In Giuria al Busoni: Intervista alla Presidentessa Yeol Eum Son

Medaglia d’argento al Cliburn e al Tchaikovsky, la trentaduenne coreana Yeol Eum Son è la Presidentessa della Giuria delle Preselezioni del Concorso Pianistico Internazionale Ferruccio Busoni di Bolzano.

Autore: Alessandro Tommasi

31 Agosto 2018
Una carriera che abbraccia il mondo intero, con alcune delle più grandi orchestre e dei più grandi direttori, un repertorio vastissimo e incisioni per Decca e Onyx: ma l’intervista è soprattutto un’occasione per riflettere sulla sua visione dei concorsi e sul suo percorso, che da Wonju l’ha portata ad Hannover.

 

In queste Preselezioni sei tu la Presidentessa della Giuria, ma quali sono esattamente i tuoi incarichi?

Non ne ho idea! (ride) In teoria alla fine della sessione concludo le votazioni e tiro le fila e sono un po’ la rappresentante della Giuria. Ma rispetto agli altri membri non cambia molto!

Ti è già capitato di essere in giuria?

No in realtà è la prima volta!

Cosa significa stare dall’altra parte del tavolo?

Beh, in primo luogo è un grande piacere ed un grande onore. Non è passato poi tanto da quando io stessa ero una concorrente, quindi credo di essere piuttosto ferrata sul funzionamento e sul gusto dei concorsi di oggi. Tornarvi come parte della Giuria per me è molto naturale, anche perché ho sempre apprezzato l’ascoltare gli altri concorrenti dei concorsi cui partecipavo. Ci sono molti pianisti che preferiscono non assistere alle altre prove, ma personalmente non concordo: per me è stata la parte più felice di ogni concorso! È interessante, non capita spesso di poter godere di così tanti musicisti di alta qualità, tutti di fila, tutti preparatissimi. Mi ha sempre appassionato.

Parlando nel dettaglio di questo concorso, cosa cerchi nei partecipanti?

Credo di cercare soprattutto musicisti interessanti, che abbiano una loro personalità, un loro carisma, un’individualità che li renda diversi dagli altri. Il mio obiettivo è sostanzialmente cercare un pianista per il cui concerto io comprerei un biglietto!

Ti è mai capitato di pensare “Hmm, quello lo farei diversamente”?

(ride) No, in realtà no! Anche perché non mi concentro molto sull’interpretazione del singolo dettaglio, cerco di ascoltare l’intera immagine, l’intera presentazione di un brano e di una persona e poi di riflettervi.

Come ti preparavi prima di un grande concorso internazionale?

Nel mio caso non c’era davvero niente di speciale che potrei condividere. Volevo solo essere molto fedele a me stessa e non convertirmi in un’immagine che potesse essere più apprezzabile da parte di una giuria.

Questo può essere uno dei rischi dei concorsi, tuttavia…

Sì, è un pericolo. Ma trovo comunque che i concorsi siano utili e importanti, perché danno molte possibilità ai più giovani. Nella mia carriera hanno aperto davvero molte porte. Però, personalmente, non voterei mai per un musicista che fosse perfetto negli stereotipi che un concorso potrebbe richiedere. Sono piuttosto contraria questo genere di immagini.

Riguardo al repertorio, pensi che ci siano delle scelte più furbe e adatte?

Credo che la questione repertorio stia cambiando molto. Quando prendevo parte a concorsi, diciamo, dieci anni fa, c’erano praticamente delle liste di repertori che tutti dovevano suonare. Oggi questo avviene sempre di meno e sono convinta che sia la strada giusta. Alla fine i pianisti dovrebbero poter suonare ciò su cui si trovano più a loro agio. Credo però che nei concorsi sia importante trovare dei buoni contrasti, una buona diversità di repertorio, perché se qualcuno suona, che so, le Goldberg per un intero round, non possiamo valutare tutto il musicista. Ma potrebbe essere una buona idea pure quella, può dipendere! In generale, in ogni caso, trovo meglio avere un programma equilibrato.

Come si coniuga questo con la tendenza di alcuni pianisti a specializzarsi su alcuni autori e repertori? Non si rischia di penalizzare chi è estremamente bravo su alcuni repertori e meno su altri?

