Il quartetto in La minore di Alfred Schnittke dopo – e con – Gustav Mahler

La storia della musica è costellata di incontri, comunanze, affinità, tra compositori, anche lontanissimi tra loro.

Autore: Valerio Sebastiani

11 Maggio 2017
Uno tra i più particolari, e forse meno noti incontri, è stato quello tra un Gustav Mahler quindicenne allievo di Conservatorio nel 1876 e Alfred Schnittke, un non troppo anziano compositore russo del ventesimo secolo. Un incontro avvenuto a distanza di ben 110 anni, numero più numero meno. Chi programmò questo incontro “fuori  tempo” è Schnittke, che nel 1988 sentì improvvisamente una particolare affinità per l’incompleto Quartetto per pianoforte e archi che Gustav Mahler nel 1876 iniziò a comporre. Alfred Schnittke decise di continuare laddove il giovane Mahler si era fermato, convertendo e ampliando il concetto alla base dell’audace quartetto – la disarticolazione della forma-Sonata applicata alla musica cameristica ottocentesca – con la sensibilità di un uomo che ha vissuto tutte le contraddizioni del novecento europeo.

Un fantasma

Ci sono opere che riprendono il loro viaggio dopo decenni di isolamento dalla storia, musiche che rimangono solo nell’immaginazione, nelle supposizioni di chi ascolta; parafrasando il celebre musicologo Quirino Principe: dei fantasmi che aspettano solo di essere evocati. Il Klavierquartet in La minore di Gustav Mahler è uno di questi.

Lavoro giovanile dell’allievo di conservatorio Gustav, temperato ma inquieto, sembrerebbe inondato degli umori adolescenziali di un qualunque talentoso sedicenne studente di musica che lavora a un brano cameristico, ancora condizionato dall’abnorme presenza negli appunti scolastici di Brahms, Schumann e Schubert.

Un lavoro scolastico che però tradisce ben altro che la banalità contingente di un’esercitazione: la ricerca di originalità è ben evidente. Armonie sospese, temi volutamente spogli, essenziali e per questo efficaci, a costruire un’atmosfera di indeterminatezza, con una sintassi asimmetrica: “tutto si regge a filo d’acqua”. La struttura circolare suggerisce proprio l’impossibilità di continuare ad accettare le regole imposte da oltre un secolo di forma-Sonata applicata alla musica da camera. Ha ben ragione chi riconosce in questo succedersi ossessivo e ciclico dei tre temi, non tanto una scarsità di originalità nel gestire la materia offerta dalla forma-Sonata, quanto una volontà sottesa, ancora non pienamente conscia di destrutturarla, di lasciarla al tracollo.

Il recupero

Rimasto sepolto tra i carteggi del compositore, dopo la sua morte fu recuperato e inserito da Alma Schindler in una cartella sulla cui copertina recitava: “Früe Kompositionen”. Composizioni della gioventù. Non ci è dato sapere chi decise di strappare alcuni di questi manoscritti dall’eclissi e di riconsegnarli nelle mani di esecutori, interpreti e studiosi. Sappiamo sicuramente però che due tempi di un Klavierquartett, uno completo, l’altro (uno Scherzo in Sol minore) solo abbozzato, erano compresi in questa cartella. Si è dovuto aspettare l’intervento filologico del musicologo Peter Ruzicka per poter avere una partitura leggibile ed eseguibile della “intera” composizione: nel 1964 a New York il Quartetto Galimir ha consegnato al pubblico americano, nel fiume in piena della cosiddetta Mahler Renaissance, un altro tassello del sistema caleidoscopico del compositore viennese.

http://www.youtube.com/watch?v=qtktswl3rNQ

Esecuzione del Quartetto di Mahler da parte del Borodin Quartett

L’intervento di Alfred Schnittke

110 anni dopo la composizione del quartetto, nel 1988, il compositore russo e tedesco Alfred Schnittke  (Engels, 24 novembre 1934 – Amburgo, 3 agosto 1998) venne a convocare queste ombre: lo Scherzo non era stato mai eseguito, e non a torto, visto che si trattava di un movimento monco, incompleto; diciamo pure che non era nemmeno Musica, ma solo una volontà appena costituita. Per questo, ma forse anche per altri motivi che poi vedremo, Schnittke decise di costruire sulle 27 battute rimaste amorfe un suo completamento, per poi inserirlo nel Concerto Grosso n.4.

Schnittke come Mahler credeva nello stile parodistico, misto a un brillante polistilismo che gli permetteva di manovrare con grande disinvoltura musiche di varie ere con risultati entusiasmanti: le sue sinfonie ebbero fin da subito un impatto mostruoso sul pubblico sovietico, che definì “liberatorio” e “audace” il suo modo di comporre. Sorretta tra le colonne di due culture, quella russa e quella tedesca, la musica di Schnittke è una musica nevrotica, che non si sofferma su uno stile, una forma, ma cambia pedissequamente profilo. Per lui la tensione drammatica tardo-Romantica per eccellenza, quella offerta dallo scompaginamento delle forme musicali classiche – era pur sempre un seguace della poetica mahleriana e consequenzialmente di Shostakovich – assumeva nuovo senso storico nel misurarsi con il conflitto tra dissonanza e consonanza. Questo precetto viene configurato in una maniera molto peculiare nel quartetto che compose sulla scia di Mahler.

http://www.youtube.com/watch?v=Y1zq8LhjQ_w

Esecuzione del Quartetto di Schnittke da parte dell’Avos Quartett.

