5 Ascolti per incontrare Poulenc

“La mia musica è il mio ritratto.” (Francis Poulenc)

Autore: Gianluca Cremona

15 Febbraio 2017

Chi conosce Francis Poulenc può ben comprendere la difficoltà nel selezionare un ristretto numero di opere che rappresentino il suo stile: il compositore francese, infatti, è il creatore di un universo musicale molto vario, caleidoscopico, basato su svariate influenze, in continua evoluzione e svincolato dalla fedele appartenenza a specifiche correnti musicali. Questo perché la sua musica rispetta in modo molto fedele gli eventi che caratterizzarono la sua esistenza. Non esiste, quindi, un’intrinseca coerenza nel suo percorso compositivo, bensì una naturalezza quasi mozartiana nell’approcciarsi alla scrittura musicale, istintiva.

La sua fu un’esistenza tormentata dai contrasti: il più importante, senza dubbio, fu quello fra la sua omosessualità e la forte vocazione religiosa. Ma non solo: come scrive Ettore Napoli, quando parliamo di Poulenc descriviamo un “musicista dalla doppia personalità, devoto e beffardo, puro e irriverente, serio e ironico, malinconico e scherzoso” (Guida alla musica sinfonica). Tutto ciò, per l’appunto, si riflette sulla sua estetica musicale, e da questo nasce uno stile variegato, anti-romantico e anti-impressionista, ora neoclassico, ora all’avanguardia; alle volte entro i limiti della tonalità, altre volte libero da ogni schema formale o armonico.

Ha composto opere di ogni genere: brani pianistici, musica da camera, cantate religiose, melodrammi, concerti, balletti ed una Sinfonietta, oltre che una notevole quantità di romanze da camera.

Detto questo, la cosa più utile che possa fare chi vuole suggerire ascolti per approcciarsi alla musica di questo grande autore, un “gigante nascosto” all’interno del XX secolo, è quella di proporre brani profondamente diversi fra loro, cosicché venga resa al meglio la varietà dell’universo compositivo di Poulenc.

1) Concert Champetre FP49

Ultimato nel 1928, questo concerto per clavicembalo e orchestra è un vero gioiello, in un frizzante stile “neo-barocco”. In tre movimenti, fu composto appositamente per la leggendaria clavicembalista Wanda Landowska, che ne fu anche la prima esecutrice, insieme a Pierre Monteux sul podio con l’orchestra sinfonica di Parigi.

Di questa composizione sono da lodare l’orchestrazione, la fresca varietà dell’invenzione tematica, le varie coloriture che nascono dall’abbinamento fra stridenti dissonanze orchestrali, soprattutto da parte dei fiati, e il timbro delicato ma deciso del clavicembalo. L’aspetto più importante da sottolineare risiede, però, nel rapporto fra la tradizione e il presente: non si tratta di un semplice pastiche di Scarlatti o Couperin ma, come scrive Andrè Schaeffer, “è molto più vicino alla Sagra della primavera che ai clavicembalisti francesi”. Questo perchè Poulenc non si accontenta di fare un elegante riproposizione in chiave moderna di temi associabili all’epoca barocca, ma sfrutta il tutto per creare un nuovo linguaggio, ritmico, scarno, alle volte crudo, che nasce proprio dalla dialettica tradizione – contemporaneità. Le emozioni appartententi ad un passato ormai lontano non sfociano nella nostalgia di un’epoca d’oro perduta, bensì vengono intorbidite da una posizione di distacco da parte di Poulenc che gli permette di sottolineare l’inutilità e l’utopia del desiderio umano di ritornare al passato: quest’ultimo non esiste più, e quando si cercherà di riportarlo nel presente, esso avrà un aspetto nuovo, mutato ed avrà perduto la propria naturale essenza.

