La nascita dello stile di Mozart nel rapporto fra voce e strumento

Capire cosa renda un capolavoro tale è una questione che ha attraversato la storia dell’estetica occidentale.

Autore: Emanuela Borghi

27 Gennaio 2018
Al di là di ogni tentativo di stabilire un parametro tecnico per distillare le caratteristiche fondamentali di un capolavoro, sono sempre risultate ineffabili. Tuttavia, ascoltando le opere di Wolfgang Amadeus Mozart, è impossibile non notare che un aspetto le lega tutte e le tiene unite come un filo: la cantabilità. Che si tratti di un’opera, di un Singspiel o di un concerto, le linee melodiche riescono sempre con leggerezza ad emergere imprimendosi in modo indelebile nell’ascoltatore. Questa particolare inclinazione e valorizzazione delle linee melodiche non è casuale, ma frutto di un’elaborazione poetica ed estetica che incomincia sin dal gusto paterno.

Leopold Mozart confeziona quello che diventerà uno dei più importanti trattati sul violino, Metodo per un’approfondita scuola del violino, che supera ampiamente la volontà di essere un valido strumento didattico e diventa un trattato di estetica musicale. Tutti i dettagli inerenti alla produzione del suono si possono coagulare attorno all’idea che Leopold Mozart voglia parlare di quella che oggi definiremmo interpretazione. L’aspetto esecutivo si carica di un grande peso retorico come rappresentazione degli stati d’animo, degli affetti. Nonostante la padronanza tecnica sia considerata indispensabile, il virtuosismo fine a se stesso è posto fra i più grandi difetti del musicista, così come la più grande dote risiede nella capacità di modellare il fraseggio sul canto.

Dalla corrispondenza fra Mozart padre e figlio emerge un forte accordo circa la poetica e l’estetica da adottare nella composizione: il fraseggio deve esser modellato ricercando la cantabilità. Questo termine, che diventa una vera e propria categoria estetica che andrà ad investire l’intera opera mozartiana, si sviluppa nella sua gioventù, studiando sul violino e dialogando col padre. La più grande preoccupazione per il padre era che il figlio non riuscisse a raggiungere il successo meritato, per ottenere il consenso del più vasto pubblico possibile era necessario che il giovane Mozart non componesse musica eccessivamente complessa. La musica per i Mozart non doveva esser un esercizio intellettuale, attraverso la semplicità e la coerenza delle parti era possibile ottenere un risultato eccellente dal punto di vista estetico, compositivo ed al tempo stesso accessibile ad un vasto pubblico. Questo stile naturale, semplice, orecchiabile, strutturato sul modello della linea vocale, penetra nella musica strumentale, caricandola di un’inedita teatralità. In particolar modo il violino accoglie questa inclinazione cantabile, come è possibile osservare confrontando la linea dello strumento con quella vocale all’interno delle due arie con violino concertante L’amerò, sarò costante e Non temer, amato bene.

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L’amerò, sarò costante è un’aria in forma di rondò interpretata da Aminta nel Re pastore, su libretto del Metastasio e messa in musica da Mozart per celebrare il soggiorno a Salisburgo dell’arciduca Massimiliano nel 1775. Quest’aria interpretata dal protagonista dell’opera, Aminta, segna il culmine drammatico della commedia, generando un equivoco che diventerà il fulcro dell’azione. Aminta, erede al trono di Sadia, è costretto a fuggire, conducendo una vita da pastore, per non esser ucciso dal tiranno Sidone, che si voleva impossessare del trono. Solo la conquista dell’antica Fenicia da parte di Alessandro Magno riuscirà a porre fine al governo tirannico di Sidone ed a decretare l’ascesa al trono del legittimo erede Aminta, al fianco della sua amata Elisa. Questo rondò è una dichiarazione di amore che viene erroneamente interpretata da Elisa come un tradimento. La giovane amata infatti crede che questo slancio di amore e fedeltà sia indirizzato a Tamiri, donna che Alessandro Magno aveva indicato come sposa adatta al nuovo re. Aminta, nonostante si sia espresso in modo ambiguo nel recitativo che precede l’aria e nonostante l’estrema fedeltà nei confronti dell’Imperatore possa indurlo ad obbedire ciecamente, coronerà il suo amore sposando Elisa, con la benedizione di Alessandro Magno.

