In memoriam Julian Bream

Istantanea di un pioniere della chitarra

Autore: Marco Surace

16 Agosto 2020

Il 14 agosto le principali testate giornalistiche britanniche e internazionali hanno riportato la notizia della scomparsa di una delle figure più emblematiche nel panorama musicale dal secondo Novecento ad oggi: il chitarrista e liutista inglese Julian Bream (1933-2020).
Brillante concertista, didatta, dedicatario di numerose composizioni, venti volte candidato e quattro volte vincitore dei Grammy Awards per le sue incisioni discografiche: la sua dipartita costituisce a tutti gli effetti un’altra grande perdita per il mondo musicale del presente, che negli ultimi mesi si è visto privare di altre importanti personalità quali Krzysztof Penderecki, Ennio Morricone ed Ezio Bosso.

Essendo io chitarrista di formazione ed essendo cresciuto ascoltando le sue incisioni o divorando avidamente i video delle sue Masterclass, mi sento quasi in dovere di omaggiarlo con queste poche righe e avverto la necessità di raccontare le “gesta” e i momenti salienti della sua attività musicale, quelli che lo hanno consacrato al grande pubblico ma anche quelli che più mi hanno influenzato nel corso dei miei studi. Con ciò mi propongo di far conoscere Julian Bream a chi ancora non abbia avuto familiarità con la sua musica e la sua poetica, o più semplicemente con il mondo della chitarra classica.

Mentre scrivo, però, mi rendo conto che parlare in breve di cosa Bream ci abbia lasciato non è cosa facile, visti i fiumi di parole che si potrebbero spendere e la miriade di testimonianze che si potrebbero condividere. Per questo motivo porrò sotto la lente di ingrandimento quelli che considero gli aspetti principali della sua sfaccettata e florida attività musicale.

 

“Ho dedicato la mia vita alla musica per un motivo, e il motivo non era perché volevo andare avanti o fare soldi, ma per cercare di realizzare me stesso e anche per dare piacere alla gente. Questo è stato il mio credo”.

Il concertismo

Nato e cresciuto in un ambiente fervido dal punto di vista musicale –  il padre, abile chitarrista jazz, instilla in lui la passione per la musica e gli regala la prima chitarra – Bream si è rivelato un prodigio già durante la gioventù (sebbene non si considerasse tale), debuttando in concerto all’età di 13 anni. Dalla metà degli anni Cinquanta compie dei tour in Europa e in giro per il mondo svolgendo un’intensa attività concertistica fino al 1984, quando rimane gravemente ferito in un incidente automobilistico vicino alla sua casa nel Dorset, in Inghilterra. Dopo una riabilitazione lunga e faticosa Bream ha ripreso a suonare in pubblico (dovendo tuttavia cambiare l’impostazione di entrambe le mani a causa dell’incidente) e, dopo essersi ritirato dalle scene, ha continuato a dilettarsi con la chitarra fino al 2011, l’anno in cui si è procurato un infortunio – questa volta, ahimè, invalidante – alla mano sinistra. Nonostante fosse  impossibilitato a suonare, a detta sua, gli ultimi anni della sua vita sono stati i più interessanti e felici perchè ha fatto solo quello che voleva e si sentiva di fare: “Ho tagliato via quelle che chiamo le cose in eccesso della mia vita. Sono abbastanza riflessivo – ascolto musica, leggo, cammino con il mio cane Django” (chiamato così in onore del grande chitarrista gipsy Django Reinhardt, grande fonte di ispirazione per Bream sin da giovane).

