Concorso Tchaikovsky

squarci di un luminoso futuro

Autore: Alessandro Tommasi

21 Luglio 2019
Raccontare quindici giorni di Concorso Tchaikovsky è una sfida impegnativa. Riassumere in qualche facciata tutto ciò che si sente, che si vede, che si impara in due settimane passate a Mosca a stretto contatto con la musica suonata ad altissimi livelli è pressoché impossibile. Ciò che si può fare, però, è dare un’impressione, uno sguardo, ripercorrendo giorno dopo giorno tutto ciò che si è svolto nella capitale russa grazie all’intenso lavoro dello staff organizzativo, dei responsabili dei pianoforti impegnati in lunghi turni notturni e dei musicisti stessi, alle prese con uno stress fisico e mentale quasi insostenibile. Il concorso, infatti, oltre alla celebre sezione pianoforte e a quella di violino a Mosca, offre anche la sezione di violoncello, canto lirico (maschile e femminile) e da quest’anno legni e ottoni, il tutto a San Pietroburgo. Si potrà ben comprendere dunque l’apparato organizzativo di questo evento quadriennale, vasto e maestoso come piace ai russi. Un unico appunto prima di cominciare: l’ottimo streaming curato da Medici.tv è sicuramente un’occasione preziosa per riascoltare e farsi un’idea dei musicisti, ma come ho potuto sperimentare ampiamente durante il Concorso, la differenza tra streaming ed esecuzione live è abissale, non riuscendo i microfoni a rendere le sfumature di suono, il giocare dei musicisti con l’acustica della sala o il loro riuscire a leggere e guidare il proprio pubblico. Non c’è da stupirsi dunque se alcuni pareri possano trovare solo parziale applicazione alle prove come potete sentirle sul sito dedicato al concorso.

L’Inaugurazione

Se c’è una cosa certa è che i russi sappiano come costruire una cerimonia maestosa. Non serve un grande dispiegamento di mezzi, è la solennità dell’istante a contare. Vedere tutti i membri delle diverse giurie andare a depositare un fiore sotto al monumento a Čajkovskij,  (Gergiev e il Deputy Prime Minister Olga Golodets inclusi, essendo gli organizzatori del Concorso), mentre un nugolo di personalità musicali affolla la piazzetta di fronte al Conservatorio ha un effetto indubbio. A completare la cerimonia le bandiere ben spiegate al vento, la splendida banda militare che esegue con solenne solidità brani che vanno da inni e marce alla musica di Čajkovskij e poi, ovviamente, un grande concerto di inaugurazione. Entrare per la prima volta nella Sala Grande del Conservatorio Čajkovskij e avvicinarsi a quel palco, quello su cui così tanti grandi musicisti si sono esibiti, quello su cui si è creata la musica russa da Nikolaj Rubinštejn in poi, ha un effetto particolare. Sapere che sessantuno anni fa Van Cliburn su quel palco vinse il primo Concorso Tchaikovsky e che ora tu sei lì ad assistere al concerto che aprirà la sedicesima edizione del Concorso, mentre Daniil Trifonov suona con l’Orchestra del Marinsky diretta da Gergiev il Primo Concerto di Čajkovskij, ebbene, rafforza quell’effetto. Del concerto di gala non c’è moltissimo da dire, il livello era altissimo, anche di Ariunbaatar Ganbaatar il baritono vincitore nel 2015 del Gran Prix (il premio speciale di 100.000$ assegnato ad uno tra tutti i primi premi) ed anche se un po’ di distrazione da evento celebrativo si è percepita, soprattutto nella mancanza di un’intesa perfetta tra pianista e direttore, il risultato è stato entusiasmante. Una volta terminato l’ultimo bis, una volta conclusosi l’ultimo applauso, era davvero cominciato il Concorso Tchaikovsky.