L’organico di L’amerò, sarò costante richiama quello della serenata: flauti, corni inglesi, fagotti, corni, archi con sordina e violino obbligato. La struttura ripetitiva del rondò si presta drammaturgicamente ad evocare la sensazione di pace, calma ed accettazione tipica di un giuramento di fedeltà futura. Il violino concertante non ha il compito di impreziosire l’aria in modo superficiale, ma ha un grande peso drammatico: è un personaggio, è la voce di Elisa. Lo strumento obbligato ha un notevole peso emotivo e dialoga con Aminta. La sua amata, che non è in scena, ha così la possibilità di esprimere le sue emozioni attraverso il suono del violino, mezzo privilegiato per esprimere l’interiorità del personaggio, che dialoga virtualmente col protagonista che è in scena.

Quest’aria diventa l’emblema del rapporto fra Mozart ed il violino. Il pezzo è posto al centro dell’opera ed è il fulcro emotivo, musicale e drammatico. La forma di rondò si basa su un rapporto di alternanza fra refrain ed episodi molto semplice, strutturata con un solo episodio, che si ripresenta con una variazione con delle inflessioni minori, ed una coda conclusiva. L’episodio non contrasta col ritornello, per aumentare la compattezza e legarsi drammaturgicamente al tema della fedeltà. La strumentazione crea un particolare effetto dolce, onirico ed ovattato e dall’orchestra esce il violino concertante che è indipendente e raramente doppia i violini primi. Il violino esegue figure proprie, maggiormente elaborate e virtuosistiche nei momenti più emotivi oppure di accompagnamento per terze parallele.  Dall’introduzione orchestrale sono ricavate le tre battute per concludere ciclicamente il pezzo. La conclusione ha un valenza positiva e serve a fugare tutti i dubbi che erano nati in Aminta, esposti musicalmente attraverso le inflessioni minori presenti nella variazione dell’unico episodio del rondò.

Questa cantabilità veicolata da una grande espressività condivisa sia dalla linea vocale che dalla parte strumentale ritorna anche in un’altra aria con violino concertante: il rondò Non temer, amato bene.


L’aria è tratta dalla versione viennese dell’ Idomeneo del 1786. Torna nuovamente il tema della fedeltà all’amata giurata da Idomeneo a Ilia, suo primo, unico ed eterno amore. Un recitativo accompagnato precede il rondò Non temer, amato bene. La forma è bipartita, ma fra l’andante e l’allegro moderato ci sono degli elementi comuni che concorrono a mantenere unita l’aria.  La forma lenta presenta la prima strofa, con ripresa e variazione, e la seconda strofa. La seconda parte in tempo mosso presenta un ritornello e due episodi differenti, Per dare compattezza al pezzo ci sono degli elementi ricorrenti: dal primo tema, che è quello sul quale viene intonata la prima strofa, deriva sia quello che caratterizza il ritornello della seconda parte sia la coda conclusiva.  In questo modo alcuni versi e motivi tematici sono condivisi dalle due parti, così come il tema principale della seconda parte deriva dalla prima, mantenendo ben in evidenza il ritmo di gavotta. La ripresa finale del refrain, seguito da una coda conclusiva, viene giocata sui temi principali delle due parti del rondò dal violino e dalla voce. Lo strumento non solo accompagna la linea vocale, ma interagisce anche autonomamente, sviluppando delle proprie melodie.

I due rondò citati esemplificano gli elementi dell’impronta stilistica e dell’identità compositiva che caratterizzeranno l’opera di Mozart anche nelle fasi più mature. Il compositore, sperimentando l’archetipo della vocalità nel rapporto fra voce e violini, pone le basi alla concezione drammaturgica della forma musicale. Indipendentemente dalla tipologia del genere musicale, l’archetipo della musicalità investe ogni opera e si esprime principalmente attraverso un’integrazione equilibrata di elementi strumentali e vocali. La medietà stilistica è il risultato dell’equilibrio di tanti elementi diversi, conciliati in modo organico. La dimensione lirica e sentimentale viene mitigata dall’ironia e dal gusto  delle citazioni tratte dal repertorio popolare. Lo stile medio è conferito attraverso una pluralità di stili che confluiscono in un un’unica opera, fondendo la musica più ricercata a quella danzabile e popolare. La ricchezza della gamma espressiva è l’obiettivo maggiormente perseguito da un compositore che, senza tralasciare i virtuosismi dell’esecuzione vocale e strumentale, sente di dover conferire alla musica un potere emotivo inedito.

