Testimoni del presente

dialogo con Fabio Massimo Capogrosso

Autore: Michele Sarti

6 Maggio 2020

Le voci dei compositori dentro e oltre la pandemia

Abbiamo stimolato diversi compositori a rispondere a tre questioni legate al presente, per indagare le caratteristiche, le contraddizioni e le peculiarità del fare (e pensare) musica in un momento di così radicale crisi globale. Hanno risposto alle nostre sollecitazioni molti compositori italiani: Giorgio Battistelli, Luca Lombardi, Giorgio Colombo Taccani, Vittorio Montalti, Francesco Filidei e Fabio Vacchi. Il dialogo di oggi vede protagonista Fabio Massimo Capogrosso (con il quale abbiamo avuto già avuto il piacere di confrontarci) giovane compositore umbro che ha scelto la terra dei Castelli Romani come sua base di appoggio, dove ha concepito lavori eseguiti presso importantissime istituzioni italiane.

L’intimo rapporto con se stessi: il compositore vive, per la natura stessa del proprio mestiere, una condizione di solitudine; tuttavia, a fronte della forzata reclusione, come cambia la percezione di questa solitudine, se cambia, e quali sono le riflessioni che emergono?

L’isolamento di cui faccio esperienza quotidiana non riguarda soltanto l’aspetto “spirituale”, ma anche quello logistico: purtroppo per le limitazioni della quarantena non posso accedere al mio studio, situato a Marino. C’è una grande differenza tra lavorare in un ambiente nel quale sono totalmente a mio agio, dove vige un assoluto silenzio, e l’ambiente domestico che condivido con mia moglie e mio figlio, dove peraltro non ho nemmeno il pianoforte. Devo confessare che nel primo mese di quarantena ho avuto un totale blocco creativo e non ho scritto nemmeno una nota. Ma non solo per via di questo repentino cambio di abitudini: prima che scoppiasse la pandemia infatti, a causa del triste e sciagurato gioco delle graduatorie, mi è stata revocato l’incarico al Conservatorio di Matera. L’improvvisa interruzione, nel bel mezzo dell’anno accademico, di un percorso d’insegnamento già consolidato, mi ha provocato non poco dolore, e catapultato in una situazione di assoluta incertezza. E’ stato terribile: mi ero legato moltissimo alla città di Matera e ai miei studenti – ai quali spero comunque di aver insegnato che la musica è un percorso che richiede assoluta dedizione e devozione; così come mi ero legato ad alcuni colleghi, con i quali ho stretto un bel rapporto di amicizia che naturalmente prosegue.

Come se non bastasse, sono saltate tutte le prime dei lavori in programma con La Toscanini, di cui sono compositore in residenza. Lavori che avrebbero coperto l’arco di una stagione, e per i quali ho fatto sacrifici enormi: ore e ore chiuso in studio ma in isolamento anche fuori, persino in famiglia, perché i pensieri sulla musica ti rapiscono e non concedono alcuna tregua. Nonostante sia stato rassicurato sulla volontà di recuperare la programmazione, ho accusato il colpo. Poi, fortunatamente, durante la quarantena è arrivata l’opportunità di scrivere un nuovo lavoro e la voglia di far musica mi ha riacceso. Mi sono organizzato per lavorare nelle migliori condizioni possibili anche qui a casa e ho ripreso a comporre, a vivere, a respirare, a essere libero di esprimermi…perché per me la scrittura musicale è vita.

Credo, in conclusione, che le conseguenze psicologiche provocate dall’isolamento forzato ne inneschino altre strettamente personali influenzando profondamente il modo di vivere. E’ vero che un compositore opera per la maggior parte in solitudine, ma altrettanto credo sia importante il suo rapportarsi con la società. Far musica è vitale, e, come nella vita, abbiamo bisogno di sfumature, di dinamismo per controbilanciare, forse, l’isolamento stesso. Per me, perlomeno, è fondamentale il contatto umano, confrontarmi con altre persone, o semplicemente prendere una boccata d’aria passeggiando dopo un’intensa giornata di lavoro.

Cosa ci puoi raccontare del tuo rapporto con gli studenti?

