Via Crucis di Liszt

Siamo tra il 1876 e il 1879, periodo in cui Liszt, dopo aver soggiornato stabilmente prima a Weimar fino al 1860 circa e poi a Roma per i dieci anni successivi, divide la sua vita nel “grande e faticoso” triangolo, come lui stesso lo definisce, tra Budapest, Roma e Weimar. In quest’ultimo periodo, anche in virtù degli ordini minori francescani presi nel 1864, Liszt consacra la propria vita e opera musicale per la maggior parte a composizioni religiose e sacre, portando a termine grandi lavori come il Christus, La leggenda di Sant’Elisabetta e proprio tra il 1876 e il 1879, Via Crucis.

Il caso editoriale Via Crucis

L’opera in questione è al centro di un piccolo caso editoriale; Liszt infatti la propone nel 1884 insieme a Rosario e Septem Sacramenta all’editore Pustet, stampatore ufficiale di testi e canti liturgici per la Santa Sede. Costui infatti godeva di un privilegio trentennale accordatogli dal Vaticano nel 1870 per la stampa del graduale romano curato dal Caecilienverein, l’associazione ceciliana tedesca di Ratisbona, di cui i maggiori rappresentanti erano Franz Xaver Haberl e Franz Xaver Witt. Questa organizzazione era tra le più influenti tra i vari movimenti ceciliani nazionali nati in Europa in quegli anni, i quali avevano tutti l’obiettivo di riformare il canto e la musica sacra. Pubblicare con Pustet dunque equivaleva ad avere la possibilità di sentire la propria Via Crucis risuonare in ogni chiesa del mondo cattolico.

La proposta di Liszt a questo editore non fu casuale; alcuni suoi brani adatti alle funzioni religiose erano già stati pubblicati da Pustet: Ave Maria II in re maggiore, O salutaris hostia, con dedica a Franz Xaver Haberl, il Pater noster III e le due versioni una per coro femminile e organo e l’altra per coro maschile e organo del Tantum ergo, dedicate a Franz Witt. Liszt, come scrive nella prefazione all’opera, sogna questa sua opera accompagnare il Papa durante la processione del Venerdì Santo al Colosseo, a Roma. «Non scrivo queste composizioni per guadagnare soldi, ma per un sincero desiderio cattolico per il cuore»: queste le parole del compositore ungherese nella lettera di accompagnamento delle proprie opere a Pustet.

I motivi del rifiuto di Pustet a Via Crucis

L’editore tedesco però gli negherà la pubblicazione e quindi il suo sogno. Due i motivi alla base del rifiuto di Pustet che Liszt confessa in una lettera del 30 luglio 1885 a Carolyne Wittgenstein, per lungo tempo compagna e poi confidente del compositore ungherese: il primo è che «la cornice di queste opere supera quella delle sue numerose pubblicazioni abituali» ovvero Via Crucis è semplicemente fuori dal canone delle opere pubblicate di solito da Pustet. Inoltre scrive Liszt, «C’è un altro peggior motivo in fondo – in quelle zone non si vendono le mie composizioni, il che non mi impedirà di rendere giustizia a quelle di Witt, Haberl, ecc., e di contribuire per quanto mi è possibile alla diffusione della Società tedesca di Santa Cecilia». Il compositore ungherese si rammarica per non poter aiutare Witt e Haberl nella diffusione del movimento ceciliano tedesco, nonostante le loro profonde e differenti vedute. Infatti mentre Liszt concepiva una musica sacra frutto dell’unione tra il gregoriano e un linguaggio musicale coevo, i ceciliani, soprattutto tedeschi, miravano a una semplice restaurazione del gregoriano di stampo palestriniano.

