Maria by Callas, la donna dietro il sipario

Maria by Callas: In Her Own Words”, film-documentario dell’esordiente regista francese Tom Volf (distribuito da Lucky Red), è l’emozionante (auto)ritratto della famigerata cantante d’opera ma, soprattutto, della donna spesso celata nel dietro le quinte di quella icona e diva delle scene nazionali ed internazionali che fu la Callas.

Autore: Virginia Cirillo

1 Maggio 2018
Al Teatro dell’Opera di Roma,  il 2 gennaio 1958, Maria Callas, star adorata in tutto il firmamento lirico, a causa di una improvvisa afonia dovuta ad un’incombente bronchite, fu costretta ad interrompere la rappresentazione de la “Norma” di Bellini, nonostante la presenza in sala del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. Fu uno scandalo. Fischiata aspramente dal pubblico e criticata dalla stampa, alla Divina non venne perdonato l’abbandono del palcoscenico e le furono riservate le più amare prime pagine dell’epoca. Nel docu-film è lei stessa ad esprimere il suo rammarico per l’accaduto, sottolineando il tentativo di salvaguardare la recita e rispettare qualcuno e qualcosa di ben più importante della classe politica: il pubblico, il compositore dell’opera e la musica. Sarà dunque stato il destino a volere che la presentazione di “Maria by Callas” avvenisse proprio in quello stesso tempio dell’arte? Presentazione conclusasi con una standing ovation del pubblico che, commosso, le ha porto un importante tributo.

Sin dall’infanzia Maria Callas ha coltivato il suo talento musicale studiando canto, per volere di sua madre che la iscrisse al conservatorio a tredici anni. Quello per l’opera è stato un grande amore ma anche fonte di enormi sofferenze, sia per la fatica e la dedizione che lo studio e il lavoro richiedevano, sia perchè l’aspettativa del pubblico fu sempre altissima, tanto da non potersi mai sottrarre, ritenendo che il destino avesse scelto per lei quella strada. Ed è così che ha vissuto la Callas, donna e diva, incatenata ai suoi grandi amori. Il ritratto che emerge dal film di Tom Volf racconta proprio questo: il dualismo fra l’artista che si è donata completamente al pubblico e all’arte e la donna che ha desiderato semplicemente di essere amata come Maria.

“Che cos’è una leggenda? E’ il pubblico che mi ha creata. Quando il pubblico ti ama così tanto, vuoi dare molto di più.”

Volf ripercorre la vicenda umana e professionale della Callas attraverso filmati inediti, privati, lettere intime, interviste, registrazioni audio, foto e tanto altro materiale di archivio. Filo conduttore, un’interessante intervista rilasciata alla TV americana (1970) in cui la Divina, a due anni dalla fine della relazione con l’armatore greco Aristotele Onassis, si racconta sinceramente.

“Mi piacerebbe essere Maria ma devo essere all’altezza delle aspettative della Callas”.

Il risultato è una sorta di autobiografia in cui Maria racconta la Callas, ma alla fine è la Callas a svelare la donna dietro il sipario; spigliata, perfezionista, semplice nella sua passione per i fornelli e nel suo ricercare una normale quotidianità attraverso le ricette di cucina ritagliate ed incollate in un grosso quadernone, sprazzi di una vita comune di cui sentirà sempre la mancanza. Qui emerge la cantante ironica sconosciuta ai più, di una comicità sottile ma non pungente, l’amante premurosa, la giovinezza mancata, l’artista. Artista che, nonostante la fama, trema a pochi passi dall’esibizione, si interroga ancora sui dogmi della tecnica vocale e, in prova, si concede delle piccole smorfie alla fine di una nota lunga e acuta. La voce narrante di Anna Bonaiuto (in originale di Fanny Ardant, che già vestì i panni della Divina in“Callas forever” di Franco Zeffirelli) ci guida alla scoperta di una vita dalle grandi passioni: fra amori sfortunati e tragici, malinconia, solitudine e un rapporto burrascoso col pubblico. Il fotografo e regista francese ha avviato l’importante progetto Callas nel 2013, viaggiando per il mondo in una ricerca minuziosa di nuovi materiali e archivi perduti. Ha incontrato circa trenta degli amici e colleghi più cari a Maria, con i quali ha filmato oltre 60 ore di interviste.

“Ho fatto ricerche ovunque e collaborato con  parenti e persone vicine a Maria Callas, tra cui Nadia Stancioff, sua amica intima a cui aveva detto: Se dovessi morire prima di te, voglio che tu faccia sapere alla gente chi ero davvero.”

Optare per i filmati restaurati e a colori è stata una decisione motivata dal desiderio di avvicinare i giovani, a volte refrattari al bianco e nero, e rendere la storia fruibile a tutti. La cinepresa è spesso sullo sguardo della Divina e, seppur volontariamente celate in un riservato sorriso, inquietudine, tristezza e paura fanno capolino nei grandi occhi espressivi.

“Lei forse mi prenderà in giro, ma io prego tutte le sere. Una preghiera semplice, sempre la stessa: Signore metto la mia vita nelle tue mani, fa di me ciò che meglio credi. Solo dammi la forza di superare gli ostacoli che mi si presentano.”

“Maria by Callas” sorvola sul decadimento vocale, così come sulle depressioni, insonnie e sui farmaci di cui la Callas era vittima. Ciò su cui però il regista non manca di concentrarsi è il dramma umano nascosto dietro l’icona. Non a caso Volf non si dilunga sul sodalizio con Pasolini, né sull’amicizia con i maggiori registi e direttori d’orchestra italiani o sul rapporto quasi morboso instaurato con il collega e amico Giuseppe Di Stefano; i riflettori puntano unicamente sulle sfaccettature della sua personalità.

Su “La mamma morta”, tratta dall’Andrea Chènier di Giordano, sfilano gli ultimi filmati del documentario; qui immagini, testo e musica si sposano alla perfezione suscitando in taluni spettatori un’emozione tale che è quasi impossibile non cedere alla commozione. Ritroviamo la sofferenza della donna solitaria ed incompresa, di carattere certamente duro e forte, temprato però da una vita difficile ben nascosta dalle mura domestiche dell’appartamento parigino in Avenue Georges Mandel, in cui la Divina trova la morte in solitudine nel settembre 1977, a 56 anni.

“A Bruna e Ferruccio”

Rispettivamente cameriera e autista della Signora Callas, fidi confidenti della donna dietro la diva, gli unici a rimanerle accanto fino alla fine. Questa la dedica posta a conclusione del docu-film. L’eredità che Maria Callas ci lascia è gigantesca, il suo essere un tutt’uno col canto fa di lei un vero tramite con l’arte, qualcosa per cui tutti noi le siamo e le saremo sempre grati. Calato il sipario cosa è dunque rimasto della Callas? “Semplicemente” Maria.  Non  solo  la  voce,  ma la  donna che Tom Volf  ci  insegna finalmente a conoscere.

Virginia Cirillo


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