El Sistema, ovvero come hanno rivoluzionato la musica in Venezuela

La tecnica di associazione libera.

Autore: Giulia Cucciarelli

8 Febbraio 2017
C’è una tecnica in psicoanalisi chiamata “associazione libera”: si comincia citando una parola e il paziente elenca tutte le idee che si presentano alla mente. Proviamo anche noi.

Se dicessimo “Venezuela”, che immagine apparirebbe? Un Paese problematico, crisi economica, popolazione in grave difficoltà.
Se a Venezuela aggiungessimo “musica”? Sicuramente rispondereste merengue, salsa, folklore, forse qualche esperto penserebbe allo joropo.

Tutto giusto. Patrimoni immateriali che fanno parte dell’identità di un popolo, e a pieno titolo. Ma se nessuno ha pensato a speranza, riscatto, futuro, lavoro, è evidente che sono ancora in troppi a non conoscere El Sistema.

Conoscerete però nomi altisonanti come quello del compianto Claudio Abbado, Placido Domingo o Daniel Barenboim: tutti estimatori del progetto, il primo lo amava a tal punto da volerlo portare in Italia, e ci riuscì.

El Sistema è un modello didattico pubblico nato nel 1975 dall’intuizione del Maestro José Antonio Abreu, pianista, educatore, direttore d’orchestra, educatore, politico ed ex-economista, il quale immaginò di poter fronteggiare le logiche devianti della criminalità con la disciplina e l’impegno che sono alla base dello studio della musica.

Sulle prime potrebbe sembrare un’utopia, pura follia, ed infatti fu dura renderlo un progetto credibile: il primo giorno di prove, in uno scantinato di Caracas, solo undici bambini avevano risposto all’invito, e sedie e leggii inutilizzati potevano far pensare che quello sarebbe stato solo un bel sogno.

Adesso il problema è capovolto: poco spazio per più di 500.000 alunni strappati alla strada e ad un destino già segnato.

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I talenti figli di El Sistema non si contano più: basti ricordare i direttori d’orchestra Diego Matheuz, Christian Vásquez, Rafael Payare , Luis Alberto Castro e Joshua Dos Santos, il contrabbassista Edicson Ruiz, e ovviamente Gustavo Dudamel, forse il più famoso allievo di Abreu, attualmente direttore della Los Angeles Philharmonic.

Proprio Dudamel, durante un’intervista alla televisione italiana, ha affermato: “El Sistema non è una fabbrica di musicisti. El Sistema crea cittadini. Il problema non è creare cultura in un Paese dove è grande il divario tra la classe abbiente e quella povera, il problema è portare la cultura in un mondo dove non esistono più valori, neanche quello della bellezza. E non è una questione limitata al Venezuela.”

José Antonio Abreu non è mai stato un visionario. Insegnare gratuitamente a suonare uno strumento ai bambini dei barrios non era poi troppo ambizioso, se tutti i governi hanno appoggiato il suo lavoro, anche grazie alle capacità diplomatiche di Abreu, che è riuscito nell’intento di trovare un sostegno dalla classe dirigente senza mai subire pressioni politiche.

Questo sistema educativo è gestito dalla Fundación del Estado para el Sistema Nacional de las Orquestas  Juveniles e Infantiles de Venezuela (FESNOJIV), che ad oggi promuove oltre 125 cori giovanili e 30 orchestre sinfoniche, con quasi 300 nuclei attivi, di cui 16 a Caracas.

Ana Lucrecia García, soprano venezuelano di fama internazionale dalla voce superba, prima di calcare i principali palcoscenici come protagonista delle opere più famose, è stata avviata alla musica proprio all’interno di El Sistema.

Contattata da chi scrive, racconta:

“Conobbi El Sistema grazie a mia madre, che aveva assistito ad un concerto di un’orchestra formata da soli bambini, e rimase talmente meravigliata da insistere perché ci andassi anch’io. Mi iscrisse e per questo gliene sarò per sempre grata, perché lì imparai a suonare il violino e ci rimasi per diversi anni, crescendo e migliorandomi.

Senza El Sistema la mia vita sarebbe molto diversa, non solo perché sicuramente farei un’altra professione, ma soprattutto perché quell’esperienza ha formato il mio carattere. Mi ha insegnato la disciplina, il valore dell’amicizia, mi ha fatto conoscere il significato del lavoro di squadra e sono riuscita a canalizzare tutte le mie energie in qualcosa di unico e bellissimo.”

In che modo El Sistema può fare ancora la differenza?

“Il grande apporto per il Venezuela e per il mondo- sostiene il soprano- è l’impronta che lascia nelle persone; oltre ad insegnare la musica in modo allegro e divertente crea una base solida che forgia il carattere, trasformandoci in persone migliori e migliori cittadini. E’ come se fosse un’ onda che emana amore per l’umanità e l’arte, e questo non conosce barriere”.

