Alma Mahler

una triste vita da amante

Autore: Redazione

11 Dicembre 2019

««Mahler era un ebreo-cristiano e la vita gli era difficile. Io ero una pagana-cristiana e la vita mi era facile». Così scriveva Alma Margrethe Maria Schindler (1879 – 1964), già vedova di Gustav Mahler (1860 – 1911), nei suoi Ricordi. Si erano conosciuti una domenica di novembre del 1901 nel salotto di Berta Zuckerkandl, critica d’arte e moglie del celebre anatomista, che amava ospitare la jet society viennese, impreziosita di artisti e intellettuali. Con Alma, quella sera, c’erano il suo passato (Max Burckhard, poeta e direttore del Burgtheater, virile mentore e guida spirituale sull’irto percorso del pensiero di Nietzsche), il suo presente (Gustav Klimt, il “principe dei pittori”, sempre e perdutamente innamorato di lei) e il suo futuro (Gustav Mahler, il maturo ed enigmatico direttore artistico del Teatro di Corte, nebuloso come i colori dell’autunno).

Alma: giovane, solare come primavera nel blu dei suoi grandi occhi, tenace, capricciosa, sciaguratamente timida e, insieme, spasmodicamente sfrontata pur nei suoi soli ventidue anni. Una bellezza che travolge e ossessiona. Si interessa di arte, pittura, poesia, musica perché suo padre, il pittore paesaggista Emil Jacob Schindler, l’ha avviata da piccola al mondo dell’arte. Studia contrappunto con Alexander Zemlinsky: una relazione tanto intensa al punto che la bella Alma dal talentuoso e gracile maestro desidera anche un figlio.

I discorsi della serata in casa Zuckerkandl, tra colte disquisizioni di scultura francese e nuove frontiere di arte viennese, non possono non affrontare il concetto di Bellezza. E se Alma trova “bella” la testa di Alexander, Mahler preferisce quella di Socrate!… Un gioco di sguardi e di segrete vibrazioni dell’anima, una notte insonne, una poesia, un bacio, una dedica nel Tannhäuser, un invito segreto per consumare la passione dell’amore… e l’autunno attrae a sé la primavera. Alma teme il potere che Mahler, severo domatore di folle orchestrali, possa avere su di lei; Mahler vive con inquietudine, se non con morbosa gelosia, la folla dei giovani spasimanti disposti finanche a gesti estremi, come l’innocente Felix Muhr, che per Alma rasenta il suicidio. Perché Alma ama flirtare con chiunque, a volte anche oltraggiosamente, ed è impossibile rimanerle indifferenti. Mahler le promette: «Tu avrai un solo compito: rendermi felice, essermi amante, compagna e amica». Alma accetta e annota nel suo diario: «Affinché sia felice, bisogna che io viva per lui». Il 9 marzo 1902, nella sagrestia della Karlskirche, in stretta intimità si celebra il matrimonio; il 3 novembre nasce la primogenita Maria, detta Putzi.

Gustav e Alma: lui tenta di domarla, di renderla inoffensiva sottraendola alla vita mondana per relegarla nel suo stesso angolo di solitudine perfetta, imponendole il ruolo di compagna e amante silenziosa per respirare insieme l’alito del divino e dell’eterno. Una vita che lei percepisce come «spoglia di ogni scoria terrena, quasi disumanamente pura», uno splendido isolamento, già precedentemente cantato nel suo Lied Bei dir ist es traut, su testo di R. M. Rilke: Con te il calore della casa, l’intimità della famiglia, le ore delicate dei giorni antichi, l’amore che non grida! Una porta chiude fuori il mondo, la sera origlia alla finestra. Lasciateci nel nostro silenzio! Che nessuno sappia di noi!

Alma e Gustav: un rapporto intenso, difficile, complicato, che Sigmund Freud avrebbe liquidato con il “complesso di Edipo” per lei, eterna bambina, che ama in Mahler, nella differenza dei venti anni di età, il padre-artista perduto da adolescente, e con il “complesso della Vergine Maria” per lui, proteso, se non prostrato, in adorazione della virginale bellezza di lei.

