L’arte della fisarmonica: a tu per tu con Pietro Roffi

Conoscere la musica e il suo mondo è sempre bello e particolare, un’esperienza piena di sfumature di ogni tipo.

Autore: Michela Marchiana

23 Luglio 2017
Chi lo vede e lo ascolta da fuori ha in mente una favola, un paradiso, pieno di soddisfazioni con il giusto lavoro. Chi invece lo vive in prima persona o cerca di scavare più a fondo capisce quanto duro lavoro e quanti sacrifici ci siano da affrontare per vivere di musica. Il musicista che suona in concerto per una sera non è una marionetta che è progettata per suonare in un determinato modo quel determinato programma in quella determinata data. Quanto numerose sono le sfumature in musica, anche addirittura in una sola composizione, altrettante sono le sfumature che caratterizzano i vari musicisti ed esecutori e il loro carattere.

Quale miglior modo c’era di conoscere in profondità un musicista, giovane ma con esperienza alle spalle, che si è formato tutto da sé se non un’intervista? E se il giovane musicista è anche in gamba il risultato sarà una piacevolissima chiacchierata in una sera d’estate.

Il giovane musicista in questione è Pietro Roffi. Fisarmonicista nato nel 1992, ha iniziato a studiare musica all’età di 6 anni, ha frequentato il Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma, e ha tenuto innumerevoli concerti in giro per il mondo. In quello che è sembrato essere l’anno delle Variazioni Goldberg di Johann Sebastian Bach, Pietro ha concerti programmati durante l’estate e oltre in cui ha deciso di eseguire proprio le Variazioni Goldberg, chiaramente e vivacemente riportate sulla fisarmonica. Da questo è nata la curiosità sufficiente per fare un’intervista, o meglio, una chiacchierata tra giovani appassionati  di musica.

 

– Iniziamo con una domanda ovvia ma non troppo, chi è Pietro e chi è Pietro fisarmonicista?

Dopo anni passati a studiare questo strumento e a vivere in questo modo posso affermare che io sono sempre lo stesso. Pietro ragazzo di (quasi) 25 anni è la stessa persona del Pietro fisarmonicista, perché ormai la musica e la fisarmonica fanno parte di me e della mia routine quotidiana. Ci si accorge di questo quando si vuole solamente suonare, fare concerti e studiare cose nuove, quando il primo pensiero la mattina e l’ultimo la sera è la musica e il proprio strumento, a partire da quanto mi è piaciuto un concerto che ho ascoltato a quale diteggiatura e fraseggio fare nella battuta X del brano Y. La musica ormai è te e tu sei la musica. Il mio carattere è quello che è anche perché la musica mi ha portato ad essere così.

 

– Parliamo del tuo strumento, la fisarmonica. Come si inserisce nel mondo della musica, classica e non?

Quando si parla di fisarmonica alle persone sono due le cose che vengono in mente: Piazzolla e le balere da ballo.
E pensare che Piazzolla non ha scritto nemmeno una nota per fisarmonica, ma quelle che suoniamo oggi sono trascrizioni di pezzi scritti in origine per bandoneón!
La fisarmonica non è solo il liscio della balera. Non è polka, tango e mazurka.
La fisarmonica nasce come strumento del folklore ma io suono quella che definisco fisarmonica “classica” e rispetto alla fisarmonica della musica tradizione c’è proprio una differenza materiale. Con entrambe le mani, a un singolo bottone corrisponde in singolo suono, mentre nella fisarmonica tradizionale a un bottone della tastiera, nella mano sinistra, corrisponde un accordo precomposto. Questa differenza è importantissima perché con la mia fisarmonica posso suonare nei bassi gli accordi a qualsiasi rivolto o disposizione io voglia, e ciò rende più vari i timbri, più profondi i suoni e mi permette in sostanza di relazionarmi con la polifonia, di ogni tipo, fin dove possibile.
Un’altra caratteristica della fisarmonica che la rende unica nel suo genere è il mantice, che è la chiave della bellezza dello strumento, perché è grazie al mantice che io posso passare da un impercettibile pianissimo a un fortissimo che riempie una sala da concerto. Questa è anche la differenza sostanziale con lo strumento a cui più spesso, inevitabilmente, mi relaziono per la scelta del repertorio, cioè il pianoforte: all’interno di un singolo accordo, di una singola nota, posso fare crescendo e diminuendo senza essere costretto da un martelletto che percuote una corda, che una volta percossa emette uno specifico timbro, senza che questo possa essere modificato o modulato.