Per prima cosa devo dire di aver incontrato un gran numero di studenti con talento davvero spiccato e ho cercato di far comprendere loro che il percorso di studi non può essere vissuto solo come accumulo forsennato di crediti. Ho investito molte energie nel costruire un rapporto d’intesa con i miei allievi, e loro mi hanno sempre ripagato con un grande senso di gratitudine e di impegno. Il ricordo più bello che oggi porto con me è proprio la consapevolezza che la mia passione li abbia motivati e spronati a mettersi in gioco. Con molti di questi ragazzi siamo rimasti tutt’ora in contatto: mi scrivono quasi quotidianamente, mi mandano i propri lavori, mi chiedono dei suggerimenti. Questa è per me è motivo di grande soddisfazione.

Al Conservatorio insegnavo sia Armonia che Fondamenti di Composizione per strumentisti o cantanti. In quest’ultimo corso in particolare, basandomi sulle mie esperienze personali, ho deciso di lasciarli completamente liberi di scrivere: perché non bastano certo 30 ore di corso per raggiungere una profonda consapevolezza nella scrittura, per cui la cosa migliore che potessero fare era sperimentare, ricercare. Ho cercato di far comprendere che seppure oggi chiunque può sedersi al pianoforte, farsi un video da pubblicare su YouTube, mentre magari suona una serie di arpeggi su uno o due accordi, e affermare di essere un compositore, in realtà, il percorso della composizione è un qualcosa che richiede anni e anni di studio, anni in cui mettersi alla prova e acquisire strumenti tecnici, ma anche un’adeguata apertura mentale. Ho ribadito fin da subito che è fondamentale non accontentarsi mai. Ci vuole ricerca, esplorazione, ponderazione. E’ un mestiere in cui si usa più la gomma che la matita. Comunque, in sole trenta ore siamo riusciti a tracciare una direzione, mettendo in gioco il proprio istinto creativo con una certa struttura.

Fabio Massimo Capogrosso – ©Flavio Ianniello

D’altronde finché quello del compositore non verrà riconosciuto come un mestiere, continueremo a uccidere l’arte…

Questo purtroppo è un risultato di anni di scarsi investimenti nella cultura e nell’educazione. Gran parte delle persone comuni crede che il musicista sia un individuo che si diverte nel fare quello che sta facendo ma che non lavora nel senso produttivo del termine, ossia non rende qualcosa di “utile” per la società.  Senz’altro il musicista è dominato dalla passione, ma anche dal sacrificio. Per me la scrittura è un processo veramente travagliato. Poi è chiaro che ti restituisce momenti esaltanti, bellissimi, però la stesura di un brano e la sua possibilità di realizzazione, richiedono grandi sacrifici. Purtroppo è un messaggio difficile da far passere in questo Paese. Mi viene in mente una frase di Confucio: “Volete sapere se un popolo è ben governato e ha buoni costumi? Ascoltate la sua musica”. Ecco, credo che il livello dell’offerta musicale della stragrande maggioranza di stazioni radiofoniche o televisive sia un buon indice dei tempi che stiamo vivendo.

Invece di continuare a proporre artisti, o presunti tali, che in realtà non fanno altro che svilire la nostra storia musicale, non si potrebbe attuare un percorso di recupero di certi valori? Viene da pensare che se prima non si trasmettevano concerti in prima fascia, perché dovrebbero volerlo fare ora? In questo senso apprezzo davvero le istituzioni musicali che hanno reso disponibili interi archivi con i loro bellissimi filmati di esecuzioni recenti o del passato. Credo che in questo momento storico sia davvero fondamentale poter riscoprire il ruolo sociale della musica, dell’arte, della Bellezza.

Le strategie per il futuro prossimo: alla luce dello sconvolgimento globale attuale, con la consapevolezza di una possibile e ancor più profonda crisi economica all’orizzonte e i rischi e le paure di ritrovarsi in luoghi affollati, ora più che mai le sovrintendenze dei teatri e delle istituzioni concertistiche, dovranno mettere in campo strategie in grado di reagire alle difficoltà verso cui andremo incontro. Quali scenari si prospettano secondo Lei e come riporteremo le persone nelle sale da concerto?

