Modest Musorgskij

genio incompreso e martire dell’arte

Autore: Redazione

10 Gennaio 2019
La vita di Musorgskij durò poco più di quarant’anni, fu caratterizzata da un inizio oscuro, un brillante nucleo centrale e una fine disgraziata. Fu la vita di uno scapolo sregolato, distaccato dalla società; non fu mai desideroso di spiegare sé stesso o la sua arte agli altri, se non con metafore o iperboli. I suoi eventi erano i suoi amici e i suoi amici, i suoi mentori. Musorgskij si nutrì di forme musicali autoctone piuttosto che delle rigide, soffocanti regoletedesche” e per questo fu considerato un artista “realista”, sostenitore del popolo russo. Fu vittima di una cattiva direzione dei Teatri Imperiali, i quali rifiutarono i suoi lavori radicalmente innovativi, venne mal servito dagli amici da cui dipendeva e fu devastato ad intervalli regolari dalla morte o dalla perdita di coloro che gli erano vicini, cedendo così ad abitudini deplorevoli.
Musorgskij nacque il 9 marzo 1839 a Karevo, in una famiglia della piccola nobiltà terriera. Storie e
superstizioni ci svelano fin da subito una complicata condizione di sopravvivenza all’interno della famiglia.
Nel 1832, i Musorgskij avevano perso il primo figlio, Aleksej, all’età di due anni, a causa di un’epidemia locale; un anno dopo diedero alla luce un secondo figlio, sempre di nome Aleksej, che morì della stessa malattia nel 1835. Quando Julia Ivanovna, la madre, nel 1836, mise al mondo un terzo figlio, scelse di abbandonare l’intenzione di chiamarlo Aleksej (nome del nonno paterno) a favore di Filaret, nome piuttosto inusuale in Russia; qualche anno più tardi, schivato il rischio di una morte prematura, iniziò a chiamarlo tranquillamente con il nome di battesimo, Evgenij (“nato bene”), precedentemente conosciuto soltanto dai genitori e padrini. I biografi hanno ipotizzato che fosse questa la ragione dei nomi poco comuni dei figli della coppia: un modo per ingannare la Morte, che pareva sempre in grado di trovare un Aleksej.
Quando i Musorgskij ebbero un quarto figlio, il 9 marzo del 1839, fu nuovamente scelto un nome fuori dal comune: Modest, che significa “senza pretese, umile, colui che vive a un livello basso”. I due bambini superstiti furono cresciuti come figli preziosi, scampati al corso ordinario delle cose: la Morte. Così, il glorificare la sopravvivenza dei bambini, eludere e placare la Morte diventano i temi più fertili del compositore, quelli che avrebbero occupato il posto che altri musicisti contemporanei avevano riservato all’amore.

Mussorgskij
Dopo le dimissioni dal servizio militare, avvenute nella primavera del 1858, la famiglia divenne più presente
nella vita del compositore, fino al 1862 visse con la madre e nel ’63 con la famiglia del fratello. A dare inizio
all’alcolismo fu proprio questo suo attaccamento alla figura materna: quando 1865 lei morì, il giovane
cadde in una depressione profonda che provocò in lui un tremendo ed esteso periodo di abuso alcolico.
Dobrovenskij, nella sua biografia su Musorgskij, ci spiega che “Con il passare degli anni, [Musorgskij] non
crebbe separato dalla figura materna, come fanno la maggior parte delle persone, perseguendo l’interesse
di una vita indipendente. Lui non si separò mai interamente, non divenne mai autonomo”. Ritrovarsi orfano
fa soffrire ogni ragazzo, ma per Musorgskij fu veramente scioccante: non perdonò mai la Morte per questa
pena che gli inflisse. Privato dell’amore smisurato della madre, delle sue cure, del discreto sostegno
finanziario ma, soprattutto, della consapevolezza di essere organicamente al centro della vita di un’altra
persona, il giovane si ritrovò totalmente perso nel suo dolore.

