Intervista a Ivo Pogorelich: “il potere della volontà va oltre la capacità umana”

La nostra intervista a uno dei geni del pianoforte ancora in attività

Autore: Valerio Sebastiani

5 Ottobre 2018

Ivo Pogorelich ha chiuso la prima edizione del Festival Cristofori di Padova. La carriera del pianista croato procede spedita dagli anni ’80, alternando in maniera costante concerti strabilianti e registrazioni che, a detta dello stesso compositore, “devono servire da veri e propri documenti per la storia”. Moltissimo si è scritto sulle interpretazioni di Pogorelich, sia cose belle che brutte, sia ovvie che meno ovvie, cercando di scandagliare le ragioni della sua creatività interpretativa e del suo esuberante – e sempre rinnovato – rapporto con la tradizione pianistica romantica e tardo-romantica. Pertanto, con questa intervista, abbiamo voluto andare oltre le ragioni delle sue interpretazioni così radicali e schiette – di cui lo stesso Pogorelich non ha grande piacere di parlare – per entrare nel profondo del suo rapporto con la pratica pianistica, dentro e fuori le sale da concerto, ma anche con la società odierna.

Musica e politica

Una cosa che vorrei sapere riguarda una dichiarazione di qualche anno fa, sul fatto che non voleva che le sue mani si sporcassero con la politica. Tuttavia ha sempre pensato alla musica come a una terapia negli interessi del suo pubblico e delle persone.

Qui dobbiamo tornare indietro, vedi, tu appartieni a una generazione che non ha idea… per esempio quando ero un bambino non capivo il terrore della Seconda Guerra Mondiale, era impossibile, ma le persone della generazione precedente potevano spiegarlo. Se per esempio dicessi a te qualcosa sul mondo politico negli anni ’60, ’70 o ’80, quando l’arte era impiegata dagli stati per scopi di glorificazione o promozione o propaganda, oggi tutto questo non si potrebbe immaginare, perché viviamo in un villaggio globale che dà accesso a chiunque tu voglia e a qualunque istituzione tu voglia. Ma al tempo non era così: quindi in quei giorni, nella mia gioventù, ero una persona che aveva visto esempi concreti di come un artista possa avvicinarsi troppo ad alcune tendenze politiche. Volevo essere libero da questo, non volevo appartenere ad alcun gruppo o partito, a niente che non avesse strettamente a che fare con la musica. E a volte era difficile resistere perché da giovane è facile entrare senza pensare in una situazione in cui teoricamente si è lì per suonare, ma in pratica c’è un’altra ragione dietro, e capire improvvisamente da ciò che stai facendo che sei parte di un trend o di un’onda che non ha a che fare con le tue convinzioni. Quindi sono stato molto attento. Attività umanitaria sì, l’ho sempre fatta e probabilmente continuerò a farne: attività culturali e umanitarie. Ma mai in alcuna formazione, mai parte di un gruppo o clan. Questo è il senso. E forse è un modo di vivere più costoso perché sei sempre solo un individuo.

Effettivamente al giorno d’oggi è cambiata la prospettiva, i social media sono diventati più pervasivi. Un artista deve interfacciarsi con questa comunicazione molto costante e immediata. Lei si sente in sinergia con questo ambito, oppure non le interessa?

Non gli resisto, ma neppure partecipo per fare auto-promozione. Perché il più grande errore che le persone stanno facendo è che cercano di impiegare i social media per il proprio interesse. Questo è sbagliato e le persone lo percepiscono immediatamente. Quindi non ho problemi se qualcuno vuole farsi una foto con me e metterla da qualche parte in modo che i suoi amici la vedano va bene, ma personalmente non partecipo attivamente. Sia perché non ho tempo sia perché penso che, sai, nella nostra lingua diciamo, forse si dice anche in italiano, “la polvere si alza quando è passato un buon cavallo”, quindi significa che un buon cavallo scompiglia la polvere. Un cavallo… basta che sia un buon cavallo, capisci? Non devo usare social media, devo essere bravo in ciò che faccio.