Via Crucis, la nuova musica sacra pensata di Liszt

Via Crucis è il frutto della personale esperienza sacra, religiosa e musicale di Liszt ed è basata su tre pilastri fondamentali: il gregoriano, lingua musicale della chiesa; il corale luterano, che omaggia Bach e ricorda le sue seppur lontane origini tedesche; infine il proprio linguaggio artistico-espressivo maturato durante tutta la sua vita. Questi tre mondi molto distanti tra di loro, vengono uniti sapientemente da Liszt in maniera originale e innovativa dando vita ad un linguaggio rinnovato, basato sul gregoriano ma allo stesso tempo cosciente dei progressi musicali coevi. Probabilmente è proprio questa modernità del linguaggio lisztiano che porta Pustet a rifiutare la pubblicazione di quest’opera, che avrebbe destato sicuramente molto scalpore nei più tradizionalisti, soprattutto all’interno del Caecilienverein. Un’opera fuori dal canone dunque per la sua modernità, nonostante Liszt avesse rispettato le regole ecclesiali prescritte nei regolamenti di musica sacra di quel tempo: linguaggio asciutto, melodie semplici e organo come unico strumento a sostegno del canto.

Così, negato il suo sogno e financo la possibilità di sentire le proprie note risuonare all’interno delle chiese, Via Crucis insieme a Rosario e Septem Sacramenta rimangono inedite per oltre 40 anni dalla morte di Liszt. La prima esecuzione di quest’opera avverrà solamente nel 1929 nel Magyar Királyi Állami Operaház, il Teatro dell’Opera di Budapest, durante il venerdì santo di quell’anno e la stampa solo nel 1936, a cura dell’editore di Lipsia, Breitkopf & Härtel. Circostanze che non avrebbero fatto piacere a Liszt, ma che sicuramente ci hanno permesso di conoscere un capolavoro dell’arte sacra.

Analisi Via Crucis

L’opera è composta da quindici brevi brani, quattordici stazioni più un episodio iniziale, che hanno la funzione di accompagnare il rito religioso; l’organico contempla soprano, mezzosoprano, contralto, tenore, baritono, basso, coro e il solo organo (o eventualmente il pianoforte). Lo stile risulta asciutto, crudo, senza ornamenti, eclettico ma soprattutto fortemente espressivo. Non è dunque un’opera che stupisce per la sua originalità strutturale, quanto piuttorsto per l’arditezza del linguaggio e la mescolanza dei generi.

L’episodio iniziale di Via Crucis

L’episodio iniziale ha una funzione di raccoglimento dell’animo dei fedeli. L’inno Vexilla Regis di Venanzio Fortunato viene esposto inizialmente dall’organo, che poi accompagna nel canto il soprano, il contralto, il tenore e il basso attraverso semplici armonizzazioni tonali. Il coro, che rappresenta il popolo dei fedeli, lascia emergere tutte le paure e i dubbi sul mistero della morte e resurrezione di Cristo, soprattutto nell’ultima stanza dell’inno, Ave crux, spes unica. Qui la melodia gregoriana viene armonizzata con una personale scrittura polifonica lisztiana, di cui un esempio è il trattamento delle parole spes unica; queste vengono prima avvolte in un’ambigua tonalità di Do♯ diminuito, poi risolta subito in Re minore sulla parola unica. La croce su cui muore Cristo dunque, sembra essere in questo momento soprattutto uno strumento di enorme dolore piuttosto che di luminosa resurrezione.

I stazione

La prima stazione dimostra subito la grande espressività presente all’interno di quest’opera. La mano sinistra procede con una progressione su ottave dal ritmo instabile, spostato dalla sua sede naturale, fino al Si♭, su cui si innesta uno straziante accordo di Do minore. È il ritratto della folla fuori dalla dimora di Ponzio Pilato, caotica, vuota come le ottave che la descrivono, con i suoi movimenti improvvisi e le sue urla asincrone, che chiedono la condanna a morte di Cristo. Turba placata solamente da Pilato (un basso), che da solo, in mezzoforte pronuncia le parole, Innocens ego sum a sanguine justi huius, in una melodia discendente che copre anch’essa un’ottava, quasi a paragonare la superficialità della folla, all’ignavia del governatore romano. 

