Con questo articolo, scritto a seguito di una lunga incubazione e un intenso confronto con alcune personalità del mondo musicale italiano odierno, inauguriamo una serie di riflessioni sulla condizione che la comunità musicale sta vivendo in questa particolare fase storica caratterizzata dalla pandemia da Covid-19. A questo editoriale, con il quale forniamo più domande, che risposte concrete per il futuro, seguiranno altri interventi, in forma di colloquio con compositori “rappresentativi” dell’attuale scena italiana, per indagare ulteriormente le caratteristiche, le contraddizioni e le peculiarità del fare musica in un momento di così radicale crisi globale.

La pandemia ha messo in ginocchio l’economia globale, ridefinendo al tempo stesso l’immaginario collettivo, le relazioni sociali, la capacità di visualizzare il futuro in maniera stabile e definita. Non solo, l’interruzione e il ribaltamento di tutte le diverse ritualità quotidiane, sia individuali, che collettive, hanno portato la maggior parte di noi (sicuramente quella più privilegiata) a ricostruire nella propria abitazione una sorta di safe place per emanciparsi dalla condizione di cattività e isolamento. Tuttavia credo sia possibile riconoscere un elemento di grande sorpresa, nello scenario collettivo. Questo elemento è quello di un rapido e lucido adeguamento della moltitudine sociale all’isolamento coatto di massa. Un adeguamento che tuttavia è avvenuto sotto il segno di un forte bisogno di conservare strenuamente la connessione con l’altro, lottando contro la profonda crisi materiale e psicologica provocata dal forzato isolamento domestico. In assenza di rapporti sociali realizzabili fisicamente al di fuori della routine domestica, la nostra nuova comunità di internati ha scelto di fare online tutto quello che può esser fatto: lo studio individuale, le lezioni e gli esami universitari, il lavoro e, last but not least, l’intrattenimento. Murati in casa, con l’altro, il diverso, il nemico (uno nuovo, inedito, ovvero l’untore) ben distanziato, abbiamo confermato lo spazio pubblico virtuale come definitivo spazio sociale, radicalizzando (letteralmente) tutti gli strumenti a disposizione in rete. Un’altra minaccia da debellare, forse tanto pericolosa come il virus stesso, d’altronde collaterale ad esso: quella del silenzio, dell’immobilità. Il tempo ritrovato per se stessi (o per lo meno per chi non è costretto a lavorare) è scandito dalla sensazione costante di dover farcire le proprie giornate con letture, film e musica: un imperativo collettivo di distrarsi, di mantenere una parvenza di routine, di non perderci di fronte all’incertezza.

Visite museali online con immagini ad alta definizione, cineteche in streaming, archivi di audiolibri e di riviste specializzate online consultabili in periodi programmati, accesso libero garantito alla Biblioteca Digitale Mondiale, concerti e rappresentazioni d’opera in streaming sui siti delle diverse istituzioni musicali. Queste ultime, forse le più colpite nell’ambito del lavoro culturale per il grande dispiego di forza lavoro a livello artistico e impiegatizio, hanno reagito mettendo a disposizione, su diverse piattaforme, una grande quantità di documenti sonori. La Berliner Philarmonie, per esempio, ha reso gratuito e consultabile l’intero archivio storico dei suoi concerti nella Digital Concert Hall, molto prima che fosse dichiarato lo stato di emergenza in Germania. Molti musicisti, non potendosi esibire fisicamente sul palcoscenico, hanno ritrovato nello spazio virtuale della diretta Facebook un surrogato della sala da concerto, coniando un nuovo rituale, in cui il corpo collettivo del pubblico è connesso in quanto presenza dell’assenza: difficile il riconoscimento collettivo reciproco, le interazioni tra il pubblico sono ridotte ai minimi termini (anche se qualche critico musicale, ha inaugurato la singolare pratica di recensire quei concerti e rappresentazioni d’opera che stanno andando in onda a sala vuota, come il Fidelio nella produzione di Christoph Waltz). Queste manifestazioni rivelano tuttavia un’emozionante scoperta: quella dell’importanza fondamentale del mantenere una connessione con l’altro, al di là degli schermi dei propri tablet, o smartphone. Un «impulso primordiale», come lo definisce Gloria Campaner, pianista concertista, «una risposta viscerale alla prima pandemia che si è sviluppata in un mondo digitalizzato».

Se la diretta streaming di concerti privati era stato uno strumento abbastanza snobbato dalla comunità dei musicisti, ora rivela allo stesso tempo tutte le sue potenzialità e contraddizioni con disperata schiettezza. «Certamente i social network», afferma infatti Orazio Sciortino, pianista e compositore siracusano, ma residente a Milano, «in questo periodo rivelano una grande utilità, sia per il pubblico costretto a casa, sia per noi musicisti, che ci sentiamo meno soli e inutili. Tuttavia mi chiedo se questa assoluta disponibilità di piattaforme streaming a cui accedere, alla fine non provochi una sorta di overdose, di abuso di informazioni che non lasciano alcuna traccia; anche a causa della soglia di attenzione molto bassa che il “pubblico” rischia di mantenere di fronte al computer».