I quarti di Finale

Premessa: arrivare alle fasi finali del Concorso Tchaikovsky richiede già una severa selezione. Non stupisce quindi trovare già un’alta percentuale di musicisti interessanti già nella prima prova, che non di rado presentano profili artistici ben delineati e mezzi tecnici di altissimo livello, anche se il Concorso è ben noto per la sua discreta disorganizzazione e per gli annunci con pochissimo preavviso. Da ciò la decisione di scrivere nei vari paragrafi dedicati alle diverse fasi soprattutto dei musicisti che non sono passati, ma tra cui si nascondono musicisti di prim’ordine. La prima prova del Concorso prevedeva per i partecipanti l’esecuzione di un Preludio e Fuga di Bach a scelta dal Clavicembalo ben temperato, una sonata classica (Haydn, Clementi, Mozart o Beethoven), uno studio di Chopin, uno di Liszt, uno di Rachmaninov e uno o più brani di Čajkovskij.

Nel primo giorno abbiamo avuto modo di sentire Ming Xie, Yuchong Wu, Ke Yang Yi, Konstantin Yemelyanov, Dmitry Shishkin Tianxu An, Arseny Mun e Artem Yasynskyy. Un primo giorno che sicuramente ha sancito un ottimo standard nel concorso: particolarmente forti ne sono emersi Yemelyanov e Shishkin, che infatti sono passati, mentre abbastanza inaspettatamente è passato An, dopo una prova un po’ confusa. Buone le prove di Xie, Yang Yi e Mun, anche se alquanto instabile di tempo e fraseggio quella del primo, un po’ superficiale quella del secondo (alle prese con la temibile 101 di Beethoven) e ancora immaturo il terzo. Dei tre ricorderemo però le terze veramente surreali di Xie nello Studio op. 25 n. 6 di Chopin, libere e fluide come se fossero un glissando, un Preludio e Fuga di Bach (Sol maggiore dal primo volume del Clavicembalo) davvero fresco, leggero e gioioso con Yang Yi e una meravigliosa esecuzione della Dumka di Čajkovskij da parte di Mun. I due concorrenti che più mi hanno colpito, però sono stati il cinese Wu e l’ucraino Yasynskyy. Wu mi ha convinto in quanto è stato uno dei pochi a saper trovare davvero un suono diverso per ogni autore, sapendosi immergere nelle pieghe espressive di ogni compositore adattando il proprio tocco, che fosse un Preludio e Fuga di Bach, una Polka di Čajkovskij o l’op. 31 n. 3 di Beethoven, passando dalla ruvida severità alla concentrazione, dalla morbida eleganza all’esaltazione romantica. Memorabile il tema dal Tema e Variazioni op. 19 n. 6 di Čajkovskij, sospeso in un’atmosfera soffusa eppure perfettamente fraseggiato nella sua polifonia. Diverso Yasynskyy, che ha saputo però trovare un punto di incontro tra una propria chiara personalità, dai contorni nitidi e dalla sobria espressività, e le richieste di ogni brano del suo programma. Da lui abbiamo potuto sentire un’ottima Appassionata e uno splendido Preludio e Fuga di Bach (Sol minore dal secondo volume ), mentre la stanchezza ha un po’ afflitto gli studi di Rachmaninov e Liszt.

Artem Yasynskyy

Il secondo giorno è stato invece quasi prodigioso: è da questa giornata che arrivano molti dei Semifinalisti, nonché il primo, un secondo e un terzo premio. Ad esibirsi sono stati Andrey Gugnin, Alexander Gadjiev, Alexey Melnikov, Philipp Kopachevsky, Anton Yashkin, Alexandre Kantorow, Arseny Tarasevich-Nikolayev, Alim Beisembayev e Mao Fujita. Si fa prima a dire chi non è passato, ossia i soli Yashkin e Beisembayev. Sembra quasi irreale, ma la giornata ha offerto un candidato strepitoso dopo l’altro e quando ci si aspettava qualcuno di livello più modesto, il concorrente successivo era ancora  più bravo, ancora più interessante. Gli stessi due non ammessi alle Semifinali sono in realtà due dei concorrenti che avrei sperato passassero. Yashkin si è distinto per un suono ampio, maestoso e scuro, anche se non sempre ben modulato, e una tecnica adamantina. Ne è stata prova la fantastica esecuzione dell’op. 10 n. 4 di Chopin, non trasformato nell’usuale macina di note ma dal chiaro intento drammatico. Magnifici sarebbero stati i Quadri da un’esposizione previsti per la sua Semifinale, che avrebbero beneficiato moltissimo dell’ampiezza orchestrale del suo suono. Beisembayev invece è stato un concorrente alquanto sorprendente per la sua ingenua stravaganza. Il pianista è riuscito a convincere per la schietta onestà con cui ha condotto la sua prova, esaltando i dettagli della sua op. 10 n. 3 di Beethoven e al contempo offrendone una visione sobria, spigolosa, concentrata e coerente: uno di quei musicisti per cui l’aggettivo “interessante” non è un’elegante offesa ma un’effettiva caratteristica. Peccato non aver potuto sentire le Visions Fugitives di Prokofiev in Finale, ma come a Yashkin mancava varietà a Beisembayev manca ancora organicità, anche se comprensione del repertorio e personalità non gli difettano. Sugli altri musicisti non mi esprimo ancora, ma segnalerò la prima standing ovation del concorso, per l’incredibile prova del fanciullo giapponese Mao Fujita.

