"Die Schöne Müllerin" di Schubert

Il primo ciclo liederistico di Franz Schubert, Die Schöne Müllerin, “La bella mugnaia”, sancisce nel 1821 la consacrazione definitiva di un genere, il Lied per voce e pianoforte, che fino ad allora era rimasto escluso dalla scena della musica colta. Essendo infatti un tipo di composizione rivolto ad un consumo piuttosto largo, destinato ai salotti pubblici e privati delle città di fine Settecento ed inizio Ottocento, era considerato “di serie B” e di basso valore artistico, quasi dilettantistico o commerciale.

La liederistica imperfetta di Beethoven

La smentita potrebbe apparire evidente ed immediata: pochi anni prima, nel 1816, Ludwig van Beethoven aveva composto il fortunato ciclo An die ferne Geliebte , “All’amata lontana”, opera 98, che presenta una certa affinità tematica con quello schubertiano — il ritratto della donna desiderata attraverso il riflesso nella natura —, e in parte dal carattere innovativo, trattandosi di un susseguirsi di sei canti senza soluzione di continuità, unico tratto originale della composizione. Nell’ampio catalogo beethoveniano si contano altri numerosi esempi di Lied per voce solista e pianoforte, come del resto se ne conterebbero innumerevoli andando a setacciare le opere di compositori meno blasonati, dal carattere più o meno serio, come ad esempio La Marmotte, parte degli otto Lieder op. 52, dal carattere spiccatamente rusticheggiante e vicino anch’esso a certe evocazioni schubertiane. La sostanza della nostra tesi tuttavia non cambia: i Lieder beethoveniani, seppur musicalmente riusciti ed indiscutibilmente gradevoli, non ebbero la stessa importanza e fama delle altre composizioni del maestro di Bonn, ben più rilevanti in quanto a “peso specifico”, come le Sinfonie, le Sonate e i Quartetti; quasi che, a confermare la tendenza generale, egli stesso ritenesse questo genere marginale e ne avesse dunque un interesse minore, motivo per il quale i suoi risultati sono privi di una direzione unitaria e di un marchio proprio ed originale. Solo con Schubert, pur debitore nei confronti del grande predecessore, il Lied acquisisce dignità pari agli altri generi di musica colta ed un’originalità che ne farà il marchio di fabbrica del compositore.

Un’origine complicata

L’origine della raccolta Die Schöne Müllerin è piuttosto articolata. Il ciclo di poemetti è opera di Wilhelm Müller, poeta tedesco che frequentava gli ambienti borghesi della Berlino di inizio secolo in cui andavano diffondendosi, come in tutta l’Europa centro-occidentale, salotti musicali e culturali sotto diversi nomi come quello di Hausmusik.

Liederspiele: Rose die Müllerin

In uno di questi contesti, il salone della famiglia di Friedrich August von Staegemann in Berlino, Wilhelm Müller partecipa al Liderspiele intitolato Rose die Müllerin insieme ad altri letterati membri della camerata: Hedwig Staegemann, padrona di casa, nel ruolo di Rose, la bella mugnaia corteggiata, Luise Hensel nel ruolo della giovane del giardiniere e Wilhelm Hensel, suo fratello, nel ruolo del Cacciatore.
Il Liederspiel era un genere di rappresentazione piuttosto diffuso negli ambienti borghesi del tempo ed era simile al Vaudeville francese. Tuttavia, a differenza delle commedie comiche e frivole francesi e delle arie artistiche delle opere italiane, il Liederspiel predilige materiale sentimentale, spesso patriottico, con intermezzi musicali di canto popolare. Il confine con altri generi di teatro musicale è molto fluido trattandosi di un connubio di poesia, rappresentazione teatrale e musica che perciò presenta strette somiglianze ed evidenti legami anche con il Singspiel tedesco e con i cicli poetici chiamati appunto Liederkreis. Questa piccola digressione su un genere dalla fortuna ristretta è utile per comprendere come Müller abbia concepito la Schöne Müllerin, le cui prime 15 poesie nascono tra il 1816 e il 1817, biennio di fioritura del Liderspiele Rose die Müllerin.

I fratelli Wilhelm e Luise Hensel

Diverse versioni in musica

Già nel 1819 il pianista e compositore Ludwig Berger, anch’egli membro attivo del salone sociale berlinese dove conobbe sicuramente Müller, aveva composto la musica per un ciclo di dieci Lieder per solista e pianoforte, dal lungo titolo Gesänge aus einem gesellschaftlichen Liederspiel die Schöne Müllerin, opera 11 dell’autore, i cui testi sono tratti in numero di 5 da quelli di Müller, mentre la restante metà sono autografi degli altri partecipanti al circolo, in particolare di Luise Hensel, Hedwig Staegemann e Wilhelm Hensel.

Quello di Berger è solo il primo di una lunga serie di intonazioni delle poesie mulleriane da parte di diversi compositori. Berger era per altro maestro di pianoforte di Fanny Mendelsshon, sorella del noto Felix e moglie del sovracitato Wilhelm Hensel, la quale sfruttò a sua volta tre poesie della Schöne Müllerin per comporre tre Lieder nel 1823.
Il 1823 è anche l’anno della pubblicazione del ciclo che si analizza in questa sede, Die Schöne Müllerin di Franz Schubert, il quale sceglie 20 dei 25 Lieder di Müller dalla versione del ciclo nel frattempo edita nella sua forma definitiva del 1821, all’interno di una raccolta più ampia intitolata Siebenundsiebzig Gedichte aus den hinterlassenen Papiren eines reisenden Waldhornisten, “77 poesie dai fogli lasciati di un cornista viaggiatore”, il cui sottotitolo recita, secondo il gusto romantico “da leggersi in inverno”.

La tematica

Occorre inoltre specificare come la figura del mugnaio innamorato sia con ogni probabilità la rappresentazione stessa dell’amore non corrisposto che Wilhelm Müller provava verso Luise, situazione sentimentale analoga anche a quella di Ludwig Berger, da cui capiamo perché anch’egli abbia trovato ispirazione nei Lieder mulleriani.
La figura protagonista del ciclo è quella di un giovane mugnaio che narra in prima persona il suo amore per una giovane e bella mugnaia, la quale al contrario non interviene mai in modo diretto e non ricambia il sentimento del primo. La passione amorosa del giovane, a causa del rifiuto ricevuto e dell’avvento di un rivale, diviene passio di dolore, portando il giovane a cercare rifugio e ristoro dapprima nella natura, poi nella morte, unica via di fuga.
La natura appunto funge da specchio per le emozioni del protagonista e ne riflette infatti la coscienza, personificandosi nel ruscelletto, Bachlein, unico interlocutore del mugnaio, cui egli confida i propri sentimenti e le proprie delusioni, fino ad abbandonarsi all’abbraccio della morte nei suoi flutti.
Il ruscello, presente come elemento di dialogo anche nel Liederkreis successivo di Schubert, Die Wintereisse (1828, nuovamente su testi di Wilhelm Müller), è l’elemento legante di tutta la raccolta, e unito alla tematica dell’amore infelice genera un’interessante riflessione che attraversa tutta la storia della musica e presenta importanti rimandi con la letteratura.