Ho apprezzato le iniziative di nuovi festival online, le strategie di alcune istituzioni nella divulgazione di materiale multimediale durante la quarantena, e il tentativo di non far calare il sipario sul mondo della musica. Soprattutto sono rimasto molto colpito dalla generosità con cui alcuni musicisti (come Francesco Libetta, Orazio Sciortino, Beatrice Rana e molti altri) si sono espressi in un momento così delicato. Detto ciò però, credo che la musica non possa assolutamente essere vissuta online. Quest’immagine alla “Netflix” del far musica mi pare un’assurdità. Il Teatro è vita, è vibrazione, è condivisione, è un’alchimia che scaturisce dalla convivenza di tanti ingredienti. Già il solo ascoltare accordare un’orchestra emoziona, e quel fermento prima dell’inizio… Online è tutto filtrato, è come se ci fosse un grande muro tra l’ascoltatore e l’esecutore. Alla luce di questo ritengo estremamente necessario riaprire teatri e sale da concerto; beninteso: capisco che in questo momento sia difficile assemblare un’orchestra di ottanta o novanta persone, ma ai negozi, alle attività commerciali è concessa una prossima riapertura! Si è parlato di calcio, di religione, di ristorazione, di parrucchieri. Pensare che una seduta estetica possa essere anteposta all’ascolto di un quartetto di Beethoven, è davvero svilente per tutte le persone che operano nel mondo della cultura. E’ è evidente che sia necessario tener conto delle dovute precauzioni, ma mi chiedo: dato che ci avviciniamo all’estate, perché non pensare a concerti all’aperto con il giusto distanziamento?

Non possiamo più tollerare il persistere del solito messaggio in cui la musica è l’ultima ruota del carro, nemmeno degna di essere menzionata.

Quest’anno ho avuto l’onore di essere nominato compositore in residenza de La Toscanini. Vorrei rivolgere un pensiero a tutti i professori d’orchestra che stanno soffrendo in questa drammatica situazione, alla direzione, e a tutti coloro i quali ruotano intorno a questa meravigliosa realtà. L’interruzione del percorso che avevamo intrapreso, è stato motivo di grande tristezza perché si era creato con loro e con la città di Parma un rapporto profondo. Ho visto lavorare queste persone, in tutti i loro dipartimenti, a ritmi di più di tredici ore al giorno per garantire un prodotto culturale di altissimo livello. In una fase iniziale del lockdown avevano anche provato a proporre concerti con il distanziamento ma purtroppo come tutti sappiamo il blocco è arrivato, e totale. So però che non hanno mai smesso di lavorare con grande dedizione, e che continuano a manifestare la loro vicinanza al pubblico.

Penso, per esempio, all’iniziativa Tu Come Stai? un modo “per restare accanto al pubblico che da sempre ci sostiene e ci accompagna” attraverso una semplice telefonata a casa; solo persone generose come loro potevano ideare una cosa del genere.

Cosa pensi della situazione della nuova musica nel nostro Paese? Quali strategie dovrebbero adottare i direttori artistici, gli organizzatori musicali e i divulgatori per cercare di far sopravvivere la produzione e l’esecuzione di nuova musica in Italia (a fronte di una già precaria condizione)?

Anche in questo caso credo che alla base del discorso ci sia un fattore culturale; ma non possiamo ignorare che anche nel mondo accademico ci siano realtà, o individui, che si pongono con un atteggiamento ostile verso il nuovo.

A tale proposito devo riaprire una finestra sull’insegnamento: è fondamentale trasmettere ai propri studenti l’interesse per quella musica che apparentemente può sembrar loro fuori portata, o non corrispondente alla propria sensibilità. Ma se ai ragazzi si insegna che il “Minimalismo è spazzatura”, che “Stravinskij è un musicista mediocre e sopravvalutato”, o che “Schoenberg ha rovinato la musica”, cos’altro potremmo aspettarci? Credo che sia fondamentale fornire agli studenti strumenti necessari per comprendere anche i linguaggi più complessi.