La Morte è dunque un tema terribilmente concreto per Musorgskij, che più prova ad andare avanti con la
vita e più sente che questa si assottiglia. Così, afferrare e descrivere la Morte diventò per il compositore un
compito impellente: dall’incompiuta opera, Matrimonio, al “santo folle” solitario sul palcoscenico del Boris
Godunov, fino al suicidio di massa del quinto atto di Kovanščina, il racconto del declino della vita davanti
all’avanzare del tempo sarà un segno caratteristico del suo lavoro. Musorgskij comprese il ruolo che la
musica gioca nello scendere a patti con la Morte e, attraverso diversi stratagemmi drammaturgici e
musicali, la volle affrontare. In Kovanščina rappresenta la sua forza trasfigurativa: morire è un passaggio
che costringe chi ne è coinvolto ad esprimersi in modo nuovo. L’opera mette in scena la transizione della
vecchia Russia a quella nuova rappresentando, in tal modo, la morte di un’intera cultura: i “Vecchi
Credenti” vedevano nella Morte l’unica via di salvezza da uno stato ormai contaminato dalle nuove riforme
occidentali, nelle quali si palesava per loro la mano dell’Anticristo.

Nel ciclo vocale Canti e danze della morte, questa viene invece disegnata nel suo divenire attraverso un
personaggio immortale dotato di voce e forma concrete. Attraverso la musica, il compositore ci comunica
che i minacciati esseri mortali provano solo terrore davanti alla Morte. In ogni lirica è presente un accordo
dove la Morte trionfa indiscutibilmente sulla Vita, dopo il quale niente può sopravvivere sulla scena. “Lei”,
la protagonista del ciclo di Canti e danze, non avrebbe risparmiato neanche il narratore. La Morte, in questo
ciclo, viene descritta con odio e disprezzo, in quanto essa appare sempre prima del tempo e affamata di
vita umana, la distrugge con tutti i mezzi di cui dispone; la Morte di Canti e danze è eterna, priva di
significato e non c’è nessuna speranza nella risurrezione.

Davanti alla Morte ci si sente impotenti: inattesa, si prende le persone più care, chiudendoci in un dolore
profondo, accompagnato dal desiderio di non voler più andare avanti. I pensieri sono invasi da dubbi, ansie,
angosce e, in preda al timore, ci si ritrova obbligati a riorganizzare una vita che ha perso di significato. Una
vita in cui alla gioia ed alla spensieratezza si sono sostituiti sentimenti profondi di confusione, rabbia e
disperazione. L’anima fragile di Musorgskij non è mai riuscita ad accettare questo naturale processo, ritrovandosi, così, ad avere la Morte come ossessione e Musa ispiratrice. Consapevole della sua forza incommensurabile, ha affidato alla sua arte il compito di affrontare la sua più grande nemica, nonché unica vera compagna di vita. La musica di Musorgskij illustra la Morte guardandola coraggiosamente negli occhi, fino a farle abbassare lo sguardo: ovviamente il compositore sapeva di non poterla sconfiggere, ma sperava di poterla ingannare, distrarre, deviare su qualcun altro.

Da quando in Russia, nel 1861, entrò in vigore la nuova legislazione sull’Emancipazione, Musorgskij fu
oppresso da una continua diminuzione del reddito derivato dalle terre di famiglia. Senza il sostegno
necessario, il compositore non si scoraggiò, ma prese coraggio e diede vita ad un mondo musicale
drammatico capace di vivere autonomamente. Nel dicembre del 1863, accettò un impiego nella burocrazia
imperiale ma il salario per questo tipo di lavoro era un’elemosina, e non gli dava neanche la possibilità di
provvedere al proprio sostentamento. Non riuscendosi ad adattare alle nuove condizioni economiche, il
compositore finì più volte con l’isolarsi.