Scorrono gli anni. Mahler lavora d’inverno e compone d’estate: un lavoro intenso e frenetico di conductor con tournée di concerti tra i più prestigiosi teatri europei, alternato a lunghe pause estive prestate completamente al lavoro di composizione nel rifugio della casupola in legno di Maiernigg in Carinzia, appositamente costruita per quel solitario lavoro creativo sotto l’ombra fitta del bosco che, insieme al lago, assiste alla nascita di veri capolavori sinfonici. Alma, che si ritiene allo stesso livello intellettuale del marito date le continue frequentazioni degli ambienti artistici d’avanguardia – Wiener Secession in primis – diviene critico intransigente della sua musica: definisce la Sesta Sinfonia e i Kindertotenlieder «spaventosi e disgraziatamente profetici» per i tre colpi finali del destino e la morte prematura dei bambini; nella Quinta, opera di sfida, avrebbe eliminato l’Adagietto e revisionato il corale del movimento finale, un «corale chiesastico senza interesse». E quando non ha da lamentare il mancato acquisto di nuovi cappelli, da sfoggiare come Frau Mahler nelle premiere dell’Hofoper, segue i corsi universitari del prof. Siegel, tra i quali Immagine del cielo e volta celeste da Aristotele a Kant, prendendo fiumi di appunti che Mahler, con commovente tenerezza, dovrà spiegarle la sera, dopo cena, ripercorrendo l’irto pensiero di Giordano Bruno e Galileo. Altre lunghe letture serali – dal Tristan di Gottfried al Parsifal di Wolfram, fino alla Storia del materialismo di Lange – uniscono la coppia. Tra quelle pagine Mahler trova la compagna di vita; Alma, invece, sente di avere accanto per marito un «essere astratto, non un uomo». Avrebbe voluto stendere le ali, volare lontano inseguendo sogni, vivere la passione e persino riprendere i suoi studi musicali, interrotti alla composizione di pochi Lieder, sepolti nella bara del passato.

La nascita della secondogenita Anna Justine (1904 – 1988), detta Gucki per i suoi grandi occhi azzurri, apporta nuova gioiosa linfa alla vita di coppia e alla depressione di Alma, sempre amorevolmente circondata dalla madre Anna con il suo nuovo marito (il pittore Carl Moll) e da una cerchia di amici fedelissimi: Arnold Schönberg, Bruno Walter, Alfred Roller, gli antichi Alexander Zemlinsky e Gustav Klimt, che ha da poco raffigurato Mahler nel Cavaliere armato, protagonista maschile dell’imponente Fregio Beethoven e valoroso difensore del regno dell’Arte e della Musica. Una serenità ritrovata che, però, verrà presto spezzata dalla morte della primogenita Putzi (Maiernigg, luglio 1907). Accanto alla piccola bara, sogni infranti, tanto dolore, la malattia cardiaca di Mahler e l’abbandono dell’Hofoper e di Vienna, triste conclusione di un importante capitolo della vita artistica e spirituale del compositore: Quando il dolore si avvicina – declamerà Mahler nel Canto della Terra – deserti giacciono i giardini dell’anima, sfiorisce e muore la gioia, il canto. Oscura è la vita, oscura la morte!

Così Gustav e Alma, esuli da Vienna, tentano il Nuovo Mondo: un contratto di 100.000 corone li richiama al Metropolitan di New York. In quella città, «giovane e maledetta», ricca e ostentatamente kitsch, se Mahler tenterà di cautelare la propria salute spirituale passando molto tempo a letto, Alma nel nuovo appartamento all’undicesimo piano dell’Hotel Majestic rinasce miracolosamente. Il severo direttore perde lo smalto, evira la propria musica, assume – come scrive il «New York World» – una disarmante cortesia da «dolce e amabile agnellino»; Alma entra nella catena di lunch e dinner mondani dell’aristocrazia americana e di Conried, «Dio supremo» e direttore del Met, lasciandosi sedurre dal «trattamento da sovrani», da costosi arredi, luccicanti armature, baldacchini, quadri d’autore e, ancora, da automobili, fumerie d’oppio, fosforescenti sedute spiritiche con mandolini volanti, Gibson-girl e da Tiffany, con il suo hashish e il palazzo da Mille e una notte.