Il terzo giorno è stato più simile al primo, ma come il primo ha riservato non poche sorprese. Ad esibirsi sono stati Xiaoyu Liu, Kenneth Broberg, Albert Cano Smit, George Harliono, Alexander Malofeev, Sara Daneshpour, Anna Geniushene e Dohyun Kim. Broberg, Daneshpour, Geniushene e Kim sono passati alla prova successiva, ma stupisce moltissimo l’assenza di Malofeev, che le voci volevano un favorito, addirittura lanciato verso la sicura vittoria: un’ulteriore riprova dell’imprevedibilità dei Concorsi. Procedendo con ordine, la prova di Liu non si è distinta particolarmente ed è stata poco costante nei fraseggi e un po’ corsa, ma ci ha regalato un ottimo Studio op. 10 n. 4 di Chopin. Tesissimo lo spagnolo Albert Cano Smit, timido e rigido fin dal Preludio e Fuga di Bach, senza riuscire a decontrarre le spalle fino al conclusivo Studio op. 39 n. 9 di Rachmaninov, finalmente ben condotto, maestoso ed espressivo. Non migliore la prova di Harliono, un po’ dubbiosa, dalla pessima Appassionata di Beethoven, sia per un eccesso sonoro che per un approccio costantemente duro, teso e aggressivo persino nel secondo movimento. Meglio Harmonies du soir di Liszt, ancora un po’ inconsistente ma ben condotto nel climax. Per quanto riguarda Malofeev, possiamo dirlo, il giovane russo non ha suonato affatto bene: tutta la sua prova è stata assai rigida e aggressiva e si è riuscita a liberare solo nella meravigliosa Dumka di Čajkovskij, ma è caduta su un’Appassionata durissima e pestata, con un terzo movimento staccato al doppio del tempo per poi rallentare nel finale. Il giovane pianista ha sicuramente degli elementi impressionanti che non è riuscito ad esprimere durante la sua prova, ma a lui va tutta la stima per essere riuscito ad esibirsi nonostante il pesante lutto familiare che l’ha gravato una settimana prima del concorso. Ci saranno altre occasioni per lui.

Kenneth Broberg

 

Le Semifinali

Dai 25 concorrenti della prima prova si sarebbe dovuti passare a 12 per le Semifinali, ma la giuria ha optato per aggiungerne due, per l’alto livello: ciò significa in genere che due o più concorrenti si trovavano sugli stessi punteggi o si  trovava nel concorso qualcuno che doveva essere mandato avanti ma senza sacrificare altri candidati più interessanti. La seconda prova prevedeva un programma liberissimo: un’ora di repertorio a proprio scelta, ma che includesse almeno un importante brano russo.

