Tasselli del pianismo sovietico

Autore: Redazione

7 Giugno 2020

Nel suo fortunato libro Pianisti e fortisti (1999), Piero Rattalino descriveva il pianista sovietico Vladimir Sofronitskij come “il leggendario”. Questa definizione non era suggerita tanto dalla grandezza dell’artista, quanto dal fatto che la sua figura fu per certi versi “circondata da un alone di mistero” sia prima che dopo la morte.
Quando si sceglie di raccontare i tratti essenziali della vita di un artista così particolare, si deve essere disposti ad imbattersi in molteplici misteri, primi fra tutti sicuramente quelli che si ritrovano nelle fonti, che sono per la maggior parte – se non tutte – in lingua russa.
Nelle righe che seguono, cercheremo di svelare qualcuno di questi aloni di mistero che ancor oggi avvolgono la figura di questo straordinario pianista, attraverso la lettura e traduzione di memorie dell’artista stesso, così come dei ricordi scritti da amici e allievi con i quali l’artista condivise periodi  della sua vita.
Insomma, proveremo a trasformare Vladimir Sofronitskij da “il leggendario” a “il leggendario svelato”.

Nato nel 1901 a Pietrogrado da un famiglia di intellettuali (il padre era un professore di fisica, mentre la madre era nipote del celebre pittore Vladimir Borovikovskij), ben presto si trasferisce per qualche tempo a Varsavia.
Come racconta lo stesso Sofronitskij in un saggio dedicato a Chopin, proprio in questa città inizia i suoi studi musicali:

La mia prima insegnante, Anna Vasil’evna Ghezevich, era allieva di N. Rubistein. Dopo aver studiato con lei un anno e mezzo, per la prima volta mi esibii in un concerto pubblico nella Sala Grande del palazzo municipale a Varsavia. Avrò avuto poco più di otto anni. 
Alla fine del concerto improvvisai sui temi proposti dal pubblico.
Dopo aver studiato con A. Ghezevich, continuai gli studi per due anni con Alexander Konstantinovich Mikhailovskij, uno dei più grandi musicisti polacchi ed in passato allievo di Moscheles. 
Mikhailovskij era un insegnante straordinario. Tra i suoi allievi c’era anche Wanda Landowska.
[…]
Quando la nostra famiglia si trasferì a Pietroburgo, entrai in conservatorio nella classe di L. Nikolaev. Uno dei primi pezzi assegnatomi fu lo Scherzo in si bemolle minore di Chopin. Leonid Vladimirovich, grande musicista, a quel tempo non lavorava tanto sulla finitura pianistica, quanto sull’ampliare l’orizzonte dell’allievo innalzando il livello di cultura generale.
Suonavamo molto a quattro mani. Di seguito allo “Scherzo”, affrontai gli studi di Chopin. 

V. Sofronitskij 

Straordinario pianista, Sofronitskij ha lasciato un profondo segno nell’interpretazione di autori come Chopin, Schubert, Liszt, Beethoven ma soprattutto di Skrjabin, di cui divenne genero.

Sofronitskij con la moglie

 

Sofronitskij con la moglie

V. M. Bogdanov-Berezovskij, suo amico e compagno di studi nel conservatorio, in un saggio biografico su Sofronitskij racconta dell’amore profondo che il pianista provava per la musica di Skrjabin:

