Il gregoriano come preghiera sonora: Re-tractationes di Baroffio
Non un trattato, bensì molte re-tractationes: è in forma di riflessioni brevi che Giacomo Baroffio affida al lettore le sue considerazioni, loro malgrado inattuali, riguardo a quel patrimonio (vetusto sì, ma soprattutto venusto) che è il cosiddetto “canto gregoriano”.

Autore: Matteo Macinanti
Il gregoriano è infatti solo uno di quei molti linguaggi che la liturgia ha creato per immergere il fedele in un’esperienza di fede autentica: le costruzioni musicali si affiancano infatti alle architetture cristiane e alla loro tensione verso l’alto, nello sfavillio di luci e colori che le contraddistingue.
Tuttavia l’Autore non si limita, come invece purtroppo fanno molti, a denunciare il problema, biasimando la condotta musicale attuale all’interno delle parrocchie.
L’intento è infatti propositivo: per tornare a rivolgersi a Dio con il canto cristiano proprio della liturgia romana è necessario dapprima ritrovare gli spazi entro i quali echeggiano le longissimae melodiae, vale a dire lo spazio liturgico. Esso viene definito da Baroffio come un “cammino mistico” la cui meta è di natura trascendente. È solo in quest’ottica infatti che si può guardare al canto come ad un percorso che “ci conduce dentro le parole e di là delle parole stesse” in direzione delle “radici del proprio essere”.
L’essenza del canto non è infatti musicale, bensì spirituale:
“È difficile parlare di canto gregoriano come di un fatto musicale. Il gregoriano prende corpo grazie al linguaggio sonoro, ma non è musica; è essenzialmente preghiera. Rivela la Parola e ad essa conferisce la forza di penetrare nel cuore assopito e nella mente annebbiata”.
Ma la liturgia non è solo uno spazio, è anche “tempo”. Un tempo che Baroffio definisce “sprecato”, dal momento che esso non è inserito all’interno delle logiche funzionali che rispondono all’equazione “tempo=denaro”.
In questo ripensamento del fattore temporale la musica è maestra:
“Il canto non può esaurirsi nella linea melodica e nel ritmo musicale, bensì emerge progressivamente dalla comprensione esistenziale della Parola di D-i-o che ha un suo ritmo, una sua dinamica. È la Parola che si espande in un ampio respiro esigendo momenti di appoggio – scorrevole o attardato, leggero o fortemente incisivo – che mettano in evidenza precisi vocaboli che costituiscono il nucleo centrale e innovativo – un vero euangelion – della proclamazione liturgica”.
Le dilatazioni proprie del canto gregoriano fanno sì che la liturgia si riappropri del tempo che le è dovuto, lasciando al mondo della popular music quei ritmi sfrenati e psicotropi che servono a galvanizzare e ad eccitare l’ascoltatore.
D’altronde il canto cristiano non ha bisogno di cercare altrove la sua forza; come già notava Agostino di Ippona diversi secoli fa:
Tutta la scala dei sentimenti della nostra anima trova nella voce e nel canto il giusto temperamento e direi un’arcana, eccitante corrispondenza.
Da dove bisogna ripartire allora?
Innanzitutto da una nuova sensibilizzazione del clero che inizi già dal seminario e che si estenda alle realtà pastorali locali, in modo tale da ridare al canto il suo senso più profondo.
Si chiede Baroffio:
“Perché si canta nella liturgia? A questa interrogativo è possibile dare varie risposte. “Cantiamo perché ci piace cantare” oppure “Cantiamo per rendere più vivace e solenne la liturgia”. Queste e altre affermazioni sono legittime, ma non toccano il cuore del problema. Nella liturgia cantiamo perché siamo innamorati di D-i-o”.
Pertanto, prima di ricollocare il canto gregoriano nel posto che gli appartiene, sarà forse necessario ridare un valore non solo al canto, ma anzitutto al silenzio:
“Silenzio da cui è nato il canto gregoriano mille e più anni or sono, silenzio che anche oggi è l’unico spazio vitale in cui potrà prendere corpo il nuovo canto per la liturgia di domani”.
Re-tractationes (2018) di Giacomo Baroffio è pubblicato da Chorabooks.

Written by Matteo Macinanti
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