II stazione

Il saluto della croce (II stazione) da parte di Cristo è rappresentato dalle parole Ave Crux, cantate da un baritono e poste tra due sezioni molto simili tra loro. In questi due segmenti posti all’inizio e alla fine del brano, la mano sinistra evoca attraverso un basso ostinato l’eco dei passi di Gesù, mentre la mano destra con delle ottave dipinge, attraverso piccoli spostamenti, il tema della “paura di Cristo” qui raffigurato ancora in tutta la sua umanità.

III stazione

A questo episodio segue la prima caduta di Cristo, che si ripete con lievi variazioni di tonalità anche nelle stazioni VII e IX. Qui l’espressionismo lisztiano e la commistione di generi arriva al suo massimo; le parole in forte del tenore e del basso, Jesus cadit, poste su un accordo di Mi♭ diminuito, anticipano il canto a cappella di 2 soprani e un contralto, che descrivono in polifonia la dolorosa situazione di Maria attraverso i primi due versi dello Stabat Mater

IV stazione

Madre di Cristo che occupa completamente la IV stazione, con una delle scene più dolci e toccanti di tutta l’opera. Questo quadro è un continuo movimento verso l’alto, una scala cromatica senza fine, che solo dopo 19 battute si risolve in un pacifico e risolutivo re. In questo momento gli occhi di madre e figlio si incontrano e per un brevissimo istante tutta la scena si riempie di serenità, destinata però a durare poco e a trasformarsi in dolore e rassegnazione nel perdendo finale.

V e VI stazione

La stazione V ripropone i temi della croce già presenti nel II quadro con la descrizione del cammino compiuto da Cristo, qui aiutato da Simone di Cirene descritto con medesime modalità musicali. La VI stazione invece, intitolata l’incontro con la Veronica, è costituita totalmente dal corale luterano O Haupt voll Blut und Wunden, introdotto dal breve tema identificativo della pia donna. A cantare questi versi non è solo la Veronica come ci si aspetterebbe, ma tutto il coro, come se il cordoglio da lei provato alla vista di Cristo, divenisse comune a tutte le persone presenti, che ora cantano con atteggiamento doloroso il volto flagellato di Gesù. Liszt pur riutilizzando la melodia principale della Matthäus–Passion di Bach, riarrangia in maniera polifonica il corale, trasponendo il tutto nella tonalità di La minore. Le prime due strofe dal testo più crudo vengono poste sulla dominante, descrivendo l’attuale immagine di Cristo flagellato e sofferente (« O capo pieno di sangue e ferite, | pieno di dolore e di disprezzo! | O capo cinto per scherno da una corona di spine!»). L’ultima strofa invece dalle parole più confortanti (O capo, già adorno del più grande onore e ornamento, | ma ora insultato nel peggiore dei modi, io ti saluto!) termina sulla tonalità d’impianto.

VII e VIII stazione

Tralasciando la VII stazione, che come detto precedentemente presenta solo qualche lieve variazione di tonalità rispetto alla III, arriviamo direttamente alla stazione VIII, con l’incontro tra Cristo e le donne di Gerusalemme. Il quadro inizia tra una folla che sembra partecipare adesso al dolore e al martirio di Gesù. Prima delle parole di Cristo ritroviamo il tema della Veronica, che quindi Liszt immagina ancora presente tra la folla.

Nolite flere super me, sed super vos ipsas flete et super filios vestros.

Queste parole rivolte alle donne sono al centro della scena, sole, senza accompagnamento musicale, come a far riflettere l’umanità sulla condanna a morte del Figlio di Dio emessa quel giorno. L’Andamento marziale finale simula il suono delle trombe che attraverso forti dissonanze ampliano sempre più lo spazio sonoro, annunciando l’arrivo di Gesù e dei ladroni sul monte Golgota.



IX, X e XI stazione

La IX stazione (assimilabile alla III e alla VII) rappresenta l’ultima caduta di Cristo mentre nella X, avvolta in un’atmosfera angosciante, si descrive la divisione delle vesti di Gesù da parte delle guardie romane tramite continue quartine discendenti. Fulminea è invece la stazione XI in cui Gesù viene crocifisso. Questo è il momento di maggior tensione dell’opera, tenore e basso cantano in forte per tre volte Crucifige, crucifige, su melodie molto statiche e decise che insieme agli accordi dal ritmo sincopato dell’organo in fortissimo, donano alla scena una maestosa imponenza tragica.