Ad esibirsi il primo giorno sono stati Konstantin Yemelyanov, Dmitry Shishkin, Tianxu An, Andrey Gugnin, Alexander Gadjiev, Alexey Melnikov e Philipp Kopachevsky, di cui a passare sono stati Yemelyanov, Shishkin, An e Melnikov. Gugnin, già vincitore del Gina Bachauer, del Sidney e del Beethoven di Vienna, non ha certamente fatto delle prove poco riuscite ed anzi ha suonato in Semifinale ancor meglio che ai Quarti, dove aveva proposto una buona lettura della Waldstein e uno splendido Studio op. 25 n. 1 di Chopin ma era caduto su Wilde Jagd di Liszt (per i russi il via libera per pestare selvaggiamente). In seconda prova Gugnin ha suonato la Settima Sonata di Prokofiev con splendida condotta polifonica e grande sapienza timbrica, ma senza riuscire a portare il suono sui fortissimo che sembrava ricercare nello strumento. Non chiarissima la Partita di Bach/Rachmaninov e ben realizzata la Terza Sonata di Chopin, non particolarmente coinvolgente in generale ma con un meraviglioso canto nel terzo movimento, sussurrato e al contempo sempre chiaro e cantabile: descrivere l’impressione prodotta in Sala Grande è impossibile. Alexander Gadjiev, l’unico italiano nella sezione pianoforte del Tchaikovsky, si era già fatto notare ai Quarti per la personalità, ma ancora mancava di costanza e non aveva realizzato una prova che rendesse onore alle buone idee percepite nello Studio op. 39 n. 5 di Rachmaninov o nella Waldstein di Beethoven. Molto meglio la Semifinale, con un Après une lecture du Dante vario, contorto, dai decadenti odori preraffaelliti, con un gusto decadente che ha poi trovato perfetta dimora nella selezione di brani di Skrjabin, eseguiti con maestria e gusto superbi. Completo cambio di carattere con una magistrale Sesta Sonata di Prokofiev, in cui Gadjiev è riuscito a trovare un suono più ampio che si confacesse alla struttura architettonica e polifonica donata all’ampio affresco. Sulla prova di Kopachevsky esprimersi è invece assai complesso: non si può certo affermare che il pianista russo abbia suonato male, ma al Carnaval di Schumann mancava quello spirito schumanniano fatto di contrasti senza eccessi debordanti, eccessi che più di una volta hanno portato alla mente Quadri da un’esposizione assai più che i cicli del compositore tedesco. Non convincente anche la Canzona serenata di Medtner, cui mancavano le liquide atmosfere sognanti e Vers la flamme di Skrjabin, senza la dovuta concentrazione e visionarietà data da quei timbri extra-pianistici così richiesti dall’autore. Tutti i brani sono stati ben eseguiti, ma mancava sempre qualcosa, non si riusciva mai a centrare il carattere dell’autore. Poco interessante infine la trascrizione del Peer Gynt di Grieg/Ginsburg, cui è mancata la dimensione orchestrale, ma che non è stata aiutata dalle tinte kitsch del brano.

Alexander Gadjiev

Il secondo giorno si sono invece esibiti Alexandre Kantorow, Arseny Tarasevich-Nikolayev, Mao Fujita, Kenneth Broberg, Sara Daneshpour, Anna Geniushene e Dohyun Kim. Passati Kantorow, Fujita e Broberg. Di Tarasevich-Nikolayev, nipote di quella Tatiana Nikolayeva dedicataria dei 24 Preludi e Fuga di Shostakovich, si apprezza soprattutto la nobiltà: vi è un elemento aristocratico nel suo modo di suonare, che si è espresso soprattutto in prima prova tra Bach, Mozart e Čajkovskij, ma questo elemento lo ha anche assai bloccato in Semifinale. Alle prese con i Moments Musicaux di Rachmaninov, il pianista non è riuscito a cancellare l’impressione di star contando, di star frenando il discorso musicale nel tentativo di un controllo assai sterile. Meglio la Sesta di Prokofiev, realizzata però con un gusto smaccatamente tardo romantico nelle sonorità sì maestose ma senza quel nervo, senza quella tensione grottesca richiesta e senza la raffinata polifonia sentita in Gadjiev. Sara Daneshpour ha offerto uno dei programmi più belli del Concorso Tchaikovsky (Incises di Boulez, due estratti da L’arte della fuga di Bach, Barcarolle di Chopin e Ottava di Prokofiev), ma senza riuscire a rimanervi costante. Splendido l’approccio su Boulez, nitido e al contempo drammatico, ma già da Bach la pianista ha iniziato a mostrare alcuni dubbi e a perdere di chiarezza, perdendo sempre più il controllo in Chopin e riconquistandolo solo parzialmente su Prokofiev. Era andata meglio la sua prima prova, eccellente soprattutto nei passi di agilità e raffinatezza timbrica dall’op. 10 n. 8 di Chopin e da Gnomenreigen di Liszt. Al contrario molto meglio la Semifinale di Anna Geniushene, la quale se ai quarti era parsa un po’ titubante e insicura, pur regalando una Romanza di Čajkovskij di pura poesia, è invece riuscita a convincere pienamente su Humoreske, Berceuse heroïque di Debussy e Ottava di Prokofiev. Se confrontato con il Carnaval di Kopachevsky, Humoreske della Geniushene era nettamente più centrato come carattere, con rapidi scarti sonori che si mantenevano però sempre su un carattere da primo Ottocento tedesco, senza ridondanze tardo romantiche, ricca di fantasia e con alcuni dei momenti di più alta immersione musicale: indescrivibili gli istanti in cui tutta la Sala Grande ha sospeso il respiro. Bene Debussy, su cui però si poteva trovare più ricchezza timbrica, e benissimo l’Ottava di Prokofiev, affrontata con ben altro piglio rispetto alla Daneshpour, trovando i timbri oscuri e misteriosi e il carattere più maestoso che contraddistinguono l’ampia Sonata. In panico quasi totale invece Kim, partito molto bene con una splendida Barcarolle di Chopin, per perdere però il controllo sui 12 Studi op. 25 e infine cadere definitivamente su Petrouchka di Stravinskij, nonostante gli applausi assai calorosi del pubblico a sostegno del tesissimo pianista, che aveva decisamente suonato meglio in prima prova. Segnalo anche in questo caso la seconda e ultima standing ovation del concorso: di nuovo per Mao Fujita.