Modelli letterari

È evidente come l’argomento amoroso dei Lieder mulleriani sia conforme ad un gusto tutto europeo per il romanzo che si sviluppa e cresce a dismisura proprio sul finire del diciottesimo secolo e con l’inizio del successivo.
Se Beethoven rappresenta per la musica una sorta di pianta secolare che affonda le radici nel classicismo settecentesco e permette dalla sua cima di aprire lo sguardo al romanticismo, stagliandosi eroicamente sul bosco e gettando una lunga ombra sugli alberi nascituri, così in letteratura colui che, pur immanente al proprio tempo, si erge al di sopra della tradizione per aprire alla novità, nell’epoca che dai fervori rivoluzionari porta alla restaurazione passando per la disillusione napoleonica, è Johann Wolfgang von Goethe, anch’egli modello di riferimento ed influenzatore delle generazioni future, in particolare con il suo romanzo epistolare, seppure in maniera non altrettanto incombente come per l’eredità beethoveniana.

Heloise, Werther, Ortis

I dolori del giovane Werther è l’opera letteraria forse più fortunata e rivoluzionaria di Goethe. Si tratta appunto di un romanzo epistolare, genere molto noto e diffuso nell’Europa del Settecento, amato da uomini e donne di diversa età ed estrazione sociale, la cui tradizione vede grandi nomi come Richardson, Smollet, Montesquieu, Laclos, Balzac e Rousseau. Il suo fortunato Julie, ou la Nouvelle Heloise è un romanzo epistolare che rientra nella struttura formale detta, con una metafora musicale, “sinfonica”, in cui ovvero i fatti vengono narrati al lettore attraverso le missive di più personaggi, e dunque letti ed interpretati secondo differenti punti di vista. Al di là dell’aspetto evidente delle passioni, rappresentate per la prima volta con toni decisamente erotici e quasi scandalosi, è utile alla nostra analisi evidenziare il rapporto tra uomo e natura che sussiste nell’opera di Rousseau e confrontarlo con le medesime relazioni nei successivi romanzi di questo genere. Questa dicotomia nell’Heloise è intesa in maniera tipicamente rousseauiana secondo una visione di tipo positivo, caratteristica appunto del pensiero filosofico dell’autore, per cui la Natura, mater, è essenzialmente buona verso l’uomo.
Agli antipodi la visione foscoliana di questa dialettica all’interno delle Ultime lettere di Jacopo Ortis, romanzo anch’esso epistolare ma distante anni luce dal precedente francese dal punto di vista contenutistico e formale. La forma muta, come già nel Werther, da quella “sinfonica” sovracitata a quella “monodica”, in cui i fatti vengono narrati sì attraverso la corrispondenza, ma il lettore non vede mai le risposte del destinatario, pur conscio della loro esistenza. In tal modo, e attraverso le delucidazioni di uno pseudo-editore, narratore diegetico, dunque partecipe ma mai onnisciente, chi legge è obbligato ad immedesimarsi totalmente nel protagonista, nella sua visione dei fatti e nei suoi sentimenti. Lo stesso contenuto, apparentemente conforme alla tradizione, quella di un amore infelice, è in realtà profondamente mutato: protagonista non è la passione dei due amanti,ma sono le passioni in senso lato, in primis quella politica, aggravata da quella amorosa, che esacerbano la disperazione contro «l’ingenito amor della vita» e concorrono a portare il protagonista verso la scelta premeditata della morte. Qui il rapporto tra uomo e natura non è più figlio della ragione illuminista, semmai del disincanto e della sfiducia verso la società e la politica, pertanto è permeato di un pessimismo già quasi leopardiano, per cui la natura, come nella Ginestra e nel dialogo con l’Islandese, appare matrigna e crudele, e anche i momenti idillici e contemplativi sono sempre soppiantati da visioni orride che aumentano la disperazione dell’anima.

La morte di Jacopo Ortis, Teofilo Patini

La via di mezzo tra questi due mondi e modi interpretativi sta proprio nel romanzo goethiano, il Werther, ed è qui che si ricollega anche la nostra raccolta di lieder. Nell’opera in lingua tedesca avviene lo scarto tra la tradizione illuminista a modello Rousseau e la futura generazione romantica, grazie al recupero della forma monodica, più efficace per coinvolgere il lettore, e all’inserimento nella vicenda amorosa di connotati sociali del tempo, in particolare il disagio e l’alienazione di Werther verso la nascente borghesia come verso l’aristocrazia. La stessa visione della natura assume i caratteri che saranno tipici del romanticismo: accanto a momenti ancora arcadici e di idillio pastorale subentra in massa il gusto per l’orrido, il sublime, il selvaggio, connotati che vanno sotto il nome di primitivismo o ossianismo. Tuttavia questi elementi non sono ancora preponderanti e caricati di pessimismo come nell’Ortis, ma seguono una parabola che procede parallela al corso della vicenda amorosa e dei sentimenti del giovane innamorato. Dunque dalla tiepida primavera in cui si apre il romanzo, con i suoi paesaggi sereni, si prosegue nell’estate, esplosione di gioia e di colori, culmine della passione, per poi dirigersi verso l’autunno, in cui l’anima inizia ad ingiallire lentamente, fino a precipitare nel grigiore e nel gelo dell’inverno, in cui il protagonista si dà la morte. Così nel Liederkreis di Müller, la natura gioviale e sorridente dei primi canti si carica mano a mano dei sentimenti e delle emozioni del mugnaio che facendosi sempre più cupi la fanno apparire sempre meno accogliente e più ostile, tanto che lo stesso colore verde diventa simbolo di malvagità. Lo stesso ruscello, come uno specchio, riflette l’animo dell’innamorato, che come Narciso infine vi annega dentro, ma in questo caso a causa della disperazione, come unica via di fuga dal dolore.