XII stazione

La XII stazione, quella in cui si consuma la morte di Cristo, è costituita da tre parti. Nella prima è presente l’appello di Gesù in prima persona a Dio: Eli, Eli, lama sabachtani(Mt 27, 46), in manus tuas commendo spiritum meum(Lc 23,46); queste parole poste su una melodia di quinta discendente risuonano negli accordi dell’organo. Nella seconda parte Gesù poco prima di spirare canta il fatidico Consummatum est (Gv, 19, 30), tutto è compiuto, su una melodia lineare, con ritenuto, spirando. Queste parole verranno ripetute dai due soprani e dal contralto, in pianissimo e un poco ritenuto, come un coro serafico che conferma l’adempimento della volontà divina. L’ultima sezione infine è occupata dal corale luterano O Traurigkeit, o Herzeleid, questa volta preso dall’altro caposaldo delle passioni bachiane, la Markus-Passion. L’inno riarrangiato è quasi totalmente cantato a cappella, con l’organo che sostiene solamente le ultime quattro ripetizioni del primo verso del corale.

XIII stazione

La deposizione dalla croce di Gesù nella XIII stazione, viene descritta con un motivo ascendente, che anticipa il momento dell’incontro con Maria, descritta dal suo tema. Questo episodio, probabilmente tra i più strazianti a livello umano, evoca la potentissima immagine della Pietà, l’ultimo abbraccio di una madre a suo figlio ormai morto. La stazione termina ancora una volta con il tema della Veronica che sottovoce, come a non voler disturbare il ricongiungimento tra madre e figlio, assiste anche lei alla deposizione di Cristo.

XIV stazione

Nelll’ultima stazione di questa Via Crucis, la XIV, più che la scena del sepolcro, Liszt sembra voler evocare la Resurrezione di Cristo. Si torna a cantare O ave Crux, spes unica, con un testo leggermente diverso (Ave crux, spes unica, mundi salus et gloria, auge piis justitiam. Reisque dona veniam! Amen), ma con la stessa melodia del Vexilla Regis. Il quadro nella sua interezza è diviso in due parti: nella prima un mezzo-soprano canta i singoli versi della strofa, ripetuti subito dopo dal coro (formato da soprano, tenore e due bassi). Questa scena descrive la processione straziante verso il sepolcro, compiuta il terzo giorno dopo la morte di Cristo; lo sconforto di questa perdita si riverbera nella staticità delle voci maschili che sottostanno alla melodia dell’inno gregoriano. La seconda parte è la vera Resurrezione di Cristo. Nel testo musicale cambia la tonalità, si passa ad un luminoso Re maggiore, il tempo diventa Più Lento e il canto viene espresso in pianissimo, evocando un’atmosfera angelica che circonda l’ascesa al cielo di Gesù. Ave crux, ripete il coro con una melodia statica che dipinge un’indefinita atmosfera celestiale. Ora l’animo del fedele dopo il percorso catartico riconosce nella croce il simbolo non solo della Passione di Cristo ma anche della sua Resurrezione.

La musica sacra di Via Crucis

Via Crucis dunque può considerarsi il punto d’arrivo della musica sacra lisztiana poiché contiene dentro di sé le diverse anime del compositore ungherese: il cristianesimo, l’esplorazione musicale ardita e l’ecumenicità di una fede che abbatte le barriere delle divisioni tra cattolici e protestanti e si riunisce in un unico credo nel momento più importante della vita religiosa di un cristiano, quello della morte e della resurrezione di Cristo. La musica sacra di Liszt, arrivata in questa Via Crucis alla sua massima espressione artistica, può infine considerarsi, citando le parole di Giovanni Acciai, un incontro formale ed espressivo «in cui il magistero degli antichi maestri è una presenza di cultura profondamente acquisita ed operante in una proiezione attuale e non un ricordo compiaciuto o una citazione erudita da nota a piè di pagina».

Luca Cianfoni

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