe, cello · Jérôme Ducros, piano Cello Sonata No. 1 in D Major, Op. 12: II. Allegro appassionato)

 

L’attacca all’Allegro appassionato del secondo movimento propone un tema molto più fluido e agitato – la parte pianistica, nella quale convivono motivi melodici e ritmici molto diversi, ricorda decisamente l’accompagnamento del primo movimento dell’op. 19 di Rachmaninoff – e di conseguenza un secondo tema più espansivo, più dichiarato.

La scrittura di Mjaskovskij è dettagliatissima: violoncello e pianoforte si muovono in poche battute da poco moderato a pochissimo più animando e poi all’Allegro che rappresenta quello che sembra essere l’apice dell’intera Sonata. Questo climax della dinamica, del tempo, dell’affollarsi del materiale compositivo sfocia in un inaspettato momento di declamazione, di appassionata rivalsa che dura pochissime righe e che si getta ancora una volta nella ripresa del primo tema.

La dimensione del duo è qui estesa a un altro livello, soprattutto verso la conclusione del brano, quando torna l’ormai dimenticato recitativo. Presentato a inizio Sonata come qualcosa di estemporaneo, è la firma di quest’opera, un tocco di genio che lascia attoniti: ciò che all’inizio pareva un semplice invito all’ascolto, la cura di un gesto apprezzato ma passabile diventa il ricordo più emozionante di tutto un incontro, il dettaglio che più rimane impresso.

La Sonata n. 2 op. 81

Inizialmente concepita per viola, o viola d’amore, la Sonata op. 81 è più conosciuta dell’op. 12 grazie al dedicatario dell’opera, un giovane Rostropovich che aveva portato già al centro dell’attenzione del grande pubblico internazionale il suo Concerto op. 66. Sviatoslav Knushevitsky, protagonista insieme a Lev Oborin di un’incisione della Sonata op. 12 ed entrambi membri insieme a David Oistrakh di un grandioso Trio, si confrontò con Mjaskovskij sul perché a entrambe le Sonate mancasse un movimento dichiaratamente più veloce.

A quanto pare Mjaskovskij aveva pensato di aggiungere un tempo di Minuetto dopo il secondo movimento che però non fu mai scritto. Un peccato, se si ascoltano i Quartetti composti negli stessi anni, come l’op. 86 n. 13 che tra l’altro si apre ancora una volta con un solo del violoncello.

(Invito all’ascolto: State Borodin Quartet, String Quartet No 13 in A minor, Op 862014, San Pietroburgo, live)

Il ruolo di Rostropovich in questa Sonata non si limita solo alla sua prima esecuzione con Alexander Dedyukhin il 5 marzo 1949; Mjaskovskij chiede di incontrarlo personalmente durante la fase di composizione, qualche mese prima, per lavorarvi insieme e apportare qualche modifica. Questa Sonata gli varrà uno dei cinque Premi Stalin, nella categoria musica da camera.

Rispetto alla prima Sonata, l’op. 81 è pregna di un lirismo popolare, quasi folk. Il primo movimento è caratterizzato da un primo tema con tratti diatonici che sfrutta movimenti modali e un secondo tema, ancora una volta armonicamente instabile, che mantiene, ciononostante, un senso di relazione al primo tema. La cantabilità del violoncello è ancora una volta esaltata dalla parte pianistica, perfettamente centrata a livello timbrico e comunque densa, ricca di melodie interne e cromatismi. Il senso di pienezza e completezza rende ancora una volta l’ascolto coinvolgente, ma mai pesante.

Lo sviluppo aggiunge all’instabilità armonica quella ritmica, con configurazioni ritmiche del violoncello che convivono con quelle del pianoforte e scorrono insieme senza darsi fastidio, senza contrastarsi. Il primo movimento si conclude con un soffio, una pennellata timbrica che ricorda l’impressionismo francese, per preparare il secondo movimento, una delle pagine più commoventi mai scritte da Mjaskovskij.

 

(Invito all’ascolto: Mstislav Rostropovich, cello Alexander Dedyukhin, piano Cello Sonata No. 2 in A Minor, Op. 81: I. Allegro moderato un duo incredibile e un livello d’interpretazione assai difficile da replicare)

L’Andante cantabile è un breve momento idilliaco in cui convivono temi di una dolcezza disarmante, ma anche drammaticità e un senso di ritorno, di ricongiungimento. Il Cantabile è certamente l’aspetto fondante di tutto il movimento: la linea sempre presente del violoncello (anche quando non si tratta della voce principale) e l’accompagnamento del pianoforte ricorda oltremodo l’elemento del canto; Mjaskovskij distende su appena sei minuti di musica un Lied strumentale assolutamente autonomo, non semplicemente un inciso tra due movimenti principali, ma una pagina che parla da sola.

Interessante l’eco di un’altra pagina commovente quale l’Andante molto tranquillo della Sonata di Grieg, con la quale condivide la tonalità, diversi movimenti del pianoforte e un finale simile, con gli arpeggi pizzicati del violoncello e un pianoforte la cui sonorità è rarefatta sempre di più fino a quasi dissolversi. Ancora una volta, Rostropovich e Dedyukhin, come forse pochi altri, colgono l’evolversi continuo del brano, talvolta impetuoso, poi intimo e rasserenante, doloroso, in un’esecuzione commovente.

L’Allegro con spirito presenta, ancora una volta, diversi richiami popolari: da un fitto dialogo tra i due strumenti, a motivi molto brevi che fanno la loro comparsa, si confondono, si rincorrono, ad ancora un senso generale di circolarità, di caduta e risalita di melodie del violoncello contornate da cascate di note, accordi e colori armonici sempre molto distinti del pianoforte.

È un terzo movimento che proprio perché così diverso nell’atmosfera, nel materiale tematico e nell’equilibrio del duo si colloca perfettamente a conclusione di questa Sonata. Impossibile non distinguere i due elementi fondamentali: il primo che apre il movimento strutturato e quasi sfuggevole e il secondo invece più cantabile, denso di quella liricità russa appassionata e libera. La giusta conclusione, senza fretta ma coinvolgente, di una Sonata splendidamente concepita e realizzata.

(Invito all’ascolto: Mstislav Rostropovich, cello Alexander Dedyukhin, piano Cello Sonata No. 2 in A Minor, Op. 81: III. Allegro con spirito ancora Rostropovich e Dedyukhin che bruciano quest’ultimo movimento in appena cinque minuti con grande carattere, quasi insolenti e proprio per questo così potenti)

Le Sonate di Mjaskovskij sono due pilastri del repertorio per violoncello e pianoforte della prima metà del Novecento, ed esempi di un processo di produzione molto prolifico che attraverserà tutto il secolo e che influenzerà la musica contemporanea. Rostropovich resta quindi non solo per i più noti Shostakovich e Prokov’ev, una fonte di ispirazione fondamentale per molte pagine violoncellistiche.

Il Novecento, senza la musica russa e senza il contributo di questa stella del firmamento violoncellistico – dedicatario di tantissime opere, tra concerti, brani per violoncello solo e sonate – non avrebbe lasciato un bagaglio di composizioni così variegato e così interessante, seppur almeno in Europa parecchio trascurato. Occorrerebbe recuperare con entusiasmo e proporre più spesso queste pagine, inserendole tra i grandi classici del repertorio violoncellistico, senza timore di muoversi nell’ambito della cosiddetta musica “ricercata”.

Se grandissimi interpreti hanno contribuito in maniera così determinante alla realizzazione e poi all’esposizione di queste opere, perché non riconosce loro la stessa attenzione riservata al grande repertorio?

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