Mao Fujita

Le Finali

Ogni edizione del Concorso Tchaikosvky ha regole diverse. Se quattro anni fa alla Semifinale solistica si aggiungeva l’esecuzione di un Concerto di Mozart, quest’anno il Concorso si è compattato ancor più, passando direttamente alla difficile Finale con orchestra, che prevede l’esecuzione di due concerti per pianoforte e orchestra consecutivi, di cui uno dei due necessariamente di Čajkovskij. Anche in questo caso a passare sono stati più dei sei previsti. Sette concorrenti sono stati ammessi alle Finali: Konstantin Yemelyanov, Dmitry Shishkin, Tianxu An, Alexey Melnikov, Alexandre Kantorow, Mao Fujita e Kenneth Broberg. Nessun quinto o sesto posto assegnati, ma quarto posto ad An, insieme ad un premio speciale per il coraggio. Il giovane pianista cinese, è ormai ben noto, si è trovato nella sgradevole situazione di dover eseguire i due concerti previsti (il Primo di Čajkovskij e le Variazioni su un tema di Paganini di Rachmaninov) nell’ordine sbagliato, per un disguido organizzativo: l’incubo di ogni pianista, trovarsi in diretta streaming con centinaia di migliaia di spettatori, in Finale al Tchaikovsky, concentrarsi mezz’ora per iniziare con un concerto, per poi sentire l’orchestra iniziarne un altro. Anche per questo, sicuramente, le Rac-Paganini sono risultate molto imprecise ed eseguite in modo assai raffazzonato, ma bisogna dire che la presenza di An in Finale era quella che ha destato più sorpresa: nonostante delle ottime Brahms-Paganini (primo volume) in Semifinale le sue prove erano nettamente inferiori a quelle degli altri finalisti e non si riesce a cancellare l’impressione che il pianista cinese si trovasse in Finale prevalentemente in quanto unico rimasto a suonare lo Yangtze River, il pianoforte cinese a disposizione dei concorrenti insieme allo Steinway, allo Yamaha, al Fazioli e al Kawai. Riuscire comunque a tenere duro in quella situazione e a soli vent’anni riuscire a non farsi prendere dallo sconforto mantenendo dei nervi d’acciaio fa comunque onore al pianista, che ha anche dimostrato più volte nel concorso di crederci davvero e suonare con sincera passione.