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Il lavoro dell’interprete

Quale pensa sia il suo ruolo oltre la sala da concerto?

Non c’è tempo… devo dedicare completamente me stesso a… Ti mostro una cosa: sono arrivato a Padova direttamente dalla registrazione della Sonata di Rachmaninov, ti faccio vedere tre campioni differenti del lavoro di preparazione, e a casa ne ho altri due o tre. Solo per farti vedere i differenti stadi di preparazione.

[Pogorelich a questo punto stende sul pavimento tre spartiti della Sonata n.2 di Rachmaninov, usurati dalle mani che li hanno sfogliati centinaia di volte; sulla carta segni fittissimi, di diversi colori e intensità di tratto; qua e là punti esclamativi e parole incomprensibili.]

Questo è uno… questo il più recente.

Sembra che lei sia tornato molte volte sul pezzo…

Sì, come ti ho detto conosco i pezzi da più di venti anni, quindi quando finisco lo spazio per la matita uso quelle colorate… guarda qui… tutti i miei segni durante l’esercizio, li annoto per non perderli, ma anche per fare paragoni più tardi. Per farti capire quanto tempo richieda il mio lavoro… questo è il più recente, vedi che è pieno di segni diversi.

Quindi la sua interpretazione di un pezzo è il risultato di una sintesi di tutti i suoi appunti sulle diverse partiture, una sorta di stratificazione.

Sì esatto, ma ogni volta la priorità va a qualcosa che mi interessa di più. E quindi nel momento della registrazione il mio scopo era unire il pezzo, liberarlo dal cattivo gusto, rimuovere le incomprensioni sulla musica di Rachmaninov, specialmente nella cultura tedesca. Perché i tedeschi lo considerano un talentuoso compositore, la cui musica è sull’orlo del kitsch, e non è vero, a essere kitsch è il modo in cui viene suonato. In America si è fatto spesso uno showbusiness della sua figura di compositore, in Russia si è cercato di ‘russificarlo’, pur non essendo russo, etnicamente. ‘Rach’ non è una radice russa del nome, è molto antica, come in Rachel. Era al tempo in cui gli ebrei, la razza semitica, comunicavano con le altre etnie e quindi questa radice è stata ‘russificata’ successivamente. Quindi ci sono dei concetti errati sulla sua musica, e io volevo la massima intensità in ogni segmento, ma allo stesso tempo volevo unificare… e questi sono compiti difficili per una sola interpretazione. Ecco perché la registrazione mi è costata tanta fatica. Gli ultimi giorni prima della partenza da Lugano per l’Austria ho scoperto qualcosa che avevo cercato per molto tempo e all’improvviso è arrivata come un raggio di luce… Picasso, quando gli chiesero se credesse nell’ispirazione, rispose: “Sì, devi invitarla, normalmente viene da 8 o 9 ore di duro lavoro”. E questo è quanto è successo a me! Il giorno prima della registrazione, ho eseguito una porzione del primo movimento e all’improvviso ho sentito un raggio di luce, che in qualche modo è venuto verso l’alto [ride], ed è qualcosa che in tanti anni non ho mai sentito, una piena soddisfazione, dopo cosi tanti concerti e così via… Mi considero molto fortunato che sia capitato prima del concerto e non dopo!

Durante le registrazioni nota qualche cambiamento, qualche…

Non solo quello, noto anche delle qualità del suono che non avevo sentito prima, e mi sorprende e rende felice, beh… presto potrai sentirlo anche tu quindi non devo dire troppo.

Ma anche durante una perfomance live?

