Gennaio 1909 – Cronaca di un concerto dal diario di Matvej Melniki

San Pietroburgo
Gennaio 1909

Autore: Matteo Macinanti

3 Dicembre 2016

Il concerto di questa sera ha toccato in profondità le corde più intime dei nostri cuori…
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effetti è ancora troppo recente la ferita che si è aperta in noi in seguito alla morte del nostro Maestro, e di certo non si rimarginerà a breve.
Già, per noi è stato davvero un Maestro, ma è anche vero che per il mio amico Guima è stato un vero e proprio padre capace di sopperire alla mancanza di quello naturale deceduto ormai 6 anni fa.
Qualche giorno fa io e Igor (o Guima come lo chiamiamo noi amici) siamo ritornati al cimitero di Novodevičij,  e il mio amico non è riuscito a trattenersi alla vista della tomba di suo padre, il signor Fëdor Ignatievič Stravinskij, posta vicino a quella del Maestro Nikolaj Andreevič.
Del resto in questi ultimi 6 anni il maestro Rimskij-Korsakov è stato sempre molto a contatto con Igor e, benché con noi altri allievi non ne abbia mai fatto parola, era chiaro a tutti chi fosse il suo allievo prediletto.

Ci tengo a rimarcare però che questa predilezione non ha mai esonerato il Maestro dal criticare le composizioni del mio amico!
Mi ricordo ancora come fosse ieri l’estate del 1902 a Heidelberg presso la casa dei nostri comuni amici Andrej e Vladimir, i figli del Maestro, quando, intimorito e al colmo dell’ansia, Igor gli fece sentire per la prima volta i suoi “conati compositivi” (sì, ammetto che le sue scelte moderniste a volte mi risultino non poco ostiche).
E mi ricordo bene anche tutto il tempo che dovetti passare con lui per consolarlo, dal momento che, a suo dire, il Maestro non era stato per nulla entusiasta dei suoi abbozzi.
A riprova di ciò Igor adduceva il fatto lo stesso Rimskij-Korsakov gli avesse sconsigliato di entrare al Conservatorio, ma io, da esterno, avevo già ben capito che questa raccomandazione celava il desiderio del Maestro di tenerselo come allievo privato senza sbatterlo tra quelle quattro mura istituzionali.

Dopo quell’estate il loro rapporto è andato consolidandosi sempre di più e, mentre Guima andava a lezione dal Maestro due volte a settimana, io ci andavo, sì e no, due volte al mese…  d’altronde io non sono Igor’ Fëdorovič Stravinskij, sono solo un umile Matvej Melniki che di certo non può competere con la sua esuberanza creativa…
Certo, ora che il Maestro non c’è più sarà difficile anche per Guima di muoversi da solo nel difficile mondo della musica. C’è da dire anche che il suo stile compositivo mal si accompagna alle direttive dei Maestri che si trovano oggi in giro… O il mio amico troverà un sostenitore folle almeno quanto lui, o penso che dovrà interrompere questo mestiere e riprendere in mano i libri di Legge dell’Università che di certo saranno andati perduti in seguito al trasferimento nella nuova casa al numero 66 del Canale Krukov.
Ora che sua Katerina è di nuovo incinta, Igor dovrà infatti pensare a qualcosa di buono per sé, per sua moglie, e per il piccolo Theodore…

Ripensando a questo terzetto (quasi quartetto!) non posso non rimembrare il giorno delle nozze di Guima e tutta la trafila che dovette passare in seguito allo Statuto Imperiale che ha vietato le nozze tra cugini…
Era l’11 di Gennaio del 1906 e al matrimonio presenziammo in pochissimi: i due sposi, il Pope, i nostri amici Andrej e Vladimir Rimskij-Korsakov e, come ovvio, il sottoscritto.