Intorno alla metà degli anni Sessanta troviamo il compositore intento a “rispecchiare onestamente in
musica la lingua parlata”, in quanto sente che, sia nelle istituzionalizzate tradizioni musicali, che in quelle
folcloristiche, l’individuo è costretto ad annullare la propria soggettività e ad autodisciplinare il proprio
sfogo personale a una forma prestabilita. Vedendo in questo la conferma d’impotenza del singolo davanti al
destino, Musorgskij, cercò la soluzione di sopravvivenza riappacificandosi con il proprio fato, usando, allo
stesso tempo, la propria creatività per fuggirlo ogni qual volta fosse stato possibile. Il compositore così,
provò a dare un profilo personalizzato ad ogni voce che udiva, catturando soprattutto tutte le singole,
preziose immagini perdute: sua madre, in primo luogo, archetipo della perdita destinata a ripetersi. Di
nuovo emerge un Musorgskij alla ricerca di vie di uscita da quelli che risultavano essere sistemi chiusi, di
nuovo emerge la sua volontà di ingannare la Morte. A questo stimolante percorso di ricerca, seguirono i
suoi primi “esperimenti di declamazione”, che attraverso un’espressione libera e spontanea, apriranno la
strada alla musica moderna.

Nell’autunno del 1874 Musorgskij prese in affitto un appartamento con il conte Kutuzov, al quale era unito
da un’amicizia profonda e da un intenso legame artistico; ma quando l’anno successivo, il conte si sposò e
dovette conseguentemente trasferirsi, Musorgskij cadde nuovamente nella sua irritazione nervosa. La
separazione dal conte Kutuzov fu sentita dal compositore come una perdita gravissima. All’amico scrisse:
“Tu hai scelto la tua strada, vai! Hai disprezzato tutto: la vuota allusione, la scanzonata tristezza
dell’amicizia, la mia fiducia in te e nei tuoi pensieri e nelle tue creazioni; hai disprezzato un grido che viene
dal cuore: sì, disprezzalo! Non sono io che devo giudicare”. La lettera reca l’indicazione “Di notte, senza
sole” come il titolo del ciclo di poesie che avevano scritto insieme nel 1874.

A partire dal 1875, Musorgskij appare trasandato, sia nei ritratti che nelle fotografie. Gli avvenimenti
quotidiani sono documentati con meno accuratezza. Le amicizie diventano più irregolari e nei resoconti
lasciati dai suoi vecchi amici si percepisce un senso di ansia crescente. Il pittore Il’ja Repin, dopo un incontro
con Stasov nell’estate del 1875, lascia un resoconto sullo stato d’animo dello storico piuttosto cupo: “Un
pensiero gli rodeva il cuore: non riusciva a smettere di pensare a Musorgskij! […] continuava a bombardare
tutti i suoi amici intimi di lettere, chiedendo notizie di Musorgskij, di quello sconosciuto misterioso che era
ora diventato, perché nessuno sapeva dove Musorgskij avesse nascosto sé stesso”.

La libertà nello scoprire nuove forme della musica e la sua assoluta intransigenza estetica furono pagate dal
compositore con più tormentose pene esistenziali e con un’incomprensione diffusa, protrattasi ben oltre la
sua vita. Musorgskij percepiva combinazioni di suoni che i suoi amici musicisti non percepivano e, senza
avere il temperamento per spiegare il suo mondo interiore e la forza vitale per sostenere la sua visione
creativa, rivelò il suo genio immedesimandosi nella sofferenza dei più sofferenti e più derelitti. Si identificò
con l’idiota innocente che, alla fine del Boris Godunov, invoca un pianto con “amare lacrime” sui tristi
destini del popolo; indossò gli stracci dello jurodivyj, il disgraziato scemo del villaggio che supplica
dolorosamente quell’amore che sa di non poter ricevere. Lo jurodivyj musorgskiano attraverso il suo
disperato delirio, rivela la sorte di ciò che sta avvenendo in scena, diventando l’incarnazione della afflitta
anima russa.

La devozione alla realtà, all’amore del popolo russo e al disprezzo per la sua miseria, spingeranno la musica
di Musorgskij verso un razionalismo limpido e chiaroveggente, capace di toccare le più profonde e vibranti
corde dell’anima che un musicista abbia mai fatto risuonare. Musorgskij, proprio grazie a quella sua totale
libertà melodica, armonica e ritmica che gli fruttò l’accusa di immaturità tecnica, ha dato vita a una musica
tra le più potenti, ricche e audaci che siano mai state create. Così lo stesso Musorgskij diviene la
personificazione del genio incompreso, archetipo dell’anima della terra russa e martire dell’arte.

Gioia Bertuccini

 

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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