Durante un concerto a volte sperimento, in parole comuni, il tocco di un angelo… ma accade spesso durante le prove e quando avviene è molto interessante. Quando sei solo nella sala da concerto c’è una certa magia, avrai notato che sto con il pianoforte fino all’ultimo momento… perché? Perché voglio scaldarlo. Fai un paragone: le ballerine usano il loro corpo quindi lo riscaldano prima di salire sul palco, un violinista ha il violino con sé, un pianista lascia lo strumento sul palco e se ne va per mezz’ora mentre entra il pubblico, il piano si raffredda, le mani si raffreddano, e lui deve esibirsi… Questo è sbagliato perché il contatto deve essere mantenuto con il pianoforte. Quello che intendo è che per esempio quando entri in un grande teatro d’opera e hai il piano e l’acustica… è un momento prezioso durante la prova perché all’improvviso senti qualcosa, o ti convinci di sentire qualcosa, in modo diverso. E poi succede. È molto naturale, sai.

Mi sembra di capire che tra una performance registrata in studio e un concerto per lei ci siano enormi differenze…

Totalmente, ma non solo. Sono due discipline diverse, un live non ha niente a che fare con una registrazione perché è una particolare variazione della tua interpretazione. Perché una registrazione è un documento soggetto alla tua stessa volontà, quindi hai il ruolo di interprete ma anche un approccio critico che non può adattarsi a una performance singola, perché nelle registrazioni cerchi la massima espressione delle tue intenzioni, e hai la possibilità e la libertà di ripeterla in modo da arrivare alla massima espressione. Quindi è una disciplina completamente diversa, ecco perché valuto poco le registrazioni illegali su Youtube, non le trovo di valore. Il pianoforte non era scelto dall’esecutore, così come l’acustica e le condizioni in cui si trovava, magari non si sentiva riposato, aveva qualcosa che interferisse, magari pioveva o nevicava e non si sentiva al pieno delle possibilità. Ma nelle registrazioni il potere della volontà e dell’idea va oltre la capacità umana, devi superare te stesso, in russo dicono ‘non puoi saltare al di sopra della tua testa’, ma è esattamente cosa devi fare quando registri… 

Artista, pubblico e musica come professione

È come se non sentissi il tempo passare, una sorta di camera di cristallo…

Sì ma la cosa che voglio dire è molto semplice: uno sportivo si sta preparando per le olimpiadi, vince la medaglia d’oro ma poi supera anche il record del mondo, questo è ciò che intendo. Quindi devi imporre dall’alto la tua volontà e innalzarti nella registrazione per offrire più sostanza, perché il microfono non riesce a cogliere tutto, nel settanta per cento dei casi ti ritrovi a essere solo con te stesso, anche in maniera molto autoreferenziale, ma quella registrazione è soprattutto un documento, quindi devi dare di più per garantire la vita di quel documento… è molto complesso.

E durante il concerto riesce a percepire le reazioni del pubblico? Questo ha un qualche effetto sulla sua performance?

Assolutamente, già nel momento in cui salgo sul palco sento com’è composto il pubblico, sento le aspettative, sento anche senza guardare le proporzioni tra le generazioni, più giovani o vecchi.

Alfred Cortot molto tempo fa disse che “un artista non lavora, ma cerca sé stesso”. Lei è d’accordo?

Questo è un ottimo esempio, ma la preparazione è la ricetta dell’arte degli strumenti. Quindi sì, cercare sé stesso assolutamente, ma è molto semplice: maggiore la preparazione, migliore il risultato. Ovviamente è un lavoro su te stesso, devi sentirti soddisfatto durante il processo e a volte non ti ci senti e ti irriti…

E lei lo percepisce come un lavoro… non solo un lavoro di preparazione fisico, ma anche qualcosa che riguarda l’abitudine…

…e anche il sacrificio, non ci sono molte cose che puoi fare al di fuori. Per la maggior parte delle persone è normale andare al cinema, quando ho tempo io di andare al cinema i film sono già usciti dalle sale… ci sono limitazioni… è anche un lavoro atletico, devo spendere tempo ogni giorno.


Cosa è cambiato dagli anni ’80, quando ha iniziato a suonare?