Influenze su Müller e Schubert

È molto probabile pertanto, alla luce della grande influenza che ebbe il Werther in ambito letterario ed artistico (addirittura nel campo dell’abbigliamento!) nell’ambiente mitteleuropeo, che anche Wilhelm Müller e Franz Schubert ebbero modo di conoscere approfonditamente l’opera di Goethe ed apprezzarne, traendone spunto, le tematiche amorose e le frequenti vedute paesaggistiche di sapore primitivistico.

Meno congetturale e più esplicito è invece il chiaro riferimento ad una serie di componimenti dello stesso Goethe, le Ballate del mulino, tra cui Der Edelknabe und die Müllerin, che presenta nel suo incipit le stesse parole di un Lied della raccolta mulleriana: Wohin, wohin?/Schöne Müllerin!
Così per Schubert, l’amore per Goethe non è sicuramente nascosto, ma un dato di fatto visti i numerosi Lieder dell’autore da lui messi in musica.

Semantica musicale

Giustificato il contesto letterario, la tematica amorosa e lo sfondo naturalistico, dal paesaggio emerge in particolare il ruscello, che come anticipato rimanda dal punto di vista della storia della musica ad un grande numero di confronti.

Werther rappresentato allo scrittoio abbigliato secondo la descrizione che ne fa Goethe: la potenza e l’influenza del romanzo sull’immaginario collettivo, soprattutto in Germania, fu tale da creare una vera e propria moda del vestirsi “alla Werther” oltre che ad indurre molti giovani a seguire la sorte del protagonista suicidandosi per amore.

L’acqua in musica

L’elemento acqua ha in musica un ruolo molto importante, essendo stato spesso fonte di ispirazione ed oggetto di tentata imitazione. Già di per sé l’acqua nelle sue varie forme richiama in modo ineguagliabile la musica, sia essa il flebile e regolare tintinnio di una goccia d’acqua, il fragoroso scrosciare di un’imponente cascata, o il lento sciabordio delle onde del mare. Sicuramente questo elemento ha dunque giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo della civiltà musicale, unitamente agli elementi della natura cui sempre ogni forma d’arte si è ispirata, ne sono testimonianza gli strumenti che imitano il suono dell’acqua come i cosiddetti tamburi e tubi del mare o della pioggia.
Per quanto riguarda l’acqua come fonte di ispirazione nella musica colta occidentale, l’imitazione “primitiva”, pura e semplice, diviene una trasposizione attraverso l’uso dell’armonia nel sistema musicale tonale e temperato. Si tratta quindi evidentemente di un processo imitativo molto più complesso, frutto di una civiltà culturalmente molto sviluppata, che non è più riproduzione diretta ma mediata attraverso l’uso di simboli, ovvero delle note in quanto suoni. Anche in questo contesto moderno, per trovare una vera e verosimile imitazione musicale dell’elemento acqua bisogna attendere diversi secoli e con essi una certa maturità ed emancipazione del linguaggio poetico-musicale. I primi componimenti di epoca barocca che fanno riferimento all’acqua nei loro titoli, sono infatti ben lungi dall’essere concepiti come una vera rappresentazione musicale dell’elemento; semmai la nomenclatura è dovuta alle circostanze in cui avvenivano le esibizioni di musica dal vivo o ad altre ragioni di tipo comunque non programmatico. L’esempio più chiarificante è la famosa suite di danze dal titolo Water Music o meglio Musica da eseguirsi nella cerimonia sull’acqua composta da Handel per sua maestà il Re Giorgio I di Inghilterra.

Un illustre precedente

Tuttavia l’acqua, nella forma di goccia o fiume, cascata e ruscello, diviene sempre più spesso musa ispiratrice per composizioni in grado di creare suggestioni e stimolare l’immaginazione. L’esempio migliore, che si ergerà a modello, in mezzo ad un repertorio in realtà vastissimo di composizioni più o meno descrittive, è la Sinfonia op. 68 di Beethoven, detta “Pastorale”, che nei suoi cinque movimenti ne vede uno intitolato Szene am Bach, Scena presso il ruscello, ed un altro Gewitter, Sturm, Lampo e tempesta.
Questo, il quarto movimento, è letteralmente, come recita il titolo, un fulmine a ciel sereno nella storia della musica, per l’efficacia della resa musicale dell’intento imitativo, con l’organico ed i mezzi a disposizione nell’anno 1808.
Tuttavia la volontà di Beethoven non è di comporre un’opera esclusivamente descrittiva e raffigurativa della natura, l’autore semmai descrive quello che è il suo rapporto ed i suoi sentimenti verso di essa, come recita il primo movimento Risveglio di liete impressioni all’arrivo in campagna, lasciando all’ascoltatore la possibilità di immaginare l’orizzonte di un locus amoenus sottointeso ma non specificato. Siamo ancora ben lungi dalle raffigurazioni musicali del pieno e tardo romanticismo, come le tempeste dei Rossini, Wagner, Verdi, Strauss o le gocce d’acqua di Chopin e Debussy.

Beethoven presso il ruscello nella campagna viennese dove avrebbe composto parte della Pastorale

D’altra parte questa noluntas rappresentativa di Beethoven non esclude, nella citata Scena al ruscello, l’utilizzo di alcuni vocaboli musicali tipicamente descrittivi che richiamano in modo inequivocabile lo scorrere dell’acqua e i versi degli uccelli, quasi sicuramente acquisiti dalla lunga tradizione “musico-ornitologica” preesistente. Il tema iniziale arpeggiato all’unisono da violini secondi, viole e dai due violoncelli solisti è un chiaro rimando allo scorrere inesorabile di questo corso d’acqua non ben identificato, un flusso che prosegue per tutto il movimento e viene interrotto solo nel finale dall’irruzione quasi teatrale dei richiami di tre uccelli dei tanti che si avvicendano sulle sponde del rio. Espressamente indicati in partitura, un usignolo, una quaglia ed un cuculo dialogano tra loro con una resa assolutamente onomatopeica e sembrano fermare lo scorrere del tempo, oltre quello dell’acqua.
Il ruscello della Pastorale sembra così confluire in modo spontaneo in quello della Schöne Müllerin, geograficamente e temporalmente molto vicina, in modo particolare in alcuni passi nella realizzazione, in questo caso pianistica, di un accompagnamento dal carattere fluido e circolare come l’andamento dell’acqua nel suo letto.

I Lieder della Schöne Müllerin di Schubert

Si passa ora ad analizzare singolarmente, senza pretese analitiche nel senso strettamente critico e musicale del termine, i Lieder del ciclo schubertiano, nel farlo si consiglia al lettore interessato, che avesse il piacere di addentrarsi nella lettura, di usare come riferimenti a portata di mano o meglio di clic, il testo tradotto dei singoli canti e di ascoltare gli stessi con l’ausilio della partitura. La lettura può essere comunque interessante anche per chi non mastica il linguaggio tecnico della musica.