concorso

Tianxu An

Ben ad un altro livello i tre terzi premi ex aequo: Kenneth Broberg, Alexey Melnikov e Konstantin Yemelyanov. Yemelyanov è stato il primo ad esibirsi con Primo di Čajkovskij e Terzo di Prokofiev, ma complice la stanchezza e un difficile rapporto con l’orchestra (una State Academic Symphony Orchestra in pessima forma e diretta in modo molto sommario da Vasily Petrenko) la prova non ha brillato quanto le sue precedenti. Il pianista russo aveva infatti regalato splendidi momenti nella Sonata di Barber in Semifinale e soprattutto in prima prova, dove tra Haydn e gli studi di Rachmaninov e Liszt fece una grandissima impressione. Memorabile l’affanno angosciante dell’op. 39 n. 6. Un po’ meglio Melnikov, anch’egli visibilmente stanco nell’affrontare la doppietta Primo di Čajkovskij e Terzo di Rachmaninov, ma il ventinovenne russo ha confezionato due dei momenti più alti dell’intero concorso: in prima prova un’Appassionata di Beethoven compatta, severa, tesa ma non romantica, e in seconda una Sonata di Liszt meravigliosa per maestosità e controllo, suono ampio e varietà di carattere. Ancora diverso l’americano Kenneth Broberg, che ha brillato soprattutto in Bach (tanto nel Preludio e Fuga della prima prova quanto nella splendida Toccata e Fuga in do minore della seconda) e nella Sonata di Barber e che in Finale ha offerto una spettacolare esecuzione delle Rac-Paganini, ma una resa più di forza e resistenza del successivo Primo di Čajkovskij. Il pianista americano riesce particolarmente quando deve rendere sul pianoforte le complicate trame polifoniche del suo programma, mostrando un controllo e una raffinatezza nella gestione dei piani sonori assolutamente meravigliosa. Notevole anche la mole di suono, che ha permesso a Broberg di non farsi mai coprire dall’orchestra in Finale.

Condiviso anche il secondo premio, tra il russo Shishkin e il fanciullino Fujita. Quello di Shishkin è stato un Concorso Tchaikovsky in ascesa, dopo una prima prova piuttosto quadrata e poco interessante al di là dello spolvero tecnico, per passare attraverso una Semifinale che ha mostrato qualche aspetto espressivo più convincente (l’eleganza un po’ decadente nel Secondo Scherzo di Chopin, le splendide atmosfere della Canzona Serenata di Medtner, l’ottimo meccanismo tecnico negli Studi op. 4 di Prokofiev) per concludere infine con un Primo di Čajkovskij e un Terzo di Prokofiev assai convincenti per resa tecnica ed esaltanti per scatto nervoso. A Shishkin sembrerebbe non mancare nulla, ma ciò che non convince fino in fondo è l’assenza di un modo di pensare la musica che riesca a superare il dettaglio per abbracciare frasi ampie e uno scorrere che non si areni in compartimenti stagni, oltre ad una tavolozza timbrica che sappia variare nell’attacco del tasto e nell’uso del pedale. Ascoltare il Debussy del galà di San Pietroburgo basta a comprenderne l’impostazione. Ma la brillantezza del pianista va riconosciuta, come il suo essere capace di infiammare il pubblico senza esasperare smorfie o gonfiare effetti: Dmitry Shishkin è sicuramente un pianista che il palco sa come tenerlo e che sa come cadere sempre in piedi. Su un altro livello musicale, però, Mao Fujita, l’unico ad esser riuscito a convincere il pubblico russo per ben due volte ad alzarsi in piedi. Le sue prove solistiche sono state tra le più belle del concorso e se la Finale con orchestra ha mostrato un discreto margine di miglioramento, soprattutto in termini di mole di suono, questo fa solo sperare ardentemente in un futuro ancora più luminoso. Ma cos’ha di speciale Fujita? Non parliamo solo di una tecnica limpida ed un controllo totale dello strumento (si ascoltino i passi di ottave dal Primo di Čajkovskij, con scarti dinamici vertiginosi, o la limpidezza di una meravigliosa Sonata K 330 di Mozart), parliamo di una semplice e totale aderenza tra l’esecutore e la musica eseguita, che oltre al talento tradisce la preparazione attentissima. Non si percepisce nel modo di suonare di Mao niente di gettato o abbozzato, ogni fraseggio è pensato e curato in modo che il peso della frase cada nel punto giusto (come nel secondo movimento dal Concerto di Čajkovskij), né c’è alcuna contorsione delle frasi alla ricerca di misteriose tensioni: valgano come esempio il tema dal Terzo di Rachmaninov, in cui la semplicità ha solo rafforzato la forza malinconica di quell’inizio soffuso, o la totale chiarezza architettonica della Settima di Prokofiev suonata in Semifinale. E ciò che conquista il pubblico, alla fine, è una fanciullesca gioia di suonare, la sincera felicità del poter condividere la musica che si ama e l’abilità di comunicare questo proprio approccio.