Viene proposto l’ascolto del terzo movimento (Finale: Presto très gai), nel quale, in un turbinio di citazioni di Bach, Couperin, Paradisi e tanti altri da parte del clavicembalo, con un incedere ritmico sempre più ossessivo che si alterna a momenti di tormentato lirismo, viene mantenuta attiva l’attenzione del pubblico, coinvolto quasi attivamente nell’ascolto di questo capolavoro.

youtube https://www.youtube.com/watch?v=ACWqerZtI5U&w=560&h=315

2) Concerto per due pianoforti e orchestra in re minore FP61

Fra i capolavori più conosciuti dell’autore, questo concerto in tre movimenti acquista, nella storia della musica, una posizione piuttosto centrale nella produzione per due pianoforti e orchestra, da una parte per la sua originalità, dall’altra per l’attenzione nei confronti della tradizione di questo particolare organico (modello principale è il concerto K. 365 di Mozart). Composto durante l’estate del 1932, è stato eseguito per la prima volta il 5 settembre dello stesso anno da Poulenc, Février e l’Orchestra della Scala, diretta da Désiré Defauw.

Si suggerisce l’ascolto del primo movimento, che si apre con un imponente accordo da parte di tutta l’orchestra, insieme ai due pianoforti, che da questo momento iniziano un gioco di scambio di ruoli, quasi una gara di bravura, alla quale partecipa attivamente l’orchestra, dinamica, in costante movimento, mai “di sostegno”, che abbina agli incessanti virtuosismi pianistici originali sonorità orchestrali. Dopo una parte agitata, nella quale vengono sfruttate le potenzialità ritmiche dei due pianoforti abbinati alle percussioni, viene esplorato l’aspetto sonoro e armonico, con un procedimento attraverso il quale si arriva al finale del primo tempo, un malinconico e inquietante moto perpetuo che conclude il brano e prepara all’atmosfera del Larghetto, il secondo movimento. A questo punto il tempo si ferma: l’orchestra non suona, il primo pianoforte esegue un tema che ricorda molto il movimento omonimo del concerto K537 di Mozart, fino a quando non entra in scena il secondo pianoforte che decora il tutto con armonie di ascendenza francese. L’orchestra si inserisce “prepotentemente” solo al termine di questa parte introduttiva. Anche in questo secondo movimento Poulenc si dimostra geniale nell’abbinare l’orchestra alle sonorità “doppie” dei due pianoforti sovrapposti. L’ultimo movimento, Allegro molto, riassume brevemente molti spunti tematici proveniente dai tempi che lo precedono, in una specie di danza dal carattere popolaresco, dove trovano spazio da una parte interventi quasi jazzistici, dall’altra momenti di lirismo provenienti dalla tradizione francese, in particolare parigina. Dopo un momento di silenzio assoluto il concerto termina in modo speculare a come era iniziato: i due pianoforti eseguono ossessivamente l’arpeggio formato dalle note re, mi bemolle, la, si bemolle – accordo che ha permeato armonicamente l’atmosfera dell’intero Concerto – che si esaurisce in pesanti ed improvvisi accordi da parte dell’intero organico.

youtube https://www.youtube.com/watch?v=V87wGyfUQiQ&w=560&h=315

3) Trio per oboe, fagotto e pianoforte FP 43

La terza è una proposta cameristica: qui conosciamo un Poulenc formalmente e, in parte, melodicamente, neo-haydniano. La scelta di un ensamble così particolare, invece, rappresenta un netto richiamo alla musica di Stravinsky. IL brano è stato composto a Cannes fra il febbraio e l’aprile del 1926. Poulenc scrive di essere soddisfatto di questa composizione “poichè è chiara nel tono ed è ben bilanciata. Per quelli che pensano che io non curo la forma, non esiterò a svelare i miei segreti in questo caso: il primo movimento segue il modello dell’Allegro ‘alla Haydn’, e il rondò finale il taglio dello scherzo del secondo concerto per pianoforte di Saint Saens. Ravel mi ha sempre raccomandato questo tipo di metodo, che spesso seguiva egli stesso” (Discussioni con Claude Rostand).