Imprinting circolare

Il primo Lied del ciclo schubertiano, Das Wandern, è un quadretto di genere che ci introduce in modo efficace al carattere generale dell’opera. Il titolo, un verbo sostantivato, è traducibile con “il vagare”, o meglio “il girovagare”, per affinità con il titolo della raccolta del ’21 e con la figura tipicamente romantica del viandante. Questo movimento circolare del mugnaio-viandante è appreso direttamente dall’acqua, come ci dice egli stesso, infatti è grazie all’azione del ruscello che si mette in moto la ruota del mulino e a sua volta la macina al suo interno. La stessa pietra, ruotando, è come se trasmettesse a sua volta due tipi di movimento al mugnaio, quasi per induzione, uno di tipo statico, circolare, l’altro invece di fuga, alla ricerca dell’amore. Dal punto di vista musicale, Schubert ci presenta un brano molto semplice ed efficace: una forma strofica dal ritmo binario fortemente cadenzato, che ricorda il passo regolare del viandante.
Il carattere apparentemente semplice e rustico di questo Lied d’apertura, che ricorda in questo senso il citato Lied di Beethoven La marmotte dalla raccolta di otto Lieder op. 52, denota in realtà un avvenuto cambio di mentalità in quella che è la scrittura per voce ed accompagnamento.

Altra notevole somiglianza, come fa notare Georgyades, sia dal punto di vista caratteriale sia da quello prettamente metrico e musicale si ha con la famosa aria d’opera Der vogelfanger bin ich ja dallo Zauberfloten di Mozart. Trattasi dell’aria di sortita di Papageno, con la quale si presenta in qualità di Uccellatore e con il suo carattere semplice e schietto. Da un raffronto tra gli spartiti delle due composizioni appare evidente già a colpo d’occhio la simmetria e corrispondenza per quanto riguarda l’andamento ritmico e in parte anche quello melodico dei due brani. Ora, il trattamento della voce da parte dei due autori è in realtà molto differente, in primis a causa del contesto completamente differente dei due brani vocali: il primo da eseguirsi con l’accompagnamento pianistico in un ambiente cameristico, il secondo sostenuto dall’orchestra in un teatro. La canzonetta mozartiana in questo senso è basata su un denso intreccio melodico tra voce e orchestra che a più rimandi si richiamano tra loro. A prevalere dunque è proprio l’aspetto melodico e complessivo della composizione: anche senza l’apporto vocale delle parole di Papageno, il pezzo chiuso conserva il suo senso musicale in modo autonomo.

 Al contrario, nei Lieder schubertiani, compreso questo, la voce viene adagiata sull’accompagnamento, senza lasciarsi attraversare e influenzare da esso, dunque non ci troviamo più di fronte ad un trattamento di tipo classicistico del canto. Tuttavia, pur nella maggior indipendenza di voce e accompagnamento, la composizione nel suo complesso è incentrata sulla voce molto più di quanto non lo siano le arie mozartiane; non solo, non si tratta solo di un’importanza melodica della linea vocale, ma in particolare anche delle parole, tramite le quali acquisisce senso e forma compiuti.

Canto programmatico

Il secondo Lied della raccolta di Schubert-Müller, Wohin?, “Verso dove?”, è strettamente legato al primo, ed ancor più di questo costituisce il vero incipit programmatico del ciclo. In esso compare per la prima volta il ruscello, presente solo sullo sfondo nel primo canto, che diventerà compagno essenziale del mugnaio per tutta la durata della raccolta. L’innamorato si rivolge al corso d’acqua, ponendogli tre domande:

Ist das denn meine Straße?                È questa la mia strada?
O Bächlein, sprich, wohin?                 O ruscelletto, parla, dove si va?
Was sag ich denn vom Rauschen?     Ma che dico del tuo mormorio?

Dal punto di vista contenutistico dunque il secondo componimento è incentrato sull’indecisione del mugnaio, che tuttavia, nonostante i dubbi, decide alla fine di assecondare il proprio istinto alla ricerca dell’amore seguendo quel presentimento che sembra dargli il ruscello. Questo è un topos tipico della poesia romantica, quello della contrapposizione tra ragione e sentimento, tra pensiero ed agire.

Ich hört’ ein Bächlein rauschen     Sentivo mormorare un ruscelletto
Wohl aus dem Felsenquell,           dalla sorgente nella roccia,
Hinab zum Tale rauschen              mormorava fin giù nella valle,
So frisch und wunderhell.             così fresco e limpido.
Ich weiß nicht, wie mir wurde.      Non so come mi venne in mente,
Nicht wer den Rat mir gab,           né chi mi consigliò,
Ich mußte auch hinunter               anch’io dovetti scendere a valle,
Mit meinem Wanderstab.             col mio bastone da viandante.
Hinunter und immer weiter          Giù e sempre avanti,
Und immer dem Bache nach,       sempre dietro al ruscello,
Und immer frischer rauschte        che sempre più fresco mormorava
Und immer heller der Bach.          e sempre più chiaro diventava.
Ist das denn meine Straße?            È questa la mia strada?
O Bächlein, sprich, wohin?             O ruscelletto, parla, dove si va?
Du hast mit deinem Rauschen       Con questo tuo mormorio
Mir ganz berauscht den Sinn.        m’hai del tutto annebbiato la mente.
Was sag ich denn vom Rauschen?  Ma che dico del tuo mormorio?
Das kann kein Rauschen sein:         Non può essere mormorio:
Es singen wohl die Nixen                è il canto delle Ondine
Tief unten ihren Reihn.                    che danzano laggiù.
Laß singen, Gesell, laß rauschen      Lascia cantare, mormorare, amico,
Und wandre fröhlich nach!                          e segui lieto!
Es gehn ja Mühlenräder                  Si muovono le ruote dei mulini
In jedem klaren Bach.                      in ogni chiaro ruscelletto!

Dal punto di vista poetico, questo componimento di Müller trova un notevole antecedente in alcune poesie di Wolfgang Goethe, le “Ballate del mulino”, in particolare Der Edelknabe und die Müllerin (Il giovane e la mugnaia) e Der Junggesell und der Mühlbach (Il giovane e il ruscello del mulino), i quali contengono alcuni versi testualmente identici a quelli mulleriani:
Wohin? Wohin? Schöne Müllerin! Wie heißt du?
Dove vai, dove vai? Bella mugnaia! Qual è il tuo nome?
Wo willst du, klares Bächlein, hin So munter? […]Was suchst du eilig in dem Tal? So höre doch und sprich einmal!
Dove vai chiaro ruscello così allegro? Per cosa ti stai affrettando nella valle? Quindi ascolta e parla!

