Il borghese gentiluomo: arte, oriente, potere

“Nulla è utile, in uno Stato, quanto la musica”

Autore: Gabriele Toma

2 Novembre 2017
Antefatto

Il 5 dicembre 1669 a Saint-Germain si verificò un buffo e destabilizzante incidente diplomatico. In quel periodo il Re Sole Luigi XIV era occupato a stringere relazioni politiche con l’Impero ottomano, per rinnovare l’antica alleanza anti-asburgica dei tempi di Francesco I. Per questo motivo, quando giunse la notizia che in Francia sarebbe arrivato il latore di un messaggio del Gran Turco, fu imbastito un ricevimento – appunto –  “alla turca” tra i più fastosi di sempre, che lanciò la moda orientale a corte.

Peccato che, giunto il messaggero, ci si accorse che la sua lettera non conteneva credenziali e che il poveretto non aveva il titolo di ambasciatore: la sua missione non aveva insomma un rilievo tale da giustificare una simile pompa. Il re Sole corse immediatamente ai ripari commissionando a Molière e Lully una comèdie-ballet che inscenasse un falso turco e, per rendere quest’opera il più efficace possibile, ordinò al cavaliere d’Arvieux, che ben conosceva l’Oriente, di ragguagliare i due autori circa gli usi e i costumi ottomani.

Nacque così Le bourgeois gentilhomme.

Arte e potere

“L’aneddoto è significativo in quanto mostra come il potere, destabilizzato per un attimo da quel fatto, avesse ideato la propria restaurazione intorno alla produzione di un’opera d’arte”

Da sempre il potere per legittimarsi di fronte all’opinione pubblica ha fatto uso dell’arte proprio per la sua capacità, oltre che di intrattenere (i famosi circenses di Augustiana memoria), di modificare la percezione della realtà per mezzo dell’aggiunta di un grado di astrazione insito nel processo della “rappresentazione”.

Gli avvenimenti politici si confondono quindi con la narrazione degli stessi, le persone coinvolte diventano personaggi, gli errori del potere suscitano la stessa bonaria risata degli equivoci della commedia.

Orientalismo

Nel caso specifico, la composizione del Borghese gentiluomo si inserisce nella “narrazione” di un Oriente stereotipato: dapprima gli antichi Greci, che vedevano ad Est la culla della dissolutezza, ma anche di un antico sapere, poi i Crociati, che condannavano gli empi “turchi”, hanno contribuito all’invenzione di un Oriente variopinto sede di fasti e creature esotiche, luogo di avventura ma anche di edonismo ed eccessi.

Questa visione dell’Oriente è frutto di un dogmatismo etico, culturale e artistico da parte dell’etnocentrico Occidente. Bisognerà attendere la relativamente recente etnomusicologia per assaporare, almeno nell’ambito che a noi interessa, rappresentazioni dell’Oriente realistiche e scevre da pregiudizi.

Come sostiene infatti Jeanne-Pierre Bartoli a proposito della prospettiva “eurocentrica”:

“essa si è sviluppata a partire da un sistema ricco di segni convenzionali, più o meno improntati sulla realtà, che a poco a poco hanno elaborato un Oriente presentato sino a tempi recentissimi come il riflesso inverso dell’Occidente”

È come se insomma si fosse nel tempo consolidato un “discorso” sull’Oriente che poco ha a che fare con la verità, ma che, come sostiene l’intellettuale palestinese Edward Said, è utile al potere occidentale “per esercitare la propria influenza e il proprio predominio sull’Oriente”. Ancora Bartoli:

“L’Oriente è la sede mitica delle paure dell’Occidente, il luogo delle sue aspirazioni ideali e dei suoi fantasmi repressi; materializza l’Altro e l’incompreso e, nel contempo, s’incarica di classificarli, di categorizzarli, per ridurne l’aspetto di alterità destabilizzante”

Dal punto di vista strettamente musicale, l’Oriente nel Borghese gentiluomo, così come nelle altre “turcherie” musicali coeve, compare come elemento più ornamentale che sostanziale, coerentemente con quanto appena detto: alle formazioni strumentali della tradizione occidentale vengono aggiunti strumenti come cimbali, tamburi e sonagli che imitano le parate in stile grandioso dei giannizzeri.