I rientri estivi al Vecchio Mondo riplasmano la vita di coppia. In fuga da Maiernigg per il tragico passato, Gustav e Alma si stabiliscono a Dobbiaco, porta delle Dolomiti, paesaggio incantato e incontaminato. Nella “casetta di composizione” del maso Trenker, nella solitudine del bosco di abeti a pochi passi dal fiume, Mahler dà vita al Canto della Terra, alla Nona Sinfonia e agli appunti della Decima, gli ultimi capolavori. Alma, per curare la malinconia nervosa che le fa «pazzamente desiderare ogni cosa, amore e vita», fugge via e a Tobelbad, per spezzare la solitudine, si accompagna al ventisettenne Walter Gropius, futuro fondatore del Bauhaus, giovane amante che non vorrà perderla e che la inseguirà fino a Dobbiaco con un’ardente lettera d’amore indirizzata (per errore?) a “Herr Direktor Mahler”… Indescrivibile quanto accade… due amanti perduti, Mahler e Gropius, nell’attesa di una scelta… Alma preferirà il sicuro calore domestico, l’amore silenzioso, nel nome di una obbligata missione. Una scelta di pietà, non di amore, che prostra il musicista, ormai sempre più «pallido e freddo», delirante in «un’inquietudine infernale» fino al feticismo – i sepolti Lieder di lei, le «pantofoline baciate mille volte», la porta chiusa fissata per l’intera notte, il suo stesso nome, Almschilitzilitzilitzili –, fino alla supplica di un gesto d’amore: «Oh! amami! premio della mia tempesta! Guariscimi, son morto per il mondo! La mia aspirazione è l’eterna schiavitù! … Ormai non mi appartengo più!».

Poi, l’ultimo viaggio americano, l’ultimo natale tra cascate di rose rosse, l’ultimo capodanno al nono piano sul Central Park in trio – «mano nella mano senza una parola» – con il dottor Joseph Fraenkel, neurologo d’origine viennese, nuova “distrazione” di Alma per condividere la gioia dell’ascolto dei suoi Lieder e il dolore dei giorni più tetri. Lo stato di prostrazione psicologica di Mahler, infatti, invade presto anche la sfera fisica. Un’endocardite batterica lo consuma lentamente fino al rientro a Vienna, dove muore il 18 maggio 1911. Sulle labbra l’ultima parola per Alma – «Mozart» – a ricordo, forse, dell’antico giuramento di non risposarsi mai, come invece aveva fatto Konstanze dopo la morte di Amadeus. Carl Moll plasma la maschera mortuaria di un volto disfatto con un disperato sorriso.

Alma, però, non manterrà la promessa: dopo il funerale si apparta solo per qualche tempo, quindi vuole conoscere il pittore Oskar Kokoschka (1886 – 1980). Al primo incontro, lei gli suona la Morte di Isolde. Lui, stregato, le farà mille ritratti. Ha così inizio un’appassionata relazione che riempie e, insieme, distrugge, nella quale Alma offre al nuovo selvatico giovane genio «i tesori del suo intimo inconscio». Monaco, Napoli, le Dolomiti, Vienna, la promessa di matrimonio, Parigi: «Devi essere presto mia moglie – le scrive Oskar – altrimenti il mio grande talento perirà miseramente. Devi darmi vita di notte, come un filtro magico». Tre anni di passione, tormento, angoscia, dipinti nei colori lunari di Coppia in amore e La sposa del vento, la grande tela dove Alma è ritratta in sensuale tenerezza accanto al corpo nudo del pittore, perso nella follia dello sguardo, nel delirio della sua insana passione.