Per quanto riguarda invece l’interpretazione musicale realizzata da Schubert, essa a differenza del primo Lied abbandona la forma semplicemente strofica per una più complessa costruzione tripartita che ha origine dalle strofe e dal loro contenuto: le prime tre fungono da esposizione, la quarta e l’inizio della quinta, in cui sono contenute le domande del mugnaio, consistono lo sviluppo, infine i restanti versi dedicati alle “ondine” sono una sorta di ripresa variata. La scrittura musicale utilizzata da Schubert è molto interessante in quanto utilizza una sovrapposizione di strati che rispecchia il contenuto poetico del canto, ovvero la contrapposizione tra azione e pensiero. Questa stratificazione è di tipo ritmico: alla melodia in tempo binario corrisponde un accompagnamento ternario, il tutto sostenuto per diversi tratti da una sorta di bordone, che tuttavia può recedere per lasciare spazio al raddoppio della linea vocale proprio nel momento in cui vengono declamati i fatidici versi rivolti al ruscello, così da sottolineare il carattere del mugnaio, il significato del brano e di tutta la raccolta.

Come nel caso di Das Wandern, anche per questo Lied il termine di paragone è ancora Mozart con il suo Zauberfloten, ed ancora il personaggio di Papageno con l’aria Ein Madchen oder Weibchen (per altro ripresa anche da Beethoven nelle variazioni per violoncello e pianoforte op 66), che dal punto di vista metrico e ritmico è nuovamente coincidente a Wohin?.

Mulino di Gillingham – John Constable, 1824, olio su tela, Fitzwilliam Museum, Cambridge.

Fermata e Ringraziamento

Il lied successivo della Schöne Müllerin schubertiana è Halt!, imperativo che comunica da subito il carattere del brano, in cui il mugnaio, giunto davanti ad un mulino nel suo seguire il ruscello, crede grazie a questo di aver trovato la dimora della sua amata, dunque vi si ferma in contemplazione. Il un momento di apparente felicità lascia intravedere tuttavia l’ombra della tristezza nell’assordante rumore della ruota, Rädergebraus, che sovrasta il mormorio del flusso. Schubert in modo simile a quanto fatto in precedenza, compone a strati, realizzando efficacemente una linea melodica lieta disturbata da un accompagnamento molto concitato. La domanda finale, contenuta negli ultimi due versi
Ei, Bächlein, liebes Bächlein, / War es also gemeint?
(Oh ruscelletto, caro ruscelletto, /questo dunque intendevi?)

viene reiterata quattro volte per sottolinearne il peso, e non solo, essa viene immediatamente ripresa da Müller all’inizio del Lied successivo, Danksagung an den Bach, per altre due volte. Questo “Ringraziamento al ruscello” è di fatto il momento più lieto dell’intero ciclo, infatti il mugnaio, seppur continui a domandarsi come sia arrivato fin lì, è soddisfatto di quanto ha trovato: un lavoro e la sua donna ideale, alla quale non deve fare altro che dichiararsi.

Anticipazioni di disillusione

Così accade nel succesivo Am feierabend, in cui il mugnaio ha finalmente l’occasione di manifestare i suoi sentimenti alla bella mugnaia, tuttavia si scopre un uomo comune, senza grandi qualità in grado di fare innamorare la donna, che lo congeda in modo freddo e banale, così come generico e distaccato è l’apprezzamento del lavoro da parte del padrone. Dal punto di vista formale per la prima volta Schubert interviene in modo davvero determinante sul testo, facendolo diventare strofico tramite la ripetizione integrale della prima strofe al termine del brano, dal carattere più deciso e drammatico rispetto al carattere triste e calmo dei versi in cui vengono descritti il riposo e i pensieri del mugnaio.

Il ruscello, temporaneamente passato in secondo piano, torna immediatamente nel Lied successivo, “Il curioso”, Der Neugierige, tuttavia si è fatto taciturno e misterioso rispetto ai primi canti della raccolta, e sembra non voler dare sollievo al tormento del giovane innamorato, non pronunciando quel sì che egli attende in risposta al dubbio sull’amore della giovane. La reticenza è suggerita da un momento di silenzio che precede la terza strofe, diretta esplicitamente al ruscello, oltre che dal breve e triste postludio che conclude il Lied dopo la fatidica domanda: “lei mi ama?” che si perde nel vuoto. Questo Lied, così come Des Müllers Blumen e Die liebe Farbe, più avanti nella raccolta, è stato messo in musica anche da Fanny Mendelsshon, sorella del noto Felix, nello stesso anno della pubblicazione schubertiana, il 1823.

Smania e contemplazione

Il nostro Bachlein viene accantonato nuovamente per i due Lied successivi, Ungeduld (Impazienza) e Morgengruß (Saluto mattutino), dal carattere reciprocamente contrastante. Il primo, come recita il titolo, rende con molta efficacia la smania del mugnaio innamorato nella sua voglia di dimostrare alla donna tutto il suo amore e la frustrazione nascosta del sapere di non essere corrisposto, ha dunque un andamento molto mosso e concitato. Al contrario, il secondo di questi due lieder è un calmo e disteso ritratto della giovane da parte del mugnaio che la guarda, o immagina di farlo, da lontano. Dal punto di vista poetico è un componimento ricco di figure e topoi romantici quali le azzurre stelle mattutine per gli occhi della giovane, e l’allodola simbolo dell’amore che annuncia il sorgere del sole.