In realtà poco è cambiato, sono contento di dire che i miei criteri erano tali che non ho avuto bisogno di cambiarli, sono molto fortunato. All’inizio dell’intervista mi hai chiesto una cosa riguardo al proteggere me stesso attraverso l’arte, e di non fare altre cose… ti faccio un esempio: mi hanno fatto offerte per film a Hollywood, qualcuno al mio posto avrebbe detto di sì, ma è un lavoro diverso e non volevo… Quindi si sceglie un principio che non si ha bisogno di cambiare più tardi nella propria vita… è molto facile, più complesso all’inizio certo, ma poi continui ad essere te stesso. E così hai una considerazione dell’arte e della musica che è perpetua, non devi mai abbandonare il principio che ‘io sono un servo del compositore’. E il compositore è la figura prominente. Quindi io ho un pianoforte, ho un compositore di fronte e nonostante ciò devo necessariamente metterci qualcosa di mio. È uno sforzo, certo, però fatto per dare vita alla composizione.

Certo, lei ha grande responsabilità di tenere viva la musica, anche di spogliarla da alcune interpretazioni che possono averla contraffatta…

La cosa più straordinaria, ad esempio nell’ultima registrazione [della Sonata n.2 di Rachmaninov, ndr] ho realizzato qualcosa di molto significativo: nella maggior parte delle registrazioni il metodo che usiamo è diventato cosi sofisticato, che non può essere copiato. Sai chi è l’unico autore che non è stato mai copiato, non hanno neanche mai provato? Ci sono centinaia di falsi Rubens, Rembrandt, che devono essere controllati nella loro autenticità, ma un solo pittore nessun falsario ha cercato di emulare, perché apparirebbe immediatamente… perché nessuno conosceva il segreto della sua tecnica. Velázquez! L’unico ad aver avuto successo nel dipingere l’aria! Nei suoi dipinti puoi vedere l’aria tra le persone. I falsi sono cosi evidenti che non hanno nemmeno tentato. Quindi è interessante che molti dei metodi che sono stati usati da noi non possono essere stati copiati,  causa dell’evoluzione del metodo stesso – questo punto è molto importante. Ad esempio quando hai visto questi tre spartiti, al loro interno ci sono vari stadi di evoluzione e vari metodi di usare la versatilità degli strumenti espressivi del piano, inclusi tastiera e pedali. È stato sorprendente anche per me perché non me ne sono accorto durante il lavoro ma quando ho sentito la registrazione ho pensato ‘ah, non l’avrei suonata così molti anni fa, l’avrei fatta forse meno magnificente, meno sofisticata’. Quindi è anche un documento della mia stessa evoluzione, per me stesso.

Un’ultima curiosità: arriverà mai la musica contemporanea nel suo repertorio?

Per me tutto è contemporaneo, tutto deve essere vivo, forse ci sarà musica scritta tra qualche anno che suonerò, è possibile ed è interessante il pensiero. Non sono informato sulla musica più recente, per quello avrei bisogno di andare a qualche festival, ma semplicemente non seguo la musica contemporanea in un modo che mi renderebbe capace di interpretarla.

È come se il passato non avesse ancora esaurito la sua potenza…

È interessante che nella musica contemporanea i talenti avranno modo di dimostrare di esserlo, quindi forse stiamo parlando ora di questo, ma domani da qualche parte apparirà una brillante composizione di cui sentirò parlare, sarà interessante, la studierò, tutto qui!

 

 

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

Written by Valerio Sebastiani

Classe 1992. Laureato in Musicologia all’Università “La Sapienza” di Roma, ha studiato Pianoforte presso il Conservatorio “Licinio Refice” di Frosinone. Ha frequentato i corsi del MaDAMM (Master in Direzione Artistica e Management Musicale) tenuti dall’Istituto Musicale “Luigi Boccherini” di Lucca. Attualmente è assistente alla direzione artistica dell'Accademia Filarmonica Romana e consulente scientifico della Treccani. Ha svolto attività di ricerca presso l’Akademie der Künste di Berlino e per conto dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Milita in Quinte Parallele dal 2016.

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