Thema

l’omaggio a Joyce di Luciano Berio

Autore: Redazione

15 Maggio 2019

[blockquote cite=”Thema (Omaggio a Joyce) – Nota dell’autore” type=”left”]Versi, prosodia, rime non sono più assicurazione di poesia di quanto le note scritte siano assicurazione di musica. Spesso si trova più poesia nella prosa che nella poesia stessa e più musica nel linguaggio parlato e nel rumore che nei suoni musicali convenzionali.[/blockquote]

Rimasta a lungo ai margini delle correnti musicali più avanzate, l’Italia del secondo dopoguerra emerge divisa fra tradizione ed avanguardia, ma se da un lato molti compositori procedevano per strade già tracciate, dall’altro quei pochi che ricercavano ed elaboravano nuove forme di espressione trasformarono il nostro paese nel laboratorio delle tendenze musicali più avanzate. Tuttavia l’avanguardia è rimasta per lungo tempo un fenomeno minoritario in Italia, soffrendo una forte emarginazione dalle stagioni concertistiche tanto da dover emigrare a Darmstadt, cuore pulsante della neoavanguardia musicale di quel periodo dove, a partire dagli anni ‘50, un ristretto numero di musicisti aveva iniziato a partecipare ai corsi estivi di composizione. E fra essi (accanto a compositori quali Pierre Boulez e Karlheinz Stockhausen, o gli italiani Luigi Nono e Bruno Maderna) annoveriamo Luciano Berio, pioniere delle sperimentazioni musicali in Italia soprattutto nell’ambito della musica elettronica e della musica concreta, nuova corrente musicale basata sulla registrazione di fonti sonore naturali su nastro magnetico utilizzate come materiale creativo.

Negli anni che seguirono l’esperienza di Darmstadt, dove ebbe modo di sperimentare in prima persona il passaggio dalle tecniche dodecafoniche alla serialità integrale, Berio rivolse il suo interesse allo stretto rapporto che intercorre fra musica e linguaggio verbale, esplorando ed analizzando le potenzialità sonore presenti nelle unità linguistiche minime di cui i vocaboli sono composti al fine di restituire la parola come un vero e proprio evento sonoro. Analoga ricerca era stata in precedenza portata avanti già da Luigi Nono in Il canto sospeso, controverso capolavoro del 1956 nel quale il compositore omaggiò i martiri della resistenza utilizzando come testo verbale non una poesia d’autore, ma prosa epistolare di condannati a morte (Lettere di condannati a morte della Resistenza europea).

Il brano è diviso in nove episodi, ma per comprendere il lavoro che Berio compie è utile prendere in esame anzitutto il terzo, nel quale tre solisti (soprano, contralto e tenore, accompagnati dall’orchestra) espongono simultaneamente tre testi distinti: per primo il soprano canta «Mi portano a Kessariani per l’esecuzione», successivamente incalza il tenore con «M’impiccheranno nella piazza», e si inserisce infine il contralto intonando «Oggi ci fucileranno». Le distinte parti solistiche iniziano poi a comunicare, interagire e compenetrarsi fino a raggiungere un unisono testuale dal significato più ricco; Luigi Nono esaminò tale risultato spiegando che:

[blockquote cite=”L.Nono,” Testo-musica-canto”, Scritti e colloqui” type=”left”]«Qui non è stato creato un nuovo testo nel senso di una simbiosi di diversi contenuti semantici, ma la sovrapposizione dei tre testi, nei quali vengono comunicate situazioni analoghe, e cioè l’attimo che precede l’esecuzione da parte delle stesse vittime, ha dato luogo a un nuovo testo nel quale ciò che è comune alle tre situazioni risulta formulato con una intensità potenziata».[/blockquote]

Nello stesso anno il visionario compositore Karlheinz Stockhausen si affiancò all’indagine fonetica con Gesang Der Jünglinge, opera considerata il primo grande capolavoro della musica elettronica, all’interno della quale il musicista integra e miscela la voce di un bambino con suoni sintetici, riunendo per la prima volta i due mondi fino a quel momento opposti della musica elettronica tedesca e della musica concreta francese, dando vita ad una messa di suoni elettronici e voce. L’esperienza di Stockhausen sarà uno dei fondamentali modelli di riferimento per Berio, il quale però, a differenza di quanto avviene in Gesang, precisò di non aver sottoposto il proprio materiale compositivo a processi seriali, affidando piuttosto a criteri puramente percettivi le corrispondenze degli elementi.