Skrjabin fu il primo amore in musica di Sofronitskij, e nonostante i successivi interessi e attaccamenti artistici, questo amore non si spense mai, né si indebolì.
Con gli anni, soprattutto durante i suoi ultimi concerti, Sofronitskij suonava Skrjabin sempre meno e sempre più raramente. Nondimeno continuava ad amarlo, sempre ardentemente come in passato, come qualcosa di profondamente radicato nella sua natura artistica, come qualcosa di intimo, di proprio. 
All’epoca credevo che il matrimonio tra Sofronitskij e la figlia maggiore di Skrjabin, Elena Alexandrovna, coincidente con il diploma del conservatorio, fosse in qualche modo una venerazione dell’amato genio. […] Commovente era anche il riguardo che Alexander Konstantinovich Glazunov, il loro testimone di nozze, aveva nei confronti della coppia, ospitando i giovani nel suo grande appartamento i primi mesi del matrimonio. Glazunov onorava profondamente la memoria di Skrjabin col quale era legato da un’amicizia artistica e dalla premurosa tutela delle sue figlie.
Nei confronti di Sofronitskij, l’allievo preferito di Leonid Vladimirovich Nikolaev, aveva una benevola amicizia, dando valore al suo talento unico, vantandosi di lui come uno dei migliori allievi del conservatorio. 
Nell’anno del diploma, sul foglio degli esami, Glazunov scriveva: “Virtuoso artista con un grande talento. Eccellente padronanza dello strumento, distinta tecnica. Esecuzione con slancio e ispirazione. Bellezza e potenza del suono: 5+

V. M. Bogdanov-Berezovskij

Fu pianista dal carattere riservato e scostante, e non a torto Rattalino evidenzia le poche occasioni nelle quali l’artista condivise la scena con un’orchestra: “troppo nervoso e lunatico per fare musica insieme agli altri”, e perciò “un pianista molto amato da un suo piccolo pubblico”. Ma, come ci rivela V. M. Bogdanov-Berezovskij, forse sarebbe più corretto dire che fu soprattutto Sofronitskij ad amare il piccolo pubblico.

Non una volta notai che [Sofronitskij] amava esibirsi in sale relativamente piccole, dove tra lui e il pubblico non vi si percepiva una separazione. […] A quanto pare, per una libera interpretazione artistica aveva bisogno di sentire l’immediata vicinanza dell’ambiente attorno che gli serviva come riconoscente guida per una “chiacchierata con le muse”. Chiaramente suonava in modo magnifico anche con un pubblico numeroso, ma amava meno questo tipo di concerti; ci andava con riluttanza, spesso li rimandava, oppure quella volta doveva fare forza su stesso e disperdersi nella ricerca di un intimo contatto con il pubblico prima di dominarlo con la propria arte.
[…]
Per lo stesso motivo e per il fatto di non aver mai né amato né saputo condividere le proprie idee musicali come il suo sentire artistico e il sentire dell’altro, Sofronitskij si esibiva con l’orchestra di rado. Questo tipo di concerti li tenne solo all’alba della sua carriera artistica.  Ricordo qualche sua esecuzione del concerto di Skrjabin sotto la direzione di Emil Cooper, il solo pianistico nel “Prometeo” di Skrjabin, così come il primo concerto per pianoforte di Glazunov sotto la direzione dello stesso autore. Come era abitudine di Sofronitskij, suonava con maestria ed estro, ma, a quanto pare, gli riusciva solo a prezzo di un considerevole nervosismo e di una qual certa violenza sulla propria natura artistica.
Di tutt’altra ispirazione (e qui non mi è assolutamente possibile trovare confronti) erano le esecuzioni di Sofronitskij quando suonava nella sola compagnia di se stesso a casa, durante le prove oppure in un ristretto circolo di amici se non di famiglia. Non di rado mi è successo di assistere a ciò. […] La magia dei suoni costringeva al ricordo del commento di Ciaikovskij su Mozart: “Quando ascolto la sua musica, mi sembra di compiere una buona azione”.

V. M. Bogdanov-Berezovskij

Sofronitskij visse una vita dedita all’arte in una profonda ricerca intima, lontano dai troppo rumorosi successi. Fu forse questa sua particolare sensibilità, o forse altro, che gli permise di essere uno tra i pochi pianisti sovietici ad aver avuto la possibilità di suonare all’estero, selezionato insieme a Emil Gilels a far parte della delegazione sovietica per il famoso concerto per i “Tre Grandi” alla Conferenza di Potsdam nel 1945.