Fra pezzi strumentali e numeri operistici si crea un rapporto di reciproco scambio ed integrazione: la teatralità dell’opera confluisce nei pezzi strumentali, che diventano sempre più narrativi, comunicativi e sentimentali. Sia in L’amerò, sarò costante che in Non temere, amato bene lo strumento solista diventa un personaggio ed acquista una voce ed un ruolo comunicativo da personaggio con un ruolo attivo e dialogico. Il violino diventa un doppio alter ego poi può esprimere la natura intima del personaggio in scena oppure dialogare con quest’ultimo, rappresentando il personaggio che non è in scena, ma al quale viene indirizzato il rondò. Il ruolo del violino è decisivo non solo dal punti di vista musicale, ma anche drammaturgico. La chiave interpretativa dei rondò è racchiusa proprio nel rapporto.

Un ulteriore passo in avanti sulla via della conquista di una maggior teatralità ed espressività viene compiuto nella ripresa del rondò Non temere, amato bene scorporata dall’opera Idomeneo e rimodellato sulla voce del soprano Nancy Storace. Il 23 febbraio 1787 Mozart eseguì il pezzo con la cantante che l’anno prima era stata scritturata per la parte di Susanna ne Le nozze di Figaro. A duettare con la voce non ci sarà più il violino, ma il pianoforte, lo strumento col quale Mozart stringerà il rapporto più intenso e duraturo. Il vero punto di svolta rispetto ai rondò precedenti risiede nel rapporto fra voce e strumento concertante, che si configura molto più complesso, vario ed articolato. Il pianoforte assume un ruolo ben più rilevante rispetto a quello assunto dal violino negli altri due rondò. Il ruolo ancora una volta si fa duplice: da un lato accompagnamento della voce, dall’altro entità autonoma col quale si crea un dialogo con la voce del soprano. L’autonomia del pianoforte si dipana attraverso la formulazione dei temi principali del primo e del secondo tempo e contribuisce a scandire l’articolazione formale del pezzo. Anche nell’accompagnamento il pianoforte non si limita ad un ruolo accessorio, ma accompagna le note lunghe e tenute della cantante sostenendole, oppure abbellendo la linea vocale sovrapponendo elaborati ricami cromatici.

L’interazione con la voce è però definita dalla varietà dialogica proposta dal compositore. Nel rondò sono presenti tre elementi che dialogano fra loro, conferendo un grande spessore narrativo al pezzo, e sono il pianoforte, la voce del soprano e l’orchestra. I modo di interazione fra lo strumento obbligato e la voce si configurano in replica, quando i motivi musicali vengono ripresi da entrambi, in controreplica, quando si rispondono con frasi e con motivi differenti ed infine si parla di cooperazione quando un motivo musicale viene condiviso fra la voce ed il pianoforte e si costruisce nella collaborazione delle due parti. Nonostante la tendenza all’espansione, i due rondò condividono lo stesso schema e gli stessi rapporti tonali. La prima parte è un andante che presenta due episodi, la seconda un allegretto composto da un ritornello e due episodi, con una coda più elaborata e virtuosistica.

La ripresa del rondò Non temere, amato bene del 1787 mostra un maggior valore estetico e raffinatezza compositiva rispetto agli altri due rondò tratti dal Re pastore e dall’Idomeneo, tuttavia rappresentano tre validi esempi della formazione dello stile compositivo mozartiano, che si riverserà nella sua produzione strumentali ed operistica. È già possibile individuare in questa produzione quegli elementi che si riverseranno nei capolavori futuri, rendendoli tali: la cantabilità ed il senso narrativo che attraversano tutta la produzione mozartiana. La cantabilità consiste nell’applicare l’archetipo vocale all’intera composizione. Traslando la sensibilità vocale allo strumento si ottiene un rapporto dialogico fra i due che interagiscono come personaggi in una narrazione. Mozart concilia nel sue stile tre grandi tradizione differenti, che mette in rapporto di cooperazione fra loro. Dallo stile austro-tedesco recupera l’impianto sonatistico, l’ampiezza di formato, la ricchezza dell’accompagnamento al solo ed il trattamento dell’orchestra. Il gusto francese emerge nella scelta del rondò in tempo di minuetto, mentre la cantabilità  e la teatralità derivano dal genere operistico italiano. La compresenza di tanti elementi diversi, tratti da molteplici registri retorici e stilistici e da generi differenti, vengono riunificati in una sola opera, creando quell’armoniosa varietà che caratterizzerà i più grandi capolavori mozartiani.

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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