Anche in questo caso la scelta de La Toscanini di istituire la figura del compositore in residenza, cercando di costruire un rapporto di continuità tra compositore e pubblico (un legame intenso che ho vissuto direttamente), dimostra una visione sincera, coraggiosa, e a largo spettro del far musica. C’è stato grande apprezzamento per i primi due brani da loro commissionati ed eseguiti, e c’era attesa per i due successivi previsti in cartellone proprio in questi mesi di quarantena (Altri volti e Città nascoste). Lavori peraltro a cui ho dedicato tutte le mie energie. In particolare, tra questi, Città nascoste è un pezzo che doveva vedere sul podio, il 19 marzo, il carissimo amico Sesto Quatrini, musicista che stimo molto e con cui ho condiviso gli studi. Sarebbe stata un’occasione per ritrovarsi, dopo anni passati assieme, con un’orchestra meravigliosa, in una bellissima cornice. Nell’ambiente de La Toscanini ho trovato clima ideale in cui lavorare: hanno mostrato da subito grande fiducia nella mia musica. Per un compositore, specialmente giovane, date tutte le difficoltà che si incontrano nel percorso e il diretto e intimo contatto con ciò che crea, è importantissimo ricevere sostegno e fiducia nelle proprie idee. Non è un caso che per loro abbia scritto lavori di cui sono profondamente felice e che ritengo tra i più riusciti: ho potuto comporre in condizioni di assoluta libertà, entusiasmo e serenità.

Fabio, è una testimonianza veramente preziosa: crediamo sia fondamentale dire queste cose. Bisogna ammettere però che La Toscanini, a partire dal direttore principale, il britannico Alpesh Chauhan, riesce a dare ai propri progetti un respiro internazionale. E’ cruciale infatti uno sguardo internazionale, soprattutto in un’era dominata dal web che permette di raggiungere facilmente anche distanze molto lontane…

Sono assolutamente d’accordo con questa posizione. Con l’avvento di Internet c’è stata una vera rivoluzione nella fruizione dei vari linguaggi musicali. Credo che oggi un compositore possa fare tesoro di questa variegata disponibilità; naturalmente deve poi imparare a sviluppare capacità critiche per discernere e scegliere: una sfida, questa, davvero costruttiva. Anche per questo dovremmo allargare i nostri orizzonti collaborando con altri panorami musicali. A questo proposito sto portando avanti un brano per la TPO (Thailand Philarmonic Orchestra), un esempio di scambio tra i vari Paesi, di condivisione e di collaborazione, che sarebbe necessario estendere ad altre realtà per mettere in discussione una visione forse troppo eurocentrica della musica, al giorno d’oggi obsoleta.

Parlerei a questo punto del tuo rapporto con la multimedialità

Diciamo subito che alcune delle possibilità che ho avuto nella mia carriera, per esempio la collaborazione con Sentieri Selvaggi (a cui sono estremamente legato) sono nate grazie alla multimedialità e al web. Carlo Boccadoro, anche direttore artistico dell’ensemble, ha potuto conoscermi, e in seguito eseguire la mia musica con Sentieri Selvaggi, proprio grazie a una condivisione su Facebook di Un breve racconto notturno. La diffusione online quindi, ha giocato un ruolo importante nel mio percorso musicale. Sono stato fortunato da questo punto di vista, perché Sentieri Selvaggi è un raro e virtuoso esempio per quanto riguarda quell’apertura mentale di cui parlavamo. Sono un gruppo di musicisti che ha il pregio di avvicinare il pubblico a repertori poco diffusi in Italia, ottenendo consensi e reazioni sempre positive. Questo ensemble,  programma autori anche molto distanti fra loro, e in questo senso, Carlo Boccadoro è davvero un musicista di larghe vedute, con una cultura straordinaria e  una grande libertà di pensiero.

Un breve racconto notturno

Riguardo invece l’uso della multimedialità quale strumento estetico, prenderei come esempio Sortilège, un pezzo scritto per Francesco Libetta che prevede la presenza di un danzatore, Giulio Galimberti, con la coreografia di Stefania Ballone, che ha avuto già diverse esecuzioni in forma di concerto ma che ha anche preso forma in un meraviglioso cortometraggio curato da Anton Giulio Onofri, e dallo stesso Libetta. Credo che la convivenza di differenti forme di espressione possa in qualche modo amplificarne le potenzialità espressive; la multimedialità non è altro che un mezzo di comunicazione del nostro tempo che le arti possono adoperare anche per incontrarsi, oltre che per esprimersi.

