Mahler o la conversione di un cercatore

The English musician’s prayer was: “God preserve Mozart and Beethoven until the right man comes,”and this man would have been Mahler.

Autore: Matteo Poiani

20 Giugno 2018
La biografia di Mahler è qualcosa di strano; è un mondo pieno di aneddoti e curiosità. Infarcito di grandi nomi, di personalità minori, di donne bellissime e di cose oscure.

La vita di Mahler

In Italia, Deo gratias, è divenuto famoso grazie all’immaginifico libro di Quirino Principe Mahler. La musica tra Eros e Thanatos. Ma già Ugo Duse aveva pubblicato qualche anno prima una biografia, Gustav Mahler, in quei tempi quando ancora Mahler non era conosciutissimo al grande pubblico. Si impose con fatica in Italia, a differenza della Germania o degli Stati Uniti. All’estero infatti lavorava già dagli anni ’50 il più grande mahleriano mai esistito: Henry-Louis de La Grange. Egli ebbe la fortuna di conoscere sia Alma Mahler Schindler (Gropius – Werfel) che la figlia Anna Mahler, ed ebbe soprattutto accesso a quelle carte gelosamente custodite da Alma nella casa di New York. Con una ricerca infinita di decenni, ci ha lasciato varie edizioni delle biografie scritte su Mahler: in italiano c’è la versione ridotta Gustav Mahler. La vita, le opere, che è la versione tradotta dal francese Gustav Mahler. La sua più grande opera però sono i quattro volumi in lingua inglese pubblicati in modo un po’sparso per un totale di 3600 pagine circa.

Gustav Mahler nacque a Kalischt il 7 luglio 1860 e morì a Vienna il 18 maggio 1911 all’età di cinquant’anni. Per sommi capi: dopo un’infanzia più o meno infelice, ma costellata da successi musicali fin dalla più tenera età, a quindici anni andò a studiare a Vienna. Il padre, Bernhard Mahler, aveva una modesta distilleria ed era rispettato ad Iglau, una piccola cittadina nella provincia Boema dell’Impero Austriaco dove viveva con la sua famiglia dall’ottobre del 1860, dopo la nascita del figlio Gustav. Egli e sua moglie, Maria Hermann, erano entrambi ebrei. Il giovane Gustav poté dedicarsi a molte letture più o meno permesse. La Grange e Principe riescono a ricostruire quelle che lo appassionarono non solo in giovine età ma anche per tutta la vita: Johann Wolfgang Goethe (da cui prenderà parte del testo per l’ottava sinfonia), Jean Paul (che ispirerà il titolo alla prima sinfonia), Miguel de Cervantes, Friedrich Schiller, E. T. A. Hoffmann (Mahler sarà affascinato dalla figura del Kapellmeister Kreisler fino agli ultimi anni); non possiamo certo dimenticare i filosofi quali Immanuel Kant, Arthur Schopenhauer e infine Friedrich Nietzsche (amato anche da Alma, e dal quale prenderà parte del testo per la terza sinfonia). Insomma come lo definì Pfhol Mahler era un musicista letterario. In gioventù ebbe un primo approccio con il cattolicesimo, o meglio la liturgia cattolica: cominciò a cantare nella chiesa di Sankt Jacob, e quando morì il borgomastro di Iglau il coro cantò il Requiem di Wolfgang Amadeus Mozart: il giovane Gustav rimase scosso e affascinato dalla liturgia cattolica. Diresse vari teatri tra cui Amburgo (dal 1891 al 1897) e poi, con spirito “rivoluzionario”, la Wien Hofoper dal 1897 al 1907. Dal 1907 al 1911 diresse la New York Philharmonic e si dedicò sempre di più alla composizione. Il posto per dare sfogo alla sua creatività divenne Dobbiaco, in provincia di Bolzano (ma allora ancora territorio dell’Impero Austro-Ungarico). Nel febbraio/marzo del 1911 la sua salute peggiorònotevolmente con infezioni alle tonsille (che lo tormentavano giàda anni) e altre infezioni che peggioravano la già sua debole salute causata dalla endocardite, che lo affliggeva fin dal 1907. Mahler se ne andò da New York l’8 aprile del 1911nel totale silenzio, appositamente organizzato per non creare ulteriori scandali giornalistici (che lo tormentavano da qualche anno). Arrivarono in Francia, e dopo aver avuto una ripresa nel centro di Parigi durata quanto un fuoco di paglia, Gustav peggiorò sempre più. Mentre a Vienna infuriava un violento temporale, Mahler morìa mezzanotte della sera del 18 maggio 1911.