Affascinato dalle indagini riguardanti il rapporto suono-parola, Berio affermava che «le parole si presentano anzitutto come musica», voce e linguaggio sono quindi un’unica imprescindibile unità di phonè e logos in cui l’onomatopea rappresenta lo stadio più primitivo dell’espressione musicale spontanea. Diretta conseguenza di questo interesse è la realizzazione di Thema. (Omaggio a Joyce) , brano elettroacustico del 1958 basato su un graduale sviluppo musicale dei soli elementi verbali proposti dalla lettura dell’Ulysses di Joyce. Thema prese forma presso lo Studio di Fonologia Musicale di Milano, primo studio italiano di musica elettronica fondato per iniziativa di Luciano Berio e Bruno Maderna, che in un breve arco di tempo divenne terzo polo europeo di sperimentazioni di musica contemporanea con apparecchiature elettroniche, rappresentando inoltre uno dei primi segnali di cambiamento culturale in Italia nella direzione della Nuova Musica. Nato inizialmente come laboratorio per esperimenti elettroacustici di carattere generale, quali radiocronache e radiocommedie, lo Studio divenne presto dimora delle indagini di Berio circa le nuove interazioni tra strumenti acustici e suoni prodotti elettronicamente, e Thema è l’opera che forse meglio riassume i risultati di queste singolari ricerche.

L’idea centrale di Thema è frutto della felice collaborazione tra Luciano Berio e Umberto Eco: l’opera era stata originariamente pensata per una trasmissione radiofonica, mai trasmessa, intitolata Omaggio a Joyce. Documento sulla qualità onomatopeica del linguaggio poetico, che andasse ad analizzare gli aspetti puramente sonori che le parole assumono all’interno di determinate circostanze, partendo dalle riflessioni sulla musicalità che caratterizza il linguaggio di Joyce nel suo celebre capolavoro Ulysses, romanzo all’epoca semisconosciuto in Italia poiché privo di una traduzione dall’inglese. A partire dalla lettura del testo, Berio analizzò e selezionò determinati fonemi in seguito sviluppati in maniera elettroacustica, mettendo in evidenza le peculiarità sonore, musicali e soprattutto onomatopeiche del lessico joyciano attraverso parziale lettura dell’introduzione al capitolo XI dell’Ulysses intitolato Sirens, associato dallo stesso Joyce all’arte della musica e definito un’ouverture al pranzo di Leopold Bloom presso l’Ormond bar descritto successivamente.

Nelle parole dello stesso Berio:

[blockquote cite=”Luciano Berio” type=”left”]«Il capitolo da me prescelto si colloca alle cinque del pomeriggio ed è consacrato a una tecnica musicale, la fuga per canonem, il contrappunto per intenderci. Joyce inizia con l’esporre il tema come si fa nella fuga prima di svilupparlo in contrappunto. Nella forma di associazioni sonore, il tema poetico ritornerà in seguito per essere sviluppato nell’arco di tutto il capitolo. La stessa forma musicale, dal punto di vista sonoro, è molto bella; Joyce insiste sulle labiali presenti nel nome di Bloom. Delle onomatopee molto forti precedono una sorta di cadenza di rumori bianchi quali psss, heard, pearls, laps, rhapsody… di saturazioni dello spettro vocale. Questa visione ci parve così bella che Umberto Eco e io fummo rapiti dalla lettura».[/blockquote]

È importante sottolineare che in Thema l’intenzione polifonica del testo non è da ricercare tanto nella scrittura, quanto piuttosto nella sovrapposizione di fatti e personaggi; attenendoci a quando scrisse Stuart Gilbert è infatti possibile individuare i soggetti della fuga nelle bariste dell’Ormond Bar, Bloom rappresenta la risposta, Boylan il controsoggetto, e gli ulteriori personaggi incarnano i vari episodi della fuga. Partendo da una struttura così intrinsecamente musicale, Berio sperimentò, come egli stesso disse,