In questi giorni mi è capitato di riascoltare La maschera della morte rossa, un pezzo per sestetto d’archi eseguito la prima volta nel 2017 a Villa Pennisi in Musica dal Sestetto Stradivari, a cui è dedicato. Come si può evincere dal titolo, è ispirato all’omonimo racconto di Edgar Allan Poe. Il racconto tratta proprio di un’epidemia, dalla quale il principe Prospero tenta di fuggire rintanandosi nel suo castello dove si circonda di musicisti, danzatori, giullari. Prospero cerca una via di salvezza dalla morte attraverso l’arte: un messaggio molto condivisibile in un periodo come questo. Quando l’ho scritto mai avrei pensato di vivere in prima persona una situazione simile, ed essere quindi coinvolto in un’epidemia. Ascoltarlo oggi mi ha fatto un effetto molto forte.

La maschera della morte rossa

La multimedialità può quindi essere intesa come un’occasione per costruire un ponte comunicativo con l’ascoltatore…?

Senz’altro l’interazione fra le varie arti, ma anche con la multimedialità, la grafica, il visivo, è un’opportunità ulteriore per poter implementare la capacità comunicativa della musica. Per me multimedialità significa abbracciare più mondi, che insieme danno vita a un’unica opera, un solo respiro. La mia necessità di far uso dei multimedia è probabilmente una conseguenza diretta dei nostri tempi: in fin dei conti il compositore rispecchia anche gli stimoli che riceve dalla società.

Credo che un compositore debba anche poter raccontare il mondo che lo circonda, per poterne esprimere le contraddizioni, e i profondi connotati.

La mia idea di composizione nasce proprio dalla necessità di comunicazione, per questo non riesco a fissare la mia immagine di musica in un unico stile: possono esserci situazioni che mi portano ad adottare soluzioni differenti, attraverso linguaggi anche distanti tra loro. Faccio convivere momenti in cui riaffiorano aree più consonanti, con atmosfere più aspre e stilemi compositivi più avanzati finalizzati ad una chiara resa drammaturgica. Credo che l’ascoltatore possa apprezzare e comprendere un brano, anche complesso, quando questo è strutturato coerentemente attorno un messaggio che va al di là dei linguaggi, se questi sono usati con un obiettivo e una volontà comunicativa.

In conservatorio mi è capitato di sottoporre ai miei studenti l’ascolto partiture molto articolate, anche di autori del panorama musicale contemporaneo italiano (come Antonioni, Montalbetti, Galante e molti altri), e loro ne uscivano entusiasti. Troppo spesso si prospetta, a chi abbiamo davanti, una visione limitata degli universi sonori, e perciò bisogna assolutamente abbattere ogni barriera di ignoranza e di pregiudizio.

Abbiamo già ampiamente affrontato i temi legati alla ricezione della nuova musica e alla figura del compositore. Per concludere, quindi, ci piacerebbe chiederti cosa consiglieresti a chi vorrebbe intraprendere il mestiere del compositore?

La prima cosa che direi è di seguire con coraggio il proprio istinto, di studiare con fiducia, ottimismo, passione e costanza. Che, nonostante molte difficoltà, ho potuto vedere un mondo musicale molto attento a ciò che si muove al suo interno. Nel mio caso, il percorso si è delineato, per mia fortuna, con una certa spontaneità, senza alcuna forzatura. A chi inizia a scrivere musica oggi direi: studia il più possibile affinché tu possa realizzare nel migliore dei modi le tue idee, senza accontentarti. Direi di abbattere i muri del pregiudizio e di ascoltare più musica possibile. Di scavare sempre in profondità. Direi che nei momenti delicati, in cui il tuo lavoro potrebbe non essere riconosciuto, la consapevolezza di un percorso di coerenza interiore sarà la forza necessaria per proseguire e crescere come musicista ma anche come uomo.

Intervista a cura di Michele Sarti e Valerio Sebastiani

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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