Fiori e lacrime

Des Müllers Blumen è l’unico dei lieder mulleriani ad essere stato intonato sia da Schubert che da Ludwig Berger e Fanny Mendelsshon, dunque lo si può ritenere fortunata fonte d’ispirazione per i compositori. I “Fiori del mugnaio” sono quelli che il protagonista vorrebbe piantare sotto la finestra dell’amata, portandoveli dalle rive del ruscello. Analogamente al clima romantico del lied precedente, anche questo è colmo di figure classicheggianti come l’accostamento tra gli occhi azzurri della ragazza e il colore dei “non ti scordar di me”, che al mattino sono bagnati di rugiada, ovvero delle lacrime del giovane. Queste lacrime sono le stesse del canto successivo, Tränenregen, in cui ancora protagonisti sono i fiori azzurri (cioè gli occhi) ed il ruscello. Dal punto di vista poetico e della vicenda del ciclo, questo sembra essere il momento di maggiore intimità tra il mugnaio e la mugnaia, senza che questo comporti tuttavia la felicità del primo. Alla serena contemplazione della natura, nella quale i due sembrano ritrovarsi, subentra infatti un elemento di disturbo, che altro non fa che rendere evidente ancora una volta il disinteresse dell’amata, pronta e sbrigativa nell’andarsene: il profilarsi della pioggia. Schubert in questo caso non realizza come si potrebbe immaginare una rappresentazione musicale delle gocce d’acqua o dell’esplosione di un temporale, tuttavia è maestro nel trasformare in musica il percorso emotivo che vive il mugnaio in questa circostanza. Delle sette strofe di quattro versi di cui si compone il Lied, le prime sei narrano semplicemente l’assorta contemplazione della natura dei due giovani, mentre nell’ultima all’improvviso si rompe questo incanto e la situazione precipita. Il compositore pertanto tratta le prime sei strofe raggruppandole a coppie e ripetendo una semplice forma strofica; nell’ultima invece segue un discorso nuovo, reso evidente in particolare dal passaggio dalla tonalità maggiore a quella omonima minore, per sottolineare la drammaticità del momento, in cui tuttavia le parole della ragazza “Arriva la pioggia, addio, io torno a casa” sono nuovamente intonate in modo maggiore, per evidenziarne la totale serenità e indifferenza. Il breve postludio termina invece in minore, in accordo con il triste disincanto dell’innamorato.

Il carro di fieno – John Constable, 1821; olio su tela, National Gallery, Londra

Sfogo di rabbia

Il canto successivo del ciclo mulleriano dà sfogo a tutta la rabbia del mugnaio, in Mein! intima alla natura, nel ruscello e negli uccelli, e all’uomo, nella ruota del mulino, di tacere e fermarsi per lasciare spazio al suo grido di sconforto, unico modo di appropiarsi di un amore irraggiungibile: Die geliebte Müllerin ist mein! , “L’amata mugnaia è mia!”, affermazione reiterata più volte da Schubert all’interno del brano, su armonie cupe ed instabili.
L’ordine del mugnaio al ruscello sembra avere effetto, dato che esso sparisce momentaneamente dalla raccolta per diversi Lieder.

Verde tristezza

In Pause Schubert abbandona decisamente il riferimento anche minimo ad una forma strofica, per valorizzare una scrittura musicale di tipo continuo, che si va adattando e modellando ai versi e al significato delle parole (una sorta di Durchkomponiert ante litteram). L’accompagnamento, al basso, presenta per lunghi tratti un effetto coloristico di carattere molto rustico e popolareggiante, consistente in una sorta di bordone formato da due note che creano tra loro una quinta vuota, conferendo una sensazione di incompiutezza e sospensione al discorso musicale. Il componimento è formato da due sole strofe, piuttosto lunghe, ma il compositore per l’appunto scrive basandosi su ciò che viene descritto verso per verso. Così alle parole del quarto verso “L’acuto dolore della mia nostalgia”, dopo la descrizione iniziale del liuto in disuso appeso alla parete, corrisponde una modulazione dalla tonalità maggiore alla relativa minore. Così la seconda parte, che inizia al nono verso dopo una corona e cadenza del pianoforte, recita “Ah, com’è grande il peso della mia felicità”, presenta un nuovo incremento dal punto di vista armonico con una serie di accordi dissonanti suonati molto forte. La seconda strofe ripresenta con una sorta di ripresa il tema iniziale, tuttavia questa volta si interrompe nuovamente su una corona, che porta ad una modulazione del tutto singolare, presentando la stessa linea tematica, ma alla tonalità un tono più bassa rispetto a quella principale (dunque non una tonalità “vicina”, come si dice nel linguaggio armonico). Il tono discendente in musica è sempre vocabolo di tristezza, sinonimo e rappresentazione della resa dell’uomo davanti alle difficoltà, specialmente a partire dal romanticismo tedesco e con una grande fortuna per tutto il secolo fino ad autori come Wagner e Mahler; dunque anche in questo caso è strumento armonico utilizzato da Schubert per rendere al meglio il significato in questione. In sostanza questo è lo schema armonico degli ultimi brevi ma densi quattro versi (gli ultimi due ripetuti):

Warum ließ ich das Band auch hängen so lang?

Perché ho tenuto appeso anche il nastro tanto a lungo?

La bemolle maggiore
Oft fliegt’s um die Saiten mit seufzendem Klang.

Spesso svolazza sulle corde con suono lamentoso.

Ist es der Nachklang meiner Liebespein?

È l’eco delle mie pene d’amore?

La bemolle minore
Soll es das Vorspiel neuer Lieder sein?

O deve fungere da preludio a nuovi canti?

Si bemolle maggiore
  (transizione a Sol minore)
Ist es der Nachklang meiner Liebespein?

È l’eco delle mie pene d’amore?

La bemolle minore
Soll es das Vorspiel neuer Lieder sein?

O deve fungere da preludio a nuovi canti?

Si bemolle maggiore

Lago e mulino di Dedham – John Constable, 1820, olio su tela, The Currier Gallery of Art, Manchester.

Mit dem grünen Lautenbande è il Lied successivo, in cui dal punto di vista musicale e formale Schubert torna ad una intonazione di tipo semplicemente strofico e dal carattere sereno e disteso. Dal punto di vista contenutistico ci presenta il nastro verde del liuto che come anticipava il testo di Pause “deve fungere da preludio a nuovi canti”. Il tessuto verde, ed in particolare il verde come colore in sé, sarà infatti protagonista per alcuni dei seguenti lieder. Ci viene subito detto che il nastro ed il suo colore sono particolarmente cari alla mugnaia, ma il suo amore in contrasto viene descritto di colore bianco.

Anche se il tuo amore è tutto bianco,
pure il verde ha il suo pregio,
anche a me piace tanto.
Perché il nostro amore è sempre verde,
perché verdi fioriscono gli orizzonti della speranza,
per questo ci piace.
[…]
allora amerò anch’io finalmente il verde!
Questo “anche se” e l’affermazione finale del mugnaio denotano in realtà una certa diffidenza verso il verde ed anticipano infatti quella che sarà la sua indisposizione totale verso il colore.