[blockquote cite=”Luciano Berio” type=”left”]«una nuova possibilità di incontro tra la lettura di un testo poetico e la musica, senza che per questo l’unione debba necessariamente risolversi a beneficio di uno dei due sistemi espressivi: tentando, piuttosto, di rendere la parola capace di assimilare e di condizionare completamente il fatto musicale»[/blockquote]

Joyce descrive una Dublino allegra e melomane, racchiudendo i nuclei tematici e fonetici dell’episodio, che saranno poi ripresi e sviluppati durante la narrazione, all’interno dell’overture, che Giorgio Melchiori ha definito “una virtuosistica jonglerie verbale”:

Bronze by gold heard the hoofirons, steelyringingImperthnthn thnthnthn.
Chips, picking chips off rocky thumbnail, chips.
Horrid! And gold flushed more.
A husky fifenote blew.
Blew. Blue bloom is on the.
Goldpinnacled hair.
A jumping rose on satiny breast of satin, rose of Castile.
Trilling, trilling: Idolores.

[…]

È ben evidente come il protagonista joyciano sia contornato da un’infinità di suoni, che vanno dalle voci delle sirene/bariste che troneggiano dietro il bancone del bar, al tintinnio di bicchieri e posate, e al rumore di zoccoli di cavalli proveniente dall’esterno; all’interno di questo paesaggio sonoro l’autore scelse ed isolò una serie di temi fondamentali, inserendoli in una successione di Leitmotive privi di connessione propria. Berio definì questo testo una Klangfarbenmelodie, una melodia di timbri, nella quale Joyce ha voluto ricreare nel suo lessico riferimenti tipici dell’esecuzione musicale; e così ritroviamo lo staccato in chips picking chips, il trillo in imperthnthn thnthnthn , in Warbling. Ah, lure! l’appoggiatura, il glissando in A sail! A veil awave upon the waves”, e via dicendo.

Per quanto riguarda la realizzazione di Thema, Berio non utilizza suoni prodotti elettronicamente, l’unica sorgente sonora consiste nella registrazione della voce di Cathy Berberian, mezzosoprano all’epoca moglie del compositore, intenta a leggere il testo di Joyce nella sua versione inglese; accanto alla sua voce troviamo anche la lettura dello stesso testo in traduzione italiana (di Eugenio Montale) e francese (di Joyce e Valery Larbaud). Le letture, registrate su quattro canali differenti, furono poi elaborate in modo da isolare, evidenziare e ripetere in loop determinate parole e fonemi, inserendoli in un complesso gioco polifonico, un intreccio contrappuntistico in grado di mettere in evidenza le proprietà fonetiche di ciascun idioma.

Seguendo l’andamento del testo di Joyce, la prima operazione di Berio fu quella di sovrapporre per tre volte la lettura in inglese della Berberian su stessa, rendendola una polifonia a tre voci, ed apportando alcune prime modifiche nel tempo, mediante dei rallentando, e soprattutto nelle dinamiche, come illustrato nella figura che segue:

Fig. 1, Rapporti di tempo e dinamica nella lettura inglese (R. Doati, La messa in scena della parola).

Successivamente, al testo in francese con voce maschile ha sovrapposto una seconda lettura, utilizzando questa volta una voce femminile. Infine ha inserito la lettura del testo in traduzione italiana, utilizzando due voci maschili e una femminile:

Fig. 2, Tempo e dinamiche in lingua francese (una voce femminile e una maschile) e in lingua italiana (una voce femminile e due maschili).