Sofronitskij

Come mai la scelta ricadde proprio su Sofronitskij, è un arcano. Di quel viaggio, il pianista condividette con gli amici solo le sue forti impressioni e gli aneddoti, come ad esempio quello  di quando lo stesso presidente Truman si dilettò a suonare sul pianoforte della Conferenza.
Chissà, forse non ha tutti i torti Rattalino a supporre che il Nostro godette di una particolare protezione come quella di Vjačeslav Michajlovič Skrjabin, detto Molotov

Nonostante il riserbo e la segretezza lo allontanassero dalle grandi scene, dalle storiche incisioni delle esecuzioni dal vivo di Sofronitskij e dai racconti di Bogdanov-Berezovkij è possibile riconoscere nel pianista un artista di grande spessore e profondità d’animo.
Non è una sorpresa leggere nelle sue memorie un ardente impeto nella descrizione del concerto tenuto nella sua città nativa, nel frattempo rinominata Leningrado, nel pieno dell’assedio nazista:

…In sala c’erano tre gradi. Il pubblico, i difensori della città, erano in pelliccia. Io suonavo con i guanti con le punte tagliate. Ma come mi ascoltavano e come suonavo! E lì capii che mentre i nostri migliori uomini difendono ogni palmo della terra nostra terra, mentre i nostri figli (e tra loro anche il mio) combattono al fronte, noi, artisti dell’URSS, con la nostra arte abbiamo il dovere di sostenere l’animo e la forza del popolo per la disfatta del nemico.  Quando ciò per cui suonare mi fu chiaro, capii come suonare.  Molti dei miei amati brani hanno iniziato a sembrarmi minuti. Serviva una musica dai grandi sentimenti, una musica eroica che potesse richiamare alla lotta. 
E’ possibile che solo in quei giorni compresi per davvero la grandezza dell’ “Appassionata” di Beethoven e quell’eroismo che richiama la terza Sonata di Skrjabin. 
Sin dai primi concerti fui indicibilmente contento nel percepire di aver trovato la strada verso il cuore del pubblico. Un cuore che batteva all’unisono col mio cuore di pianista e patriota, di cittadino sovietico e figlio di Leningrado. 

V. Sofronitskij, 12 dicembre 1941, Leningrado

Proprio durante l’assedio di Leningrado, Sofronitskij fu costretto a lasciare la propria amata città e trasferirsi a Mosca. Qui iniziò a insegnare presso il conservatorio.

Ritratto

La pianista e docente del conservatorio di Mosca, Olga Mihajlovna Zhukova, in quegli anni fu sua allieva e successivamente sua assistente, ed è proprio lei a dipingere il ritratto di Sofronitskij didatta:

Per ben otto anni (dalla fine del 1942 al 1950) ebbi la fortuna di studiare nella classe del Professor Vladimir Vladimirovich Sofronitskij, accanto a questo straordinario musicista ed artista.
Nell’estate del 1942 Sofronitskij, insieme ad altri esponenti della cultura sovietica, fu evacuato dall’assediata Leningrado. Da quell’estate in poi si trasferì a Mosca, e nel dicembre del 1942 iniziò ad insegnare nel conservatorio di Mosca.
Noi fummo i suoi primi studenti, poiché fino ad allora vivendo a Leningrado, Vladimir Vladimirovich insegnava solo agli aspiranti. Secondo i racconti dell’epoca, non amava molto insegnare, forse per paura che l’insegnamento potesse distrarlo dalla carriera concertistica.
[…]
Tuttavia, sin dalle prime lezioni fu palese che per Vladimir Vladimirovich, l’insegnamento si rivelò essere una splendida novità. Si appassionava alle lezioni e mostrava attenzione per la vita e gli interessi dei propri allievi. Negli anni a seguire, per via dei cambiamenti nella sua vita e soprattutto per il peggioramento dello stato di salute, il suo interesse per le lezioni non fu costante: ora fiacco, ora di nuovo energico.  
L’individualità artistica e originale di Sofronistskij si rispecchiava ovviamente nella sua didattica.
[…]
Tutto ciò che eseguiva era significativo. Non vi era una voce conducente ed una trainante: tutto “parlava” con estrema  espressione, chiarezza e sincero ardore.
La più importante richiesta che Vladimir Vladimirovich esigeva durante le lezioni era: “Suonate quanto più intensamente (“espressivo”)”. “Noi siate mai indifferenti. E’ ciò che è di più terrificante per un esecutore”. Durante le lezioni era possibile più di una volta  sentire queste frasi.
[…]
Se un brano portato a lezione non era soltanto solidamente studiato, ma anche ben ragionato, allora Vladimir Vladimirovich con grande ispirazione, profondità e intensità  metteva a punto i dettagli di un’idea di esecuzione. Non di rado Sofronitskij permetteva di suonare con lo spartito quando il pezzo non era ben studiato. Tuttavia, spesso dopo un’esecuzione di questo tipo diceva in modo gentile e delicato: “Bene, adesso andate a studiare. Quando tornerete lavorerò con voi
[….]