Il repertorio

A mio avviso, uno dei punti di forza del chitarrista inglese è stata la sua versatilità. Nei suoi recital, infatti, Bream ha sempre incluso musiche di diverse provenienze e tradizioni: trascrizioni di brani del periodo elisabettiano (in particolare Dowland e Byrd), arrangiamenti di suite e partite di J.S. Bach, musica “colta” e popolare spagnola (Tàrrega, Malats, Falla, Albèniz e Granados) ma soprattutto musica contemporanea.
Come Andrès Segovia, anche Bream ha infatti contribuito in maniera notevole alla costituzione e al rimpolpamento del repertorio chitarristico nel corso del Novecento. Molti compositori hanno lavorato a stretto contatto con lui, dedicandogli numerose composizioni per chitarra sola e per varie formazioni. Si parla di importanti figure, per citarne alcune, quali Malcolm Arnold, Benjamin Britten, Leo Brouwer, Hans Werner Henze, Toru Takemitsu e William Walton (ai quali si sarebbe potuto aggiungere anche Igor Stravinskij, che Bream tentò invano di convincere affinché scrivesse per lui una composizione per il liuto).
Tra i tanti capolavori che questi compositori ci hanno lasciato è d’obbligo segnalare il Nocturnal op. 70 (1963) di Britten, uno dei capisaldi della letteratura chitarristica contemporanea. Scritto pensando specificamente a Bream e alle sue qualità tecniche ed espressive, il Nocturnal è un ciclo di variazioni su Come, Heavy Sleep di John Dowland e si presenta in una forma singolare: contrariamente a ciò che normalmente avviene, il tema originale appare alla fine del pezzo e non all’inizio.

 

Lo stile

Julian Bream è stato sicuramente uno di quegli interpreti a cui va riconosciuta di diritto la qualifica di “virtuoso”: ciò non è solo dovuto alla versatilità che lo ha contraddistinto ma anche alla sua abilità nel padroneggiare brani di notevole difficoltà senza mai comprometterne l’espressività. Nelle sue performance, ciò che emerge sin dal primo istante e che cattura l’attenzione dell’ascoltatore (compresa quella del sottoscritto) è la sua costante cura dei dettagli e, in particolare, dell’aspetto timbrico. Si può godere di questo suo continuo gioco di timbri contrastanti nella sua esecuzione di All in Twilight (1988) di Toru Takemitsu, un brano di chiara influenza debussiana e ispirato all’omonimo dipinto di Paul Klee.

 

La didattica

Nel corso della sua carriera, Bream si è fatto conoscere e si è imposto più in ambito concertistico e discografico che non come docente. Sappiamo che all’età di 18 anni iniziò a insegnare tecnica e teoria della chitarra ad Hector Quine (che sarebbe poi diventato professore di chitarra alla Royal Academy, nonché liutaio part-time), ma la testimonianza più importante che abbiamo del suo impegno didattico è una serie di quattro Masterclass (Julian Bream Masterclass), trasmesse dalla BBC nel gennaio del 1978. Tra le più interessanti è forse la puntata in cui Bream tiene una lezione su una fuga di Bach, ma consiglio caldamente la visione di tutti e quattro gli episodi.

 

La discografia

Valide testimonianze della versatilità di Bream sono anche e soprattutto l’ottantina di incisioni discografiche che l’interprete inglese ci ha lasciato, tra LP e CD. Lo si può ascoltare alle prese con musiche per chitarra sola di ogni epoca e stile, per duo di chitarre (per esempio i tre dischi con John Williams), per chitarra e orchestra (dal celeberrimo Concierto de Aranjuez di Joaquin Rodrigo ai concerti di Vivaldi, Villa-Lobos e Berkeley), ma anche per liuto (varie sono le incisioni delle musiche di Dowland e degna di nota è la splendida collaborazione con Peter Pears sulla musica elisabettiana per liuto e voce). Insomma, credo che questa sia l’occasione giusta per avvicinarsi all’arte interpretativa di Bream e, nel farlo, si ha di certo l’imbarazzo della scelta in quanto a discografia.

Con questa breve panoramica porgo il mio affettuoso saluto ad un chitarrista che tanto mi ha influenzato e formato, ma spero anche di aver dotato voi lettori di tutti gli strumenti necessari per comprendere e apprezzare al meglio Julian Bream, un interprete che da tempo è entrato a pieno diritto nella storia della chitarra e che verrà sempre considerato tra i più influenti della storia della musica.

 

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

Written by Marco Surace

Laureato in chitarra classica al Conservatorio "Santa Cecilia" di Roma e in Musicologia all'Università "La Sapienza". Nella mia quotidianità cerco di far convivere la mia ossessione per Maurice Ravel con l'entusiasmo della scoperta di nuove sonorità. Innamorato perso del violoncello, della musica minimalista e della pasta al sugo. Ho una battuta o un meme per ogni occasione.

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