L’antagonista e la gelosia

Il canto successivo segna una nuova svolta dal punto di vista psicologico ed emotivo nella storia della Schone Müllerin, dovuta alla comparsa del cacciatore, Der Jäger.
Il cacciatore è figura estremamente fortunata nella letteratura musicale, avendo specialmente in età romantica numerose apparizioni in composizioni di diversi autori. Il riferimento più immediato al personaggio della Schone Müllerin schubertiana è sicuramente il Franco cacciatore, protagonista in Der Freischütz di Weber, prima vera opera nazionale tedesca andata in scena a Berlino nel 1821, quindi scritta dopo la stesura dei Lieder mulleriani e poco prima della composizione del ciclo da parte di Schubert. Il raffronto più logico e legittimo non è tanto da farsi tra i due personaggi analoghi, quanto sulla resa dal punto di vista musicale di questa particolare atmosfera evocata dalla figura del cacciatore. L’uomo forte, virile e senza paura è infatti soggetto tipicamente romantico, incarnando quella volontà ed eroismo caratteristici di questo pensiero, e richiama inevitabilmente a figure musicali che ricordino questo carattere deciso e militaresco: l’uso di un metro binario simile alla marcia, il ritmo incalzante ed ostinato, effetti onomatopeici e sonorità particolarmente evocative della caccia come quelle dei corni. Così è infatti nel Freischütz il carattere della scena iniziale in cui si presenta in tutta la sua virilità il coro dei cacciatori.

In questo senso gli esempi simili sono davvero innumerevoli, sia in campo operistico che della musica prettamente strumentale: ne La dama del lago di Gioacchino Rossini ad esempio troviamo una scena corale iniziale in cui nuovamente i protagonisti sono i cacciatori; poi partendo da Vivaldi, passando per Telemann e Mozart, le atmosfere della caccia e del bosco sono state ampiamente esplorate grazie alle numerose composizioni di tipo descrittivo e per corno o corno da caccia. Ancora, posteriormente a Schubert, Schumann nella sua raccolta Waldszenen op 82, nove brani per pianoforte solo, non più a servizio della voce, riesce ugualmente a raffigurare nitidamente il cacciatore in tutta la sua irrequietezza, come recita il titolo del secondo brano, Jager auf der Lauer, nel momento prima di tendere l’agguato alla sua preda e lanciarsi al suo inseguimento.

Tornando dunque alla vicenda della Bella Mugnaia, questa energia prorompente del cacciatore è la stessa che suo malgrado investe il mugnaio alla sortita del suo antagonista. Come sempre infatti il personaggio non ci è presentato direttamente, ma dal punto di vista del mugnaio, attraverso i cui occhi il cacciatore appare come un uomo spavaldo e pericoloso. A nulla varranno ancora una volta le intimazioni del protagonista nei confronti del rivale, parole al vento pronunciate con fretta e furia nel vortice delle emozioni, in quello che a livello cronometrico risulta essere il Lied più breve del ciclo.

Già dal Lied successivo, Eifersucht und Stolz, il mugnaio vede vanificarsi i suoi sforzi a vantaggio del cacciatore che presto si guadagna l’amore della giovane mugnaia.
Gelosia e orgoglio sono i sentimenti destati nel cuore del mugnaio dalla presenza del cacciatore, ma anche dal comportamento della mugnaia, che sembra infastidirlo in modo piuttosto evidente, tanto da affermare che “nessuna fanciulla costumata si affaccia alla finestra” quando passa il cacciatore, lasciando intendere un secco rimprovero, se non un insulto mal celato. La rabbia e la gelosia lasciano in realtà intravedere ancora un rimasuglio di speranza che mai svanisce nel cuore dell’innamorato: così egli torna a rivolgersi al Bachlein, dapprima apostrofandolo duramente, poi pregandolo di portare alla mugnaia sue notizie. Dal punto di vista formale Schubert adotta nuovamente una struttura durchkomponiert, avendo come risultato un brano ancora piuttosto concitato e frettoloso, caratterizzato da un accompagnamento molto mosso, ad indicare il tumulto interiore, ed armonicamente instabile. Tuttavia l’irrequietezza si placa nel finale, con un’atmosfera relativamente più distesa dovuta alla modulazione alla tonalità di Sol maggiore (rispetto al Sol minore iniziale) nel momento in cui il mugnaio rivolge la sua preghiera al ruscello.

Verde ossessione

Die liebe Farbe, “Il colore gentile”, torna ad avere come elemento fondante del testo poetico il colore verde di cui si era parlato in precedenza in Mit dem grünen Lautenbande, ovvero il colore Verde. Rispetto ai due Lieder appena ascoltai questo presenta un carattere decisamente più tranquillo, come recita la didascalia, Etwas langsam, e torna ad essere un momento di stati e riflessione dopo la velocità e furia delle emozioni scatenatesi poco prima. Questo è anzi il Lied forse più triste della raccolta, in cui la forza interiore del mugnaio viene definitivamente meno, la tristezza, la gelosia e la rabbia che hanno scavato nel suo cuore lasciano spazio alla depressione. L’elemento musicale utilizzato da Schubert per ottenere come risultato un brano rappresentante l’alienazione e la sconfitta della ragione nel mugnaio è quello di una nota, un Fa#, che viene costantemente ripetuta per tutta la durata del pezzo dal pianoforte, un artificio che rende in modo efficace e martellante l’idea di ossessione e fissità, di irreversibilità della condizione del protagonista.

Questa ossessione del mugnaio per il colore verde, Grün, continua ed è resa ancora più evidente nel successivo Lied Die böse Farbe, “Il colore cattivo”. L’innamorato è tormentato a tal punto dalla gelosia per la mugnaia e dall’invidia per il cacciatore, cui richiama il verde, che vorrebbe eliminare questo colore dalla faccia della terra, si sente persino minacciato e osservato da esso, quasi potesse fargli del male, il Verde, a lui uomo “bianco”, per contrasto.