La sua nomina all’Hofoper di Vienna non fu per niente semplice, e ci furono molti contrasti. Uno di questi fu innanzitutto la vedova Cosima Wagner Liszt, che si oppose all’assunzione di un ebreo all’opera di corte viennese (evidentemente ereditò l’antisemitismo del marito; ricordiamo che fu lei a fornire carta e penna ad Adolf Hitler durante la prigionia degli anni ’20 per scrivere il Mein Kampf). Già nel 1893 Mahler stesso scriveva: “La mia condizione di ebreo mi vieta l’accesso a tutti i teatri di corte”. Questa frase di Mahler può essere ben compresa se guardiamo alla sua storia, non di certo fortunata né in famiglia in Boemia (a causa del padre e delle morti dei fratelli) né con Alma (a causa della morte della figlia, i tradimenti di Alma e la sua malattia che fu come una spada di Damocle). Nonostante (o forse grazie a) tutte queste cose, il 23 febbraio 1897 ricevette il battesimo nella Michaeliskirche di Amburgo; il padrino fu Theodor Meynberg e il viceparroco che battezzò Mahler fu il presbitero Swider. Alla sua “salus” spirituale teneva anche la compagna dell’epoca, Anna von Mildenburg, di certa fede cattolica (e dalla quale Mahler se ne separerà volentieri; Principe ci racconta anche divertenti aneddoti). La storiografia si è posta un problema, poiché la conversione è “troppo”(!) vicina alla nomina a direttore della Hofoper. Pertanto si può parlare di conversione? Oppure fu opportunismo? La vicenda non è così semplice, e le voci in gioco sono un po’ contrastanti. La società tardo ottocentesca europea coltivava un certo antisemitismo (si guardi proprio in quegli anni l’affair Dreyfus in Francia), ma non tutto era così nero. Il predecessore, Wilhelm Jahn, appoggiò Mahler; ma anche altri personaggi molto influenti come Johannes Brahms lo sostennero; quest’ultimo lo raccomandò a Bezecny, intendente generale della Hofoper. Lo stesso imperatore Franz Joseph volle incontrare Mahler dopo la sua nomina per dargli piena fiducia. La casata imperiale si rivelava scevra dall’antisemitismo, e la nuova Vienna, ricostruita come la grandi città occidentali (Parigi, Chicago, Londra) nella seconda metà dell’800 era oramai una città di borghesi mecenati dell’arte e della cultura. Grandi personaggi di origine ebraica quali Arnold Schönberg e Sigmund Freud erano rispettati e ben considerati all’interno del panorama cittadino. Oltretutto loro stessi si integrarono in quella nuova società che andava formandosi e che prevedeva il proprio contributo personale, anche (e forse sopratutto) economico, per le attività culturali e che abbisognavano di mecenati. Principe e de La Grange sono concordi nel definire la società viennese tollerante e liberale nei confronti degli ebrei. Ma perché questa conversione? Qual è il senso?