Una maschera funeraria

È chiaro fin da un primo ascolto come le intenzioni di Schnittke non fossero quelle di restaurare un’opera incompleta, di dubbia datazione per giunta, piuttosto di convocare degli elementi rimasti incompiuti, monchi, dal quartetto originale e mascherarli con la sua personalissima matrice stilistica. Inizialmente la sensazione che si ha ascoltando le prime battute della copula di Schnittke, è di un procedimento parodistico che sviluppa direttamente dal materiale mahleriano, i frammenti dello Scherzo incompiuto.

Bastano poche battute però perché tutto cambi in maniera radicale.

L’ostinato che Schnittke costruisce direttamente dalla partitura di Mahler viene sfiancato da un’aggiunta progressiva di dissonanze, che culmina nella parte centrale con dei violentissimi cluster eseguiti dal pianoforte, un’implosione strutturale mentre viola, violino e violoncello pronunciano un canone. Tre volte il canone oscilla indefessamente tra i cluster del pianoforte, cercando un momento culminante, che giunge ridotto letteralmente all’osso negli armonici lasciati dall’ultima progressione di cluster, questa volta unisoni con tutti gli strumenti. Così, il tumultuoso grigiore originale della composizione mahleriana, dato anche da una voluta costruzione di asimmetrie nei fraseggi, viene portato dall’esasperazione da Schnittke, contribuendo ad amplificare la sensazione di precarietà e imminente catastrofe già contenuta nel primo movimento del Klavierquartet.

Esaurita l’ultima fibra sonora degli armonici assistiamo a un’emersione spettrale, straniante, tutto ritorna consonante: ecco ancora le note dello Scherzo, il cui frammento questa volta viene eseguito interamente per tutte le sue 27 battute. La penna di Mahler termina con la ripresa del tema pronunciato dal pianoforte, ma questa interpolazione non basta a Schnittke per la sua opera di riconversione e decomposizione, e all’ultimo accordo fa seguire ex abrupto un altro cluster all’unisono, in cui si riconosce però in maniera distinta un semitono Do-Do#: un palinsesto inquietante, che testimonia molto più che l’ansia di un uomo per la percezione costante di un senso di morte incombente – Schnittke infatti sopravvisse a numerosi infarti, l’ultimo lo portò quasi al coma.

Vicini-lontani

Questo finale dimostra in cosa consiste l’abisso tra la mentalità dei due compositori, entrati in collisione con questo esperimento chirurgico/musicale. Come molti commentatori hanno avuto modo di sostenere, è una maschera funebre che viene applicata alla composizione di Mahler, più che un’integrazione. Si pone così la parola fine a qualunque idea progressista della musica, che smette di essere perfino una rappresentazione di sé, ma mera espressione della sua caducità e annichilimento.  Infatti al tentativo di una ricostruzione, di una rifondazione di una civiltà sull’orlo del precipizio, come poteva essere la Vienna fin de siècle, si sostituisce la brutale consapevolezza della fine di un mondo, sia culturale che mentale, ridotto all’osso dalla burocratizzazione stalinista prima e dal fallace tentativo di salvataggio all’ultimo secondo messa in atto dalla perestrojka di Gorbaciov poi. La Storia della Musica tende a far dimenticare che ci sono stati tanti altri testimoni del corso spettacolare e contraddittorio dell’Unione Sovietica, oltre a Shostakovich. Uno di questi è sicuramente Schnittke, che riassume in sé tutta l’anarchia, tutta la sinteticità, tutto il cinismo, tutta la visionareità, tutta la nostalgia espressa dalla musica nell’era di Brezhnev. E in questo è molto legittimo pensare come i due mondi di Mahler e Schnittke tutto sommato fossero accumunati dalla stessa percezione di insostenibile decadenza.

* L’immagine di copertina è un ritratto di Alfred Schnittke dipinto dall’artista irlandese Reginald Gray. 

Valerio Sebastiani

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

Written by Valerio Sebastiani

Classe 1992. Laureato in Musicologia all’Università “La Sapienza” di Roma, ha studiato Pianoforte presso il Conservatorio “Licinio Refice” di Frosinone. Ha frequentato i corsi del MaDAMM (Master in Direzione Artistica e Management Musicale) tenuti dall’Istituto Musicale “Luigi Boccherini” di Lucca. Attualmente è assistente alla direzione artistica dell'Accademia Filarmonica Romana e consulente scientifico della Treccani. Ha svolto attività di ricerca presso l’Akademie der Künste di Berlino e per conto dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Milita in Quinte Parallele dal 2016.

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