Alma Mahler
«Un uomo forte – scrive Alma – che tutto vuol possedere, e anch’io con lui mi sento forte». Ma Oskar le si impone con selvaggia supremazia, la controlla come una prigioniera, bambola muta relegata nell’incantesimo del suo grande studio nero: «Con lui – scrive Alma – una lotta amorosa selvaggia e violenta. Prima di lui non avevo mai gustato tanti spasimi, tanto inferno, tanto paradiso. Egli dipinge me, me, me. Non conosce nessun altro volto». Anche la loro casa sul Semmering sembra “maledetta”: la soffitta prende fuoco, le fondamenta si allagano, un corteo di viscidi rospi in accoppiamento invade il prato circostante. Segnali sinistri che spaventano Alma, già ai primi mesi di gravidanza, finché non le giunge, ben imballato, il dono di Moll: la maschera funebre di Mahler… Alma la osserva, a lungo, in silenzio… quindi cede alla crisi e si reca in clinica ad abortire. Oskar non la perdona: nell’incisione della Cantata di Bach ritrarrà se stesso sepolto in una tomba, ucciso dal dolore e dalla gelosia. La lira di Apollo si è ormai spenta. È il 1914. Oskar sceglie la guerra. Vende La sposa del vento, acquista l’uniforme e parte via… Anche Alma fugge a Berlino per rivedere Walter Gropius. L’antico amore si riaccende e Alma, nuovamente in dolce attesa, diviene presto Alma Gropius. Oskar, estraneo indesiderato, lontano, ferito, dato per disperso, tornerà sconfitto a Vienna per apprendere del nuovo matrimonio. Questa volta la ferita non si rimarginerà: lettere d’amore, telegrammi di devozione, fiori… Scrive per lei perfino il dramma Orfeo ed Euridice… poi, ricaduto nel delirio, dovrà accontentarsi di una bambola di gomma a dimensioni reali con le fattezze di Alma… Si rincontreranno sette anni dopo alla Biennale di Venezia del 1922: nuovi palpiti ma nulla di concreto. Ad Alma è nata nel frattempo la piccola Manon Gropius, ma ha già divorziato da Walter perché in attesa di un figlio da Franz Werfel (il piccolo Martin Carl Johannes, che morirà all’età di pochi mesi).

Alma è ancora pericolosa, una «tigre» (come la definisce sua figlia Anna Mahler, che vivrà una altrettanto rocambolesca vita sentimentale, coronata da cinque matrimoni) ancora florida in una Vienna al tramonto. A riguardo ci resta la sconcertante testimonianza dello scrittore Elias Canetti: «una donna di un sorriso dolciastro e di occhi chiari, spalancati, vitrei», una donna in stato di ebbrezza che mostra con cinismo e avidità i trofei raccolti durante la sua tempestosa esistenza, la partitura della Decima Sinfonia di Mahler con le ultime deliranti annotazioni e sua figlia Manon, la cui bellezza, secondo Alma, è merito di Gropius, «alto, bello, un vero ariano, l’unico uomo fatto per me dal punto di vista razziale. Tutti gli altri che si sono innamorati di me erano piccoli ebrei, come Mahler». Un anno dopo, però, la bella Manon sarà colpita da poliomielite. Morirà pochi mesi più tardi, all’età di 18 anni, e sarà sepolta al Grinzing di Vienna, accanto alla tomba di Mahler. L’amico Alban Berg le dedicherà il Concerto per Violino e Orchestra Alla memoria di un angelo.

Nel 1929, dopo dieci anni di convivenza, Alma sposerà Franz Werfel, scrittore e drammaturgo, ebreo e cristiano, creatore di apocalittiche visioni di ombre e dolori, dalla personalità complessa e poliedrica, realizzando, nel totale, un prestigioso “poker d’assi” di geniali artisti. Werfel le ridonerà l’America. Nel 1940, infatti, la coppia, in fuga dal regime nazista, si trasferirà a New York, quindi a Beverly Hills, dove Werfel, gravemente malato di cuore, morirà nel 1945. Alma rimarrà negli Stati Uniti con cittadinanza americana e vivrà nella leggenda tra Los Angeles e New York. Morirà nel 1964, dopo aver pubblicato il suo libro di Ricordi e lettere e l’Autobiografia di una vita «sconsolatamente spregiudicata». La “tigre”, però, chiederà di essere sepolta al Grinzing di Vienna, accanto alla bella Manon Gropius e a Gustav Mahler. Colui che forse, sopra tutti, l’aveva amata e protetta.

Adele Boghetich

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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