O. Zhukova 

Entrando più nello specifico, interessante è il metodo di lavoro e studio che Sofronitskij trasmetteva ai suoi allievi. Sempre la sua allieva Zhukova prosegue nel suo ritratto:

“Direi che l’attenzione maggiore era rivolta verso il lavoro sul suono. Quando alla fine di un concerto un allievo chiedeva a Vladimir Vladimirovich come fosse stata l’esecuzione, Sofronitskij rispondeva sempre: “Non comprendo a pieno questa domanda. Posso dirvi come ha risuonato”.
Il raggiungimento della pienezza, della diversità di colore e della bellezza del suono sono i più importanti obiettivi della didattica di Sofronitskij. Ripeteva in continuazione che bisognava suonare considerando di essere in una grande sala. Qualsivoglia pp o ppp ci fossero nello spartito, il suono doveva essere <<aperto>>. Questo temine, molto amato da Vladimir Vladimirovich, era appreso dal suo maestro L. V. Nikolaev, il quale a suo tempo, usava questo termine in prestito dalla didattica del canto. “Occorre suonare così che le dita percepiscano il “fondo” del tasto, affinché ogni dito possa sentire una particolare soddisfazione fisica” ripeteva Vladimir Vladimirovich a lezione “Suonate pienamente, con un suono aperto e non <<piru-piru>>”

O. Zhukova

Queste decise scelte stilistiche sul suono non passano sicuramente inosservate. Lo stesso Rattalino ne resta colpito:

Ci sono, del Notturno op.9 n.2, interpretazioni diverse.
[…]
Ma non ce n’è una che sia più urtante come quella di Sofronitzky; urtante per ragioni stilistiche, perché non è tanto l’”espressione” che suona stravagante, quanto le proporzioni dei vari piani di sonorità. C’è un che di esagerato e di impudico in questo modo di esporre una melodia, c’è una ostentazione, beninteso. E, alla fine, la piccola cadenza nel registro acuto estremo del pianoforte ha una sonorità che è come lo scroscio leggero di un orecchino, un che di pauroso e terribile perché segna il momento in cui, finita la danza, la schiava ha compiuto la seduzione e con un gesto del capo detta la sua legge. Questo Chopin-Salomè non ha mai finito di sbalordirmi.

P. Rattalino

Negli ultimi anni, la sua salute fisica e mentale peggiorò. A seguito del fallimento di due matrimoni,  come racconta il suo amico Bogdanov-Berezovskij, qualcosa nel profondo lo opprimeva, complice forse la sua delicata natura artistica, e lo spingeva verso la droga e l’alcol, che col tempo lo portarono alla morte, avvenuta nel 1961 a Mosca.
Quale fu il vero motivo di tale sofferenza profonda, non ci è dato sapere. Il suo particolare carattere non gli permetteva di aprirsi più del dovuto…

https://www.youtube.com/watch?v=WQuweOurF8A

Le preziose testimonianze che abbiamo sopra riportato ci hanno aiutato a sollevare qualche velo di mistero sulla figura di questo grande artista. E tuttavia, i contorni del viaggio a Potsdam, così come il suo malessere interiore e la forte tendenza all’autoisolamento, rimangono ancora per lo più degli enigmi.

Linda Iobbi

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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