Non saprei, perché il pianoforte ha un repertorio così ampio che c’è sempre possibilità di scelta, di trovare dei brani più adatti a sé. Certo, scegliersi i brani adatti al proprio pianismo potrebbe sembrare poi non così corretto, ma, beh, a chi importa veramente? (ride)

Yeol Eum Son durante il suo concerto per il Festival Busoni

Parliamo ora di uno dei focus del Festival Busoni 2018, il Symposium dedicato alla Corea del Sud, ai suoi musicisti e al suo sistema didattico. È stata posta molta attenzione sulla selezione e sulla competizione, credi che questo tipo di pressione influenzi anche il modo in cui i pianisti coreani crescono e si costruiscono come artisti?

Sì, credo che colpisca la maggior parte delle persone. E non mi piace, non mi piace per nulla. Ovvio, la quantità è importante, perché è da dove arriva la qualità, quindi è importante che in tanti studino pianoforte. Ma di quelli che arrivano su un palco, coloro che potremmo definire di successo sono davvero pochi. E quei pochi sono proprio coloro che sono riusciti a sottrarsi a questo tipo di pressioni. Io ero una di loro. Ma non sono cresciuta a Seoul, il che in realtà rende tutto completamente diverso.

Perché?

In Corea tutto gira intorno a Seoul. Tutto ciò che conta avviene lì, niente è altrove. Non crescere a Seoul mi ha influenzato moltissimo. Anche Chloé Mun non vi è cresciuta e credo che persone come noi si sviluppino in un ambiente meno competitivo, in cui c’è più spazio, più libertà. Dopotutto la musica non è fatta per la competizione.

E ciononostante eccoci ad un concorso pianistico!

Già! Questo perché comunque qui si valuta anche l’elemento tecnico, che è una base imprescindibile, un punto di partenza. Ma non il fine ultimo. E credo che i concorsi stiano un po’ in mezzo tra le due valutazioni.

Tu ormai vivi ad Hannover. Perché hai scelto di trasferirti?

Ho pensato che fosse la cosa giusta da fare dopo aver finito gli studi alla Korea National University of Arts a Seoul.  Volevo respirare l’aria in cui la musica classica è nata. Così ho deciso di trasferirmi in Europa, poi ho conosciuto il mio insegnante, Arie Vardi, mi sono trovata molto bene con lui e quindi mi sono trasferita ad Hannover.

In questi giorni si è detto spesso che Corea del Sud e Italia hanno delle forti somiglianze culturali, parlando di espansività, colori, amore per il canto, mentre la Germania presenta più somiglianze con il Giappone. Eppure moltissimi studenti coreani scelgono di andare a studiare e vivere in Germania. Perché?

Sì, Corea e Italia per me hanno tantissimi tratti in comune e penso che sia esattamente per questa ragione che la Germania sia una meta privilegiata: per poter scoprire qualcosa di nuovo! La mia prima impressione quando arrivai in Germania, infatti, fu che tutto era diverso. Mi sono resa conto che davvero non sapevo niente praticamente di tutto, anche di musica! Arie Vardi, poi, è uno di quegli insegnanti che difficilmente non sa qualcosa, quindi studiare con lui fu una rivelazione. Un’altra rivelazione fu l’industria musicale tedesca, di cui anche non sapevo assolutamente niente. E poi ho scelto la Germania anche per ragioni musicali: d’altronde è una delle nazioni centrali della letteratura pianistica!

 

Alessandro Tommasi

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

Written by Alessandro Tommasi

Viaggiatore, organizzatore, giornalista e Pokémon Master, studia pianoforte a Bolzano, Padova e Roma e management culturale alla Rome Business School e alla Fondazione Fitzcarraldo. È Head of Artistic Administration della Gustav Mahler Jugendorchester e direttore artistico del Festival Cristofori e di Barco Teatro. Nel 2021 è stato Host degli Chopin Talk al Concorso Chopin di Varsavia. Nel 2020 ha pubblicato il suo primo libro, dedicato all'opera pianistica di Alfredo Casella. Dal 2019 è membro dell'Associazione Nazionale Critici Musicali.

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