Gli eventi sonori presenti in Thema si collocano su due poli: da un lato vi sono i suoni vocali privi di manipolazioni, chiaramente riconoscibili in quanto tali, dall’altro i suoni pesantemente modificati; tra i due estremi troviamo vari gradi intermedi di manipolazione che offrono diversi livelli di riconoscibilità. In base a quanto detto è possibile suddividere Thema in tre sezioni: le prime decine di secondi ed il minuto finale (rispettivamente sezione I e sezione III) sono relativamente più calmi e semplici, il testo musicale è maggiormente comprensibile ed accessibile, con numerosi termini riconoscibili e poche modifiche elettroniche. La sezione centrale (II), la più consistente, è invece movimentata e convulsa, il testo utilizzato è più denso e poco comprensibile, i suoni presenti sono per lo più brevi e frammentari e la musica risulta più confusa ed incalzante, con climax di vocaboli e fonemi, cluster di suoni ed occasionali momenti di maggior quieteA tal proposito riporto l’analisi di H. M. Bosma che trova in questa suddivisione tripartita corrispondenze con il mito omerico a cui il capitolo fa riferimento: individua nella prima sezione, formata da semplici ed ipnotici suoni, il lontano richiamo ammaliatore delle sirene; nella seconda Ulisse, giunto in loro prossimità, è ormai in balia del canto selvaggio ed asemantico; infine, nell’ultima sezione, l’eroe lontano dalle mortali seduttrici si ritrova immerso in una malinconica calma, suggerita all’ascoltatore dalla sequenza “alas … so sad … far”.

La principale fonte di materiale a cui Berio attinge è la lettura in inglese di Cathy Berberian, dalla lettura in italiano viene invece messo in risalto un elemento in particolare: la r di ‘morbida’, ripetuta periodicamente nell’intera lunghezza del brano e scelta per le sue particolari qualità, assenti sia nella lingua inglese che in quella francese. A seconda della lunghezza dei segmenti di testo utilizzati, i passaggi da una lingua all’altra avvengono in maniera più o meno rapida, senza venir mai percepiti dall’ascoltatore come una netta transizione da un contesto all’altro, bensì come un percorso musicale unitario. A tal fine, determinati eventi sonori vengono utilizzati come punto di passaggio fra i vari tipi di sonorità selezionati, in particolare Giacomo Fronzi sottolinea l’utilizzo della s, colore di fondo di tutto il brano ed enfatizzata numerose volte anche dal testo joyciano, per concatenare sequenze di consonanti tra loro differenti e rendere più fluida la transizione (s→ f→ v→ sz→ zh). Nonostante la sibilante sia presente per tutta la lunghezza di Thema, ci sono punti in cui emerge con maggior chiarezza, questo è soprattutto il caso del primo minuto, in cui la Berberian declama un testo che Berio trascrisse così:

[…]

[save]

a veil awave

throstle fluted

the spiked winding cold silent Liszt’s [ssssssssssss]

I feel

so lonely

blooming

Liszt’s rhapsodies [ssssssssss]

[…]

Luciano Berio ha successivamente dichiarato che Thema

[blockquote cite=”Luciano Berio” type=”left”]«è stata un’esperienza fondamentale che conteneva i semi di molti altri sviluppi. In realtà, dopo essermi occupato di Joyce, di questo specifico lavoro, mi sono interessato molto di più alle miracolose relazioni tra suono e significato. Il mio successivo lavoro per nastro, Visage, composto nel 1961, approfondisce questi significati, collegando alcuni aspetti del linguaggio (stereotipi, gesti e materiale non verbale) con la musica elettronica».[/blockquote]

Il fascino del linguaggio di cui Berio è vittima emerge infatti con chiarezza anche nei suoi successivi lavori oltre a Thema: oltre che in Visage, l’indagine su voce ed onomatopea approdò con Berio soprattutto nella Sequenza III, brano destinato a voce femminile (anche questo composto per la Berberian) costituito da sette brevi frasi aperte ad un certo numero di possibilità combinatorie, le quali vengono enunciate, cantate, recitate accompagnate da movimenti corporei della cantante stessa. La ricerca sul rapporto suono-parola rimase una costante nei lavori di Berio, consapevole che «[il musicista] può scoprire nella parola poetica significati nascosti e inattesi: può esplorare territori non musicali e dar loro un senso musicale contribuendo quindi alla ricerca poetica».

Possibile partitura di un frammento di Thema , elaborazione di Luciano Berio (Luciano Berio, “Scritti sulla musica”)

Lavinia Paolantonio

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

Articoli correlati