Parlando del primo movimento (Presto) è interessante sottolineare, anche qui, un ben costruito reticolo di continui input tematici, decisamente classici, apparentemente scollegati l’uno dall’altro, ma che ben si integrano nella struttura complessiva del brano. In tutto il trio è da evidenziare il forte contrasto fra la giocosità neoclassica dei temi che si scambiano l’oboe, il fagotto e il pianoforte, e la mondana spensieratezza – decisamente parigina – negli attimi di distensione melodica nei quali i tre strumenti suonano come un corpo unico, ad esempio nella sezione centrale del primo movimento. In poche parole, quando la musica è dal carattere brillante, vengono sfoggiate le capacità di ciascuno dei singoli strumentisti; quando invece la musica è melodica, l’ensamble si unisce. Un procedimento molto simile avviene nella brevissima – ma molto interessante – Villanelle per piccolo e pianoforte.

youtube https://www.youtube.com/watch?v=mcLyfLwkD6c&w=560&h=315

4) Salve Regina dai Dialogues des Carmélites FP159

I Dialoghi delle Carmelitane è un’opera lirica in 2 atti su un libretto tratto dal testo di George Bernardos, commissionata dalla Ricordi ed eseguita per la prima volta il 26 gennaio 1957 alla Scala. La storia, realmente accaduta, ambientata durante il regime del terrore, narra di una ragazza emotivamente instabile e insicura (Bianca) che entra a far parte dell’Ordine delle monache Carmelitane, proprio nel momento in cui questo viene dichiarato illegittimo: le monache decidono di non rinnegare la propria fede e fanno un voto di martirio. Bianca fugge per evitare la pena capitale, ma proprio nel momento in cui le suore vengono giustiziate, essa, che le osserva dalla folla, decide di farsi uccidere, prendendo coraggio per un ultimo atto di devozione nei confronti del Signore. Nell’ultima scena dell’opera le monache cantano in coro, mentre si avviano, una per una, verso ghigliottina, una preghiera: Salve Regina. Impossibile descrivere a parole il coinvolgimento emotivo che provoca questa musica: questo corale tragico, nel quale, man mano che le monache vengono giustiziate, le voci diminuiscono sempre di più mentre l’orchestra intensifica il proprio suono, con un ossessivo incedere ritmico, termina con una struggente e inquietante atmosfera di tranquillità, dopo che Bianca si è avviata verso il patibolo e si è fatta uccidere. Il tutto rientra nella poetica religiosa di Poulenc: anche nello Stabat Mater sentiamo una cieca devozione nei confronti di Dio, ultima speranza per l’essere umano, terrorizzato dalle atrocità del mondo.

youtube https://www.youtube.com/watch?v=od4m5lN1HOo&w=560&h=315

5) Sonata per pianoforte a quattro mani FP8

L’ultimo brano proposto appartiene al periodo nel quale Poulenc faceva parte del Gruppo dei sei: la stesura è infatti collocabile nel giugno del 1918. In questa sonata in tre movimenti, composta dopo che l’autore aveva conosciuto la musica di Schoenberg, egli collauda uno stile percussivo, ossessivo, ripetitivo, che già aveva sperimentato nella Sonata per due clarinetti e che mai abbandonerà del tutto nelle sue composizioni. In essa è palese anche l’influenza di Stravinsky del quale, almeno nei suoi primi trent’anni di vita, fu un assiduo seguace e grande ammiratore. In questa composizione egli mette in mostra il suo convinto anti-romanticismo, dato dall’inespressività complessiva e dalla rudezza della scrittura armonica, elementi che egli svilupperà al meglio fino alla stesura dei 3 movimenti perpetui, il suo primo vero successo come compositore.

youtube https://www.youtube.com/watch?v=iiL6ika84lw&w=560&h=315

Questa è solo una ristrettissima selezione dei capolavori di Poulenc. Per approfondire l’autore si consiglia l’ascolto della musica pianistica – in particolare dei 3 mouvements perpétuels – delle sonate per violino, violoncello, clarinetto, del già citato Stabat Mater e dell’imponente Concerto per organo, timpani e orchestra d’archi.

Gianluca Cremona

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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