La ricerca

Come si accennava in precedenza, Mahler era imbevuto di letture, per così dire, “cristiane”, o che comunque avevano una certa tradizione cristiana dietro di sé. Lo stesso Also sprach Zarathustra di Friedrich Nietzsche si può considerare in molti punti come una ri-scrittura dei Vangeli; per non parlare della polemica nel Der Antichrist. Mahler nelle lettere degli anni precedenti citava già passi evangelici (di alto carattere filosofico come il prologo del Vangelo di Giovanni, in particolare Gv 1,5: “Lux in tenebris”), e per la seconda sinfonia cercò a lungo nella Bibbia un testo atto alla sua idea, andando alla fine a prendere (e modificare, com’era suo solito) un sublime testo dal Messias del poeta pietista tedesco Friedrich Gottlieb Klopstock (1724-1803). Il corale lo sentì al funerale di Hans von Bülow, ma la sua melodia, nonostante le appurate e meticolose ricerca di Principe, ci è sconosciuta. Quindi già nel 1894 per la Seconda Sinfonia si avvicinò al cristianesimo, inteso come entità religiosa-culturale altra rispetto alla tradizione ebraica (che comunque è pur sempre ravvisabile nelle sinfonie mahleriane, come il clarinetto nell’incipit dello Scherzo della Seconda Sinfonia). In questo contrasto, o meglio dialogo (forse evoluzione?), Principe colloca la conversione di Mahler. Questi volle aderire appieno ad una società che oramai gli apparteneva e nella quale si sentiva a proprio agio. Si erano conclusi oramai da trent’anni i tempi di reclusione per le comunità ebraiche con i divieti di trasferirsi. Mahler era già una star ante-litteram e la sua bravura primeggiava su tutti (con anche invidie di un giovanissimo Richard Strauss). Andando ancora più nello specifico, Mahler si assimilò ad una cultura che volle accettare in toto, incamminandosi verso la ricerca infinita. In questo suo estenuante percorso (sia musicale che di vita) egli incluse anche la conversione religiosa: possiamo vedere come la Seconda e l’Ottava Sinfonia usano specificatamente testi cristiani.

La Seconda Sinfonia contiene nel quarto tempo un testo cantato che di per sé non ha derivazione cristiana:

Piccola rosa rossa!
L’uomo è quaggiù in miseria immensa e angoscia!
L’uomo qui giace in supplizio crudele!
Oh, potessi piuttosto essere in cielo!
Un giorno, andavo per un’ampia via:
venne un piccolo angelo, e voleva respingermi;
ah, no! non mi lascio fermare, nessuno puòrespingermi.
Son venuto da Dio, voglio tornare a Dio!
Il buon Dio mi darà un lumicino, una lanterna,
che a me risplenderàfino alla beata vita eterna!

 

https://www.youtube.com/watch?v=SNWJ6JKAi6Y

Ad avviso di chi scrive, sembra di percepire un sapore quasi salmico. Sembra quasi che la struttura della poesia, i riferimenti alla natura, alla piccolezza dell’uomo, al breve racconto posto nel mezzo (“Un giorno, etc.”) che dà lo spunto per poter parlare della grandezza di Dio che porta la luce, siano indice di un certo rimando a quel fiat (Gn 1) che diede origine al rapporto uomo-Dio, che illuminò prima di tutto le coscienze. L’idea nei salmi ricorre qualche volta (Sal 26; 1; 118; 35). La luce quindi come leggerezza, che pone la sua esistenza nell’aria, e perciò è cosa diversa dall’uomo terreno e pesante. Ci si potrebbe qui ricordare Italo Calvino: “[La] leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore. […] La leggerezza per me si associa con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso. Paul Valéry ha detto: Il faut etre léger comme l’oiseau, et non comme la plume [Si deve essere leggeri come l’uccello che vola, e non come la piuma].”. Mahler prese questo testo dalla collezione del 1805-1808 di Arnim e Brentano Des Knaben Wunderhorn, dove sono raccolte poesie e canti tradizionali. Si impossessò di questa tradizione; la fece sua; la elaborò; la modificò. Questo tempo alla fin fine non è così idilliaco: non c’è una battuta che sia uguale a quella precedente; non c’è uno schema che si ripeta. Questa tranquillità è una semplice illusione. In verità si è ancora nel mezzo del cammino di quest’animo turbato. C’è un tragitto tra alti e bassi, tra un primo tempo catastrofico (una sublime catastrofe) e un finale pieno di certezze.