Tra i risultati più riusciti è impossibile non menzionare la creazione della Orquesta Sinfónica Simón Bolívar, che ha debuttato nel 2007 alla Carnegie Hall di New York, una delle più prestigiose sale da concerto del mondo, sotto la guida di Gustavo Dudamel.

Con il tempo l’età media dell’Orchestra è cresciuta e ha perso il titolo di “juvenil”, ma ne è stata creata un’altra, la “Teresa Carreño Youth Orchestra”, per ospitare le nuove generazioni che continuano a rispondere all’appello del M° Abreu.

Non solo progetti per l’infanzia e l’adolescenza: nel 2008 si è pensato di introdurre il programma anche all’interno delle carceri venezuelane, con ottimi risultati.

TOCAR Y LUCHAR, ovvero “suonare e lottare”, è diventato il motto che riecheggia tra i corridoi delle scuole ed è anche il titolo di un documentario del 2004 diretto da Alberto Arvelo; nel 2008 è stata la volta di “El Sistema. Musica per cambiare la vita”, e nel 2011 “A Slum Symphony” di Cristiano Barbarossa – documentario italiano che segue la vita di bambini appartenenti a quartieri difficili che affidano il proprio percorso di vita alle scuole di musica gestite da El Sistema- vince il Premio Flaiano, dopo aver trionfato l’anno precedente al Roma Fiction Fest e al Festival internazionale del cinema giovane Bellinzona.

A Caracas l’educazione musicale è diventata diritto costituzionale, e non è mai troppo presto per iniziare: bambini di due o tre anni prendono già in mano uno strumento, e se qualche tempo dopo entrano a far parte di un’orchestra, ricevono uno stipendio, per poi completare il ciclo insegnando alle nuove generazioni, trasmettendo ai nuovi allievi tutta l’energia e la passione che anni addietro avevano a loro volta assimilato.

Non solo Bach o Beethoven però: nel repertorio c’è spazio anche per le sonorità caraibiche, come il famoso “Mambo” di Leonard Bernstein, eseguito dalla Orquesta Juvenil Simón Bolívar diretta dal M° Dudamel, con l’intera platea in piedi a ballare.

Il miracolo della musica che salva non poteva restare confinato al Venezuela: El Sistema è diventato un modello adottato in decine di altri Paesi, dal resto dell’America Latina agli Stati Uniti, all’India, alla Nuova Zelanda.

In Scozia e in Inghilterra i governi hanno stanziato fondi per finanziare progetti musicali analoghi, offrendo un’opportunità ai giovani delle aree depresse.

E in Italia? Il già citato M° Claudio Abbado collaborò a lungo con il progetto e con José Antonio Abreu, e nel 2010 annunciò di voler adottare il modello anche in Italia; la burocrazia e la scomparsa del Maestro non furono d’aiuto, ma il contatto con l’esperienza venezuelana ha comunque dato i suoi frutti, e nel dicembre dello stesso anno è nato il Sistema delle Orchestre e dei Cori Giovanili e Infantili in Italia, onlus guidata da Federculture, da cui ha avuto vita l’Orchestra Giuseppe Sinopoli, sull’impronta di El Sistema.

L’idea è quella di coinvolgere bambini e ragazzi dai 4 ai 16 anni affetti da deficit sensoriali e disturbi psicosociali, o residenti in zone svantaggiate, oltre ai giovani degli Istituti Penitenziari Minorili.

Lo scorso dicembre i ragazzi dell’Orchestra Giuseppe Sinopoli sono stati protagonisti della XX edizione del Concerto di Natale in Senato, dopo la loro partecipazione del 2013, ed hanno eseguito con successo, tra gli altri, brani tratti dalla Cavalleria Rusticana di Mascagni, dal Barbiere di Siviglia di Rossini e dal Nabucco di Verdi.

Il coro di ragazzi con i guanti bianchi che accompagnava la musica disegnando con le mani una coreografia ispirata alla lingua dei segni si chiama “Coro Mani Bianche” e l’idea è nata proprio all’interno de El Sistema: il primo “Coro Manos Blancas” ha avuto vita in Venezuela nel 1999 grazie a Johnny Gomez e Naybeth García, che dirigeva il coro durante il Concerto in Senato, per coinvolgere bambini e adolescenti portatori di ogni tipo di deficit, permettendogli di interagire con l’Orchestra.

Nel 2010, grazie alla spinta del M° Abbado e alla collaborazione degli stessi docenti venezuelani, vede la luce anche in Italia il primo Coro Manos Blancas, precisamente a San Vito al Tagliamento (Udine); un perfetto esempio di inclusione sociale con un linguaggio universale e senza alcuna barriera.

Ora, alla luce di quanto è stato descritto, sembrerebbe proprio che la musica abbia salvato vite a rischio… ma viceversa, se fosse stato l’entusiasmo dei ragazzi del Sud del mondo ad aver salvato la musica?

Giulia Cucciarelli


Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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