La stessa Marcia alla turca di Mozart, che pure è di oltre un secolo successiva, ha ben poco di “turco” in senso stretto, a parte il fatto che fu concepita per quei modelli di fortepiano, che iniziavano a svilupparsi verso la fine del Settecento, dotati del cosiddetto “pedale delle turcherie”, che non a caso attivava un piatto, una grancassa e dei sonagli, proprio ad evocare le parate militari turche.

Una funzione dell’arte

Nel I Atto, Scena seconda del Borghese gentiluomo il Maestro di Musica dichiara: “Nulla è utile, in uno Stato, quanto la musica” e addirittura: “Senza la musica, uno Stato non può sussistere”. Da artista di corte Molière doveva ben conoscere la necessità del Re di servirsi dell’arte per imprimere nell’immaginario collettivo determinate convinzioni o concetti; nella fattispecie era necessario costruire un “discorso” sull’Oriente che minimizzasse, tra una burla e l’altra, l’incidente diplomatico del falso turco.

L’accezione della parola “discorso” è da intendersi nel senso che ne dà Foucault nella sua Archeologie du savoir:

“Suppongo che in ogni società la produzione del discorso è insieme controllata, selezionata, organizzata e distribuita tramite un certo numero di procedure che hanno la funzione di scongiurarne i poteri e i pericoli, di padroneggiarne l’evento aleatorio, di schivarne la pesante, temibile materialità”

Un discorso che, per esercitare il proprio controllo sociale, deve negarsi, o, per meglio dire, occultarsi: “un discorso che, nello stesso momento in cui esercita un controllo su coloro che lo usano, si autocensura”(Edward Said).

Questa riflessione porta a riconsiderare in una prospettiva del tutto nuova il nostro tempo e la realtà sociale che ci circonda: dall’epoca del Re Sole ad oggi l’esponenziale progresso tecnologico a disposizione del potere consente una pressoché capillare pervasività del “discorso”. Se nel XVII secolo c’era la commedia ad alterare la percezione dei fatti politici, ora ci sono gli show televisivi, i giornali, i tg, i social network, la pubblicità onnipresente. Si è oggi arrivati ad un punto tale che non è più possibile osservare oggettivamente la realtà fenomenica – o perlomeno è molto arduo –  poiché essa è completamente compenetrata nella “videosfera”.

Questo termine è stato coniato dall’intellettuale francese Régis Debray in Vita e morte dell’immagine per indicare il costante bombardamento di immagini cui siamo tutti quanti sottoposti: tale assedio visivo avrebbe a detta dello studioso prodotto una sorta di stordimento, una perdita dello spirito critico e del senso del tempo, ridotto ad un eterno presente unidimensionale.

La funzione dell’Arte

Oltre alla funzione pragmatica dell’arte di garantire stabilità al potere, il genio di Molière ne intravede una seconda funzione, più profonda, ideale. Questa visione, che suona un po’ come un augurio all’umanità, emerge nella seconda Scena del primo atto, in cui i Maestri di Musica e di Ballo cercano di far capire all’ignorante borghese arricchito Jourdain quanto sia importante per un uomo imparare a suonare e a danzare.

MAESTRO DI MUSICA: Tutti i disordini, tutte le guerre che si vedono nel mondo, accadono perché non si studia la musica.

MAESTRO DI BALLO: Tutte le sventure degli uomini, tutti i rovesci funesti di cui son piene le storie, gli svarioni dei politici, e i granchi dei sommi capitani, tutto ciò è avvenuto perché non si sapeva danzare.

JOURDAIN: Come può essere possibile?

MAESTRO DI MUSICA: La guerra non nasce dalla mancanza di armonia fra gli uomini?

JOURDAIN: È vero.

MAESTRO DI MUSICA: E se tutti gli uomini imparassero la musica, non sarebbe questo il mezzo per accordarsi e per vedere nel mondo la pace universale?

JOURDAIN: Avete ragione.

MAESTRO DI BALLO: Quando uno ha commesso un errore di condotta o nelle sue faccende private o governando uno Stato, o comandando un esercito, non si dice sempre: «Quel tale ha compiuto un passo falso?»

JOURDAIN: Sì, si dice così.

MAESTRO DI BALLO: E fare un passo falso può dipendere da qualcosa che non sia il non saper danzare?

JOURDAIN: È vero. Avete ragione tutti e due.

MAESTRO DI BALLO: Questo per dimostrarvi l’eccellenza e l’utilità del ballo e della musica.

JOURDAIN: Adesso ne sono convinto.

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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