Per il testo dell’Ottava Sinfonia (detta “dei Mille”) avvengono cose simili a quello visto sopra. Mahler ebbe anche una vena poetica (Principe alla fine del suo libro traduce una cernita di sue poesie), e ritoccava quasi sempre i testi che musicava.  Anche il testo del Veni Creator Spiritus non è rimasto come nell’originale. Lungi da noi voler fare un saggio di filologia latina tra medioevo e XX secolo, ci chiediamo invece perché abbia ritoccato un testo medioevale che funzionava da sempre e che non conteneva errori di metrica. Mahler è colui che non si accontenta; è il direttore che vuole sempre provare e che si impone alle prove; è il compositore che scrive fino allo sfinimento. È quel compositore che per comporre le musiche si rinchiude in una casetta nel bosco con un pianoforte, una stufa e solo spartiti di Johann Sebastian Bach. Eccola la tradizione. L’Ottava Sinfonia si presenta come un grande contrappunto, di difficoltà immense anche nella scrittura, che si rifà al modello antico barocco e rinascimentale con un testo ancora più antico. Otto voci soliste (più il coro) mescolate assieme per una trama che si infittisce sempre di più, fino ad esplodere ancora nell’inno come nell’incipit.

https://www.youtube.com/watch?v=iuAKOCJ2w6c

Queste due colonne, la Seconda e l’Ottava Sinfonia, potrebbero sembrare la certezza della fede in Mahler, l’arrivo per la sua anima. E invece no. In mezzo troviamo molte cose, tra cui la Terza Sinfonia. Essa si presenta come una serie di frammenti non collegati assieme. Il primo tempo ci sconvolge per la sua enormità e per il suo pesante uso degli ottoni fin dall’inizio. L’incipit vuole essere una citazione della Nona Sinfonia di Schubert, grande modello di Mahler, soprattutto per la forma della ripetizione (che per Schubert è quasi un’ossessione, e per Mahler rischia di diventarlo). La tradizione si vede anche nell’ultimo tempo, dove viene ripreso l’altro grande gigante, forse il gigante della musica tedesca: Ludwig van Beethoven. Le prime battute sono palesemente copiate (Stravinsky sarebbe stato orgoglioso di tutto ciò) dall’adagio dell’ultimo quartetto di Beethoven. Ma ciò si rivela qualcosa di più che uno sviluppo che parte da Beethoven. Come scrisse de La Grange: “Con questo grande inno al Creatore dell’Universo, concepito come forza suprema d’amore, il compositore sale l’ultimo gradino verso la Luce eterna”. Questa salita, questo cammino sono perciò un percorso che Mahler compie anche con una certa serenità. Non ci sono più i traumi sonori della seconda sinfonia; non abbiamo il coro che esplode; non è presente la battaglia interiore espressa in musica cantata o suonata. In questo caso abbiamo invece gli spazi immensi, come grandi praterie che si distendono davanti a noi: le indicazioni che Mahler propone di mettere sono “Che cosa mi narra l’amore” e poi infine “Che cosa mi narra Dio”; Principe propone saggiamente “Che cosa io narro a me stesso”. È chiaramente Mahler che parla con sé stesso e cerca di interrogarsi, cerca anche di chiedersi veramente dove sia arrivato nel cammino della sua vita: ha sbagliato strada? È su quella giusta? Può ancora cambiare?

Gustav Mahler, quello che cercava in continuazione: è costui il personaggio che si è convertito al cattolicesimo sud-europeo, alla tradizione che voleva prendere e controllare.

Matteo Poiani

 

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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