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Dmitry Shishkin con la State Academic Symphony Orchestra “Yevgeny Svetlanov” e Vasily Petrenko

Ma nonostante tutta la musicalità di Mao Fujita, l’assegnazione del primo premio al francese Alexandre Kantorow mi ha visto più che concorde: di solo un anno più grande, il francese ha mostrato una solidità tecnica e una maturità espressiva già da interprete affermato. Il modo in cui Kantorow ha costruito un proprio, personalissimo suono sul suo Kawai nelle prove solistiche, riuscendo a dare forma ad un lavoro enigmatico come la Seconda Sonata di Brahms, trovando sfumature timbriche da grande orchestra nell’Uccello di Fuoco di Stravinskij/Agosti e in Chasse neige di Liszt o della splendida Sonata op. 2 n. 2 di Beethoven. Alexandre Kantorow riesce a fondere una spontaneità musicale capace di grande leggerezza ad una ricerca espressiva estremamente consapevole. Non troveremo in lui, magari, la semplicità, la chiarezza o la limpidezza di Fujita, ma potremo trovarvi una assai più estesa gamma di situazioni timbriche ed espressive, dall’esaltazione variopinta di un Secondo Concerto di Čajkovskij all’appassionata sobrietà del Secondo Concerto di Brahms. Proprio questa scelta di repertorio l’ha senza dubbio premiato: nonostante un concorso decisamente non a risparmio, il francese è stato l’unico concorrente a non dare segni di stanchezza nella Finale, né fisica, né mentale. Terminare il temibile Secondo di Brahms con fresca leggiadria dopo il lungo e complesso Secondo di Čajkovskij, senza essere afflitti da alcun dubbio, senza perdere mai il filo del discorso né rallentare di fronte alle massicce richieste dei due concerti, era già di per sé un’impresa titanica, di quelle che o fallisci platealmente o ti fanno vincere il primo premio. E infatti, non a caso a Kantorow è andato anche il Gran Prix, tra tutti i vincitori del Concorso 2019.

Grande felicità dunque per questo podio, che tra tre terzi, due secondi e un primo meritatissimo ha saputo riunire alcune delle forze più interessanti di tutto il Concorso e dimostrare quanta varietà, quanta differenza esista nel pianismo di oggi, in cui alla prodezza tecnica si accompagna anche uno sguardo personale eppure profondo sulla musica che si esegue. Il Concorso Tchaikovsky è sicuramente anche questo: un atto di fiducia nei confronti del pianismo di oggi e di domani, un guanto di sfida nei confronti delle numerose età dell’oro che, come scrisse Kenneth Hamilton, si rincorrono nel passato fino all’invenzione stessa del recital. Ma come ha mostrato anche i galà dei vincitori di Mosca e San Pietroburgo, il futuro dell’interpretazione sembra decisamente luminoso.

concorso

Il primo premio e Gran Prix 2019, Alexandre Kantorow

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

Written by Alessandro Tommasi

Viaggiatore, organizzatore, giornalista e Pokémon Master, studia pianoforte a Bolzano, Padova e Roma e management culturale alla Rome Business School e alla Fondazione Fitzcarraldo. È Head of Artistic Administration della Gustav Mahler Jugendorchester e direttore artistico del Festival Cristofori e di Barco Teatro. Nel 2021 è stato Host degli Chopin Talk al Concorso Chopin di Varsavia. Nel 2020 ha pubblicato il suo primo libro, dedicato all'opera pianistica di Alfredo Casella. Dal 2019 è membro dell'Associazione Nazionale Critici Musicali.

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