Dal punto di vista della forma dunque il Lied è tenuto insieme da questo elemento poetico che è il colore verde del nastro che abbellisce il volto della mugnaia. Al contrario, dal punto di vista musicale, siamo nuovamente di fronte ad una forma durchkomponiert, tuttavia questa volta Schubert riutilizza elementi già noti da altri Lieder ascoltati precedentemente; in tal modo è come se l’ascoltatore si trovasse di fronte a dei frammenti del passato, i frammenti della vita del mugnaio, che egli vede intorno a sé ed ormai non riesce più a riordinare, preda com’è del turbine dei sentimenti. Ricompaiono infatti le note ribattute incessantemente, ad evocare l’ossessione, come il Fa# del canto precedente, le sestine arpeggiate presenti molto più indietro in Am Feierabend, la stessa declamazione serrata e senza via di scampo del Lied Der Jager. Alcuni critici, come il tedesco E. Hanslick, hanno trovato in questo ed altri Lied di Schubert, caratterizzati dallo stile durchkomponiert, un certo eccesso di genio e creatività da parte del compositore, al pari di Mozart per prolificità, investito da un’ispirazione tale da far trascurare la rifinitura e la messa a punto dei particolari. Circa l’esempio di Die böse Farbe, Hanslick sottolinea come le parole iniziali, Ich möchte ziehn in die Welt hinaus (Vorrei andare per il mondo, lontano), siano rese «con una mossa pimpante e ardita, alla maniera d’un intrepido cavaliere», ovvero in maniera troppo esuberante rispetto al loro significato. Al contrario, egli fa notare che la versione del medesimo Lied intonata da Ludwig Berger nel 1816 ed intitolata Der Müller (Lied n 7, op 11), pur essendo un lavoro alquanto mesto ed omogeneo, sia più riuscito ed equilibrato dal punto di vista della resa complessiva. In sostanza secondo Hanslick, Berger «pur con un talento incomparabilmente minore ma giudizioso e scrupoloso, ha centrato per tutt’altra via l’accento giusto e bello del Lied.» E ancora il critico rincara la dose sostenendo che ad una più attenta analisi delle strofe «troveremmo esempi a iosa di come la favolosa dovizia musicale di Schubert abbia spesso soffocato il ponderato lavorio della sua intelligenza artistica.» Pertanto la critica apparentemente ingiustificata e per nulla velata lascia invece chiaramente spazio ad un elogio, non potrebbe essere altrimenti, del genio creativo dell’autore, di cui Hanslick è ben conscio.

Anima appassita

Il Liederkreis procede con Trockne Blumen, in cui la depressione di cui è preda il mugnaio continua a prendere il sopravvento su ogni altra visione della vita e l’unica consolazione possibile per il suo cuore si profila nella morte. I “Fiori appassiti” sono quelli che il giovane aveva accuratamente depositato sotto la finestra dell’amata, che tuttavia li trascura e li lascia seccare così come non dà valore all’amore che egli prova. Le otto strofe di quattro brevi versi ciascuna sono trattate da Schubert in modo da creare una forma tripartita A –A – B, raggruppandole dunque secondo la formula 3 + 3 + 2. Essendo le due parti A sostanzialmente identiche, in realtà la forma complessiva del Lied è bipartita, ed il cambiamento essenziale avviene infatti nella parte B, ben evidenziata dal cambio d’armatura con corrispondente modulazione da mi minore a mi maggiore. Quest’apparente schiarirsi del colore armonico, dovuto al pensiero della mugnaia che passerà davanti alla lapide del protagonista, riconoscendone la fedeltà, è tuttavia ben lungi dall’essere un momento di ritrovata serenità, come testimoniano le nubi che di tanto in tanto ricompaiono modulando a do# minore e la stessa filigrana dell’accompagnamento, che se nella parte A era caratterizzata principalmente da figure di durata medio-lunga (semiminime e crome), ora si fa più fitta e intrecciata, agitata da semicrome e ritmi puntati fino anche al breve postludio.

Anche questo Lied come il precedente è stato musicato a suo tempo da Ludwig Berger, come penultimo del Liederkreis, con titolo Müllers trockne Blumen, e presenta una forma sostanzialmente molto simile a quella schubertiana, ma più semplificata, essendo costruito in modo strofico sulla stessa linea di accompagnamento abbastanza asciutto e dal carattere vagamente popolareggiante, senza il cambio di tonalità utilizzato da Schubert per le ultime strofe. Il percorso tonale infatti è decisamente standard con un’unica modulazione al tono relativo maggiore, le armonie in generale sono meno ricercate ed il trattamento della voce assomiglia a quello di un’aria d’opera italiana, con la conclusione verso l’acuto seguita da un semplice postludio.

Dialogo e immersione nei flutti

Negli ultimi due Lieder torna grande protagonista il ruscello, di pari passo con il definitivo precipitare della situazione. Der Müller und der Bach è infatti l’unico Lied di tutto il ciclo a presentare in modo chiaro ed inequivocabile due interlocutori distinti, due personaggi indipendenti. Il ruscelletto di cui tanto abbiamo sentito parlare dal mugnaio finalmente si personifica in modo palese anche nella scrittura, non solo nella mente del giovane, e gli rivolge la parola. Il dialogo è tutto incentrato sull’amore e sulle sue conseguenze quando non viene corrisposto: la prima strofe presenta la cupa visione del mugnaio, ormai priva di ogni speranza ma risoluta nella sua convinzione, le seconda la risposta del ruscello, che cerca invano di ridare speranza al giovane compagno. Dopo l’amara riflessione costituita dall’ultima strofe, con la quale sembra nuovamente prendere il distacco dal ruscello, come se riconoscesse che questo interlocutore altro non è che il frutto della propria immaginazione, un corpo inerme che non può provare emozioni, il protagonista si getta tra i suoi flutti, unica dimora in cui possa trovare pace in un mondo ormai a lui ostile, pregandolo di continuare a cantare. Dal punto di vista musicale la caratterizzazione del ruscello è data dal ritorno dell’accompagnamento “mormorante”, già presente in Wohin?, canto fondativo della raccolta, che ricompare nella seconda strofe, per poi prolungarsi fino al termine, in cui Schubert con un’accelerazione armonica ed alcune varianti ritmiche fa precipitare la situazione, seguendo il celere e risolutivo gesto del mugnaio che si getta nelle acque con le loro rapide e cascatelle.

Commiato

Des Baches Wiegenlied, canto conclusivo della Schone Müllerin, è appannaggio del ruscello che intona una Ninna Nanna dal sapore funereo per accompagnare il mugnaio nel lungo viaggio dalle proprie sponde fino ad altri lidi, quasi metafora dell’Acheronte e del suo traghettatore, prodigandosi affinché il suo riposo sia sereno e non venga disturbato anche post obitum da tristi ricordi e sogni cupi. Sia nella versione schubertiana che in quella bergeriana il Lied, essendo canto conclusivo dal punto di vista musicale e poetico, è trattato in maniera affatto semplice. Schubert pertanto adotta una forma puramente strofica, come si addice ad una vera ninna nanna dal carattere calmo e ripetitivo: la melodia principale è semplicemente reiterata ed il pianoforte si limita ad un mero sostegno armonico, a volte addirittura con una sorta di doppio pedale alla mano sinistra e destra, ben lungi dalle soluzioni innovative adottate nei Lieder precedenti da parte del compositore.

Matteo Camogliano

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