 

– Sempre perché la fisarmonica non è un strumento conosciuto o comunque non in maniera profonda, come ti relazioni al pubblico?

Per risponderti ti farò un esempio. Quando vengo ingaggiato per la prima volta per un festival, dove è possibile che ci sia un pubblico che non abbia mai ascoltato la fisarmonica sotto questa veste, come primo programma faccio sempre delle scelte che vanno da Vivaldi alla musica contemporanea passando magari per Piazzolla e autori come Janáček, un programma insomma all’insegna della cantabilità e orecchiabilità e della leggerezza, che possa dare un’idea delle possibilità espressive del mio strumento. Quando l’anno dopo vengo contattato per lo stesso festival, allora scelgo un repertorio più robusto ma più appagante per me, come un Bach a caso, ad esempio le tanto amate Variazioni Goldberg, perché il pubblico ormai sa cosa va a sentire, sa come suona una fisarmonica e cosa aspettarsi. In passato ho “conquistato” con Piazzolla e poi deliziato, l’anno dopo, con Scarlatti!

– Ma non ti senti sacrificato per questo motivo nella scelta del repertorio?

No, perché io suono quello che mi piace a prescindere e mi piace suonare la fisarmonica, qualunque cosa. Certo, la soddisfazione quella vera è il programma serio. Non suono per fare successo ma per la musica. Non suono mai per fare successo ma per la musica. Insomma, non suono Libertango per  essere applaudito dalle folle ma, semmai, solo perché è una scelta che mi aggrada! Relazionarsi a un pubblico che non comprende ancora la fisarmonica, come dicevamo prima, è difficile, la gente ha preconcetti, e quindi il programma più “serio” e a cui mi dedico di più, a cui fa capo uno studio metodico e pignolo, non sempre viene visto di buon occhio. Pensare appunto alle Variazioni Goldberg trascritte per fisarmonica è un’impresa anche psicologica. Io suono le Goldberg non “come imitazione di” però riportate alla fisarmonica, io suono le Goldberg alla fisarmonica e basta, perché è così, ho deciso di fare questo tipo di lavoro e di studio e non c’è scritto da nessuna parte che non lo possa fare. (ride)

 

– Parliamo ora proprio delle Variazioni Goldberg: quale sarà il loro viaggio?

Sicuramente le suonerò tutte in una delle serate dei concerti della tournée che farò la seconda metà di Agosto in Lituania, dove dovrò suonare prima a Raudondvaris e poi a Vilnius, la capitale.
Le suonerò poi al Narnia Festival, a Valmontone e poi, dopo la Lituania, a fine anno andrò in Romania. E questo è il 2017 delle mie Variazioni Golberg. Per il prossimo anno sicuramente le riproporrò in concerto ma la priorità è inciderle, per ricordare questo fantasioso, nuovo e colorato periodo di studio e di lavoro.

 

– Una domanda che sorge spontanea è perché Bach? E perché forse il miglior Bach che sia mai stato scritto?

A me piace suonare di tutto, faccio esperimenti improbabili e sempre leggo sempre cose nuove. La scelta di Bach è stata perché volevo sapere quali limiti avessi e fino a dove potevo spingermi, perché è proibitivo e, logicamente, difficile da interpretare ed eseguire alla fisarmonica. Ma questo lavoro è diventato un’enciclopedia sia musicale, per la musica scritta da Bach, mai immaginata sicuramente per fisarmonica da lui, ma che ho studiato così come scritta senza cambiare nulla, a parti reali, da cui ho appreso un mondo di scienza. Ma poi, soprattutto, è diventato un’enciclopedia della mia personalità, come ho lavorato su Bach e sulle Goldberg nello specifico, così sono io . Il mio lavoro è incentrato sulla fantasia, ma una fantasia sempre impregnata di umiltà. Interpreto cose già scritte da un genio che è il compositore, ma le interpreto a modo mio, entro i limiti filologici.
Ho riscontrato la stessa emozione e fantasia ascoltando le Variazioni di Beatrice Rana perché, oltre a essere un talento incredibile, ha fatto sua quella musica, erano le variazioni Goldberg di Bach ma di Beatrice Rana. Io le faccio in modo diametralmente opposto, perché sono sempre le Goldberg di Bach ma quelle di Pietro Roffi.
Fantasia e umiltà.
È il segreto del mio studio e della musica che faccio. Ogni interpretazione è valida sempre allo stesso livello, purché sia ragionata e studiata con passione, fantasia e umiltà.

 

“Nessun grande artista vede mai le cose come realmente sono. Se lo facesse, cesserebbe di essere un artista.”

Michela Marchiana

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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