Sotto un certo punto di vista questo fenomeno non lascia troppo sorpresi. Stiamo vivendo un’epoca storica fortemente determinata dal digitale, in cui l’enorme disponibilità di mezzi di riproduzione e conservazione del suono da parte di storage consultabili con estrema facilità (dal potenzialmente infinito crogiolo di YouTube, a servizi più complessi come la già citata Digital Concert Hall dei Berliner), ha inciso in maniera radicale nella musica, sia dalla parte degli ascoltatori, che dalla parte degli esecutori.

C’è da chiedersi però se questa implementata disponibilità ad accedere a (quasi) tutti i documenti musicali, non lasci in realtà dietro di sé più problematiche, che benefici. Quanto si potrebbe parlare di cultura orizzontale, se è praticamente impossibile riuscire a orientarsi criticamente dentro questa enorme torre di babele di documenti?

Non dimentichiamoci dunque che l’esperienza musicale vive soprattutto grazie a quel complesso sistema di interazione tra pubblico e interprete, concretizzato da una parte nel senso di appartenenza del primo a una comunità di ascoltatori, dall’altra nell’atto comunicativo del secondo, che riesce a creare quella alchimia necessaria a consolidare la reciprocità necessaria all’esperienza musicale. Ci si potrebbe aspettare, come si auspica Daniele Ciccolini, storico violinista di fila dell’Orchestra Nazionale di Santa Cecilia «che in futuro esploderà così tanta fame di aggregazione, così tanto bisogno di ritrovare il contatto fisico con la performance musicale, che ci si vorrà scrollare di dosso tutta la pressione accumulata durante il lockdown». D’altronde sarà difficile immaginare un mondo dove l’imporsi della ricezione online delle programmazioni delle fondazioni liriche possa diventare norma consolidata. Che fine farebbe quell’insostituibile senso comunitario del fare musica insieme? Come potranno sostentarsi le migliaia di lavoratori autonomi, freelance e senza contratto che non solo non riceveranno il compenso per gli eventi sospesi, ma dovranno far fronte a un lungo periodo di totale congelamento di ogni attività concertistica?

Quando la crisi sanitaria verrà risolta (il come e il quando non è ancora chiaro), emergerà dalla risacca un altrettanto complessa crisi valoriale ed economica: si spenderà meno e con più timore.  Le persone strappate dall’isolamento e dalla quarantena, saranno spinte a consumare il più possibile, per rispettare il solito mantra del sostegno ad ogni costo all’economia. Che posto prenderà la qualità dei beni comuni e della cultura musicale non è chiaro, ma il trend generale registrato fino al “pre-crisi Covid-19”, di cui tutti gli addetti ai lavori sono ben consapevoli, lascia tristemente poco spazio all’immaginazione. E non sarà solo un problema di fondi per colmare i vertiginosi buchi nelle casse delle fondazioni.

 Basta prefigurarsi il momento in cui verranno riaperti i battenti delle sale da concerto: quanto sarà difficile convincere il pubblico a ritornarci? Come sarà possibile gestire con serenità e spensieratezza gli assembramenti al chiuso, dopo quest’ondata così intensa di stress psicologico e reale rischio di contagio? Il quadro, secondo il direttore d’orchestra Nicola Guerini, appare incerto: «sebbene il rapporto con il pubblico venga attualmente mantenuto con performance, interviste e collegamenti streaming, sarà una sfida ripristinare le modalità di prima, con variabili anche inedite. Sono ottimista sul desiderio del pubblico di voler tornare a ri-vivere le performance nei luoghi della musica anche se lo spirito di aggregazione, forse, sarà mutato. Dopo un collasso economico globale saremo tutti chiamati ad affrontare un cambiamento epocale riprogrammando il futuro con strumenti e risorse nuove, da leggere anche come opportunità ma con prospettive ancora non chiare. Sono certo però che dopo un lungo periodo di scollamento e clausure forzate i luoghi della musica saranno la migliore terapia per ripristinare la voglia di incontrarsi e condividere un sentire nuovo».

La frustrazione che oggi la comunità musicale tutta sta percependo, dall’organizzatore al musicologo, dal divulgatore all’interprete, deriva interamente dall’incapacità di immaginare come verrà riconfigurato il mondo culturale italiano. Se determinati strumenti fornitici dall’online, per come l’abbiamo conosciuto fino adesso, non sono stati all’altezza di chi fruisce la musica e di chi la fa, forse questo è il momento di costruire nuove vie, implementare e allargare le vecchie, stabilire sulla mappa nuove destinazioni, per rendere la fruizione musicale all’altezza della grande crisi che stiamo attraversando.

Come orienteremo quindi la riorganizzazione dell’intrattenimento musicale? Cosa accadrà, quando passeremo da questa prima fase caratterizzata dal volontarismo solidale diffuso e dallo sforzo comune di sentirci meno distanti e meno oppressi dal chiuso delle nostre camere, al momento in cui il lavoro culturale dovrà, necessariamente, riattivarsi? In una fase storica estremamente peculiare, in cui sembra quasi che si stiano ridefinendo determinati punti di riferimento, più che stabilire delle risposte immediate, credo sia soprattutto urgente porsi le giuste domande, prefigurandosi il momento in cui riacquisteremo la possibilità di agire, e nel frattempo continuare a inventare e a sperimentare.

Valerio Sebastiani