È vero che Rimskij-Korsakov non venne al matrimonio, ma bisogna dire anche che, una volta finita la cerimonia e raggiunta la casa dove avremmo dovuto festeggiare Svadebka, sì insomma, le nozze, trovammo il Maestro lì davanti alla porta.
Fu in quel momento che avvenne uno degli episodi più carichi di forza emotiva e allo stesso tempo di afflato spirituale che io ricordi: dopo aver fatto gli auguri alla nuova coppia, il Maestro tirò fuori da una scatola il suo regalo di nozze, una splendida icona russa, e la pose per un lasso di tempo breve ma allo stesso tempo eterno, sul capo del mio amico.
Noi spettatori assistemmo a questa scena estasiati: il passaggio di consegne era ufficialmente avvenuto. Non un sentimento di gelosia e di invidia sfiorò i nostri cuori tanto fu impregnato di mistico ardore quel momento.
Inutile dire che quell’icona sia l’onnipresente addobbo del pianoforte Bechstein di Guima…

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Mentre scrivo riaffiorano a poco poco i ricordi come gli scogli durante l’alta marea qui nella spiaggia davanti al mare di Piter…
Lo stesso andamento allegro delle onde di questo notturno gelido mi riporta alla memoria la gioia che riempì il cuore mio e di Igor quando, durante quella semplice cena del 6 Marzo 1904 a casa Rimskij-Korsakov, eseguimmo la Cantata che il mio amico aveva dedicata al Maestro.

Prima del concerto di questa sera, io e Igor ricordavamo con afflizione quanto fosse stata fulminea la scomparsa del nostro Maestro e quanto fosse stato grande il rammarico del mio amico di non aver accompagnato il suo padre acquisito nel momento del trapasso.
In effetti Guima venne a conoscenza della morte della sua guida nel modo peggiore: un telegramma che sentenziava cinicamente “non consegnato a causa della morte del destinatario”.
Eppure proprio poco prima si erano messi in contatto e il Maestro lo aveva raccomandato di inviargli quanto prima le partiture del suo nuovo scherzo sinfonico “Fuochi d’artificio” che Stravinskij aveva buttato giù in sole sei settimane… Non è bastato, purtroppo.
Un pezzo decisamente sfortunato, non c’è che dire, tanto più che i destinatari della composizione, la figlia di Rimskij-Korsakov, Nadia, e il suo neo-coniuge Maximilian Steinberg, non sembrano aver apprezzato neanche un po’ la dedica…

Mah, quello che posso dire io è che il regalo più grande che abbia fatto Guima a tutti noi sia la composizione che ha presentato al concerto di questa sera, qui a Pietroburgo, in onore di Rimskij-Korsakov.
Pogrebal’naya Pesnya, già, questo splendido canto funebre che abbiamo avuto la fortuna di ascoltare, con gli occhi gonfi di commozione, poche ore fa in Conservatorio sotto la bacchetta del maestro Blumenfeld.
La prontezza con la quale, una volta tornato a Ustilug, Igor ha messo in musica i suoi sconvolgimenti interiori è ben ravvisabile in questa breve ma intensa trenodia.

Il movimento cromatico dei contrabbassi all’inizio del brano cala, in un istante, noi ascoltatori in un’atmosfera cupa e sofferente, e il primo amalgama accordale degli ottoni e dei fiati è riuscito ad inferire subito una prima stilettata al mio animo già provato.
Evidentemente questo fermento cromatico primigenio dal quale lentamente ci si schiude, grazie all’inserimento di gelidi passaggi acuti di oboe e flauto, è sembrato congeniale all’autore a rappresentare il suo turbamento d’animo, e qualcosa mi dice che il mio amico avrà modo di servirsi ancora di questo fuoco estinto che pare risorgere poco a poco dalle sue stesse ceneri…
In questa alba scura avvertiamo quindi il vero e proprio “canto funebre” affidato ad un lamentoso corno al quale si assomma la luminosità dei fiati, e una tromba che, con la sua impronta cromatica, ci ricorda che l’alba alla quale pare di assistere, in questo giorno, è un’alba senza sole.
A confermare questo presentimento interviene il primo grande spostamento della massa d’acqua orchestrale: ora sta alle viole e ai violini condurre il canto funebre al quale fa da contrappunto il movimento sempre cromatico degli strumenti gravi dell’organico.

Questa lotta tra cromatismo e diatonismo si fa sempre più acceso e porta a dei veri e propri alterchi orchestrali.
Ma il pianto che abbiamo ascoltato all’inizio del corno contagia man mano tutta l’orchestra, incapace di resistere alla commozione di tale flebile delicatezza.
Il movimento incessante del sottobosco dell’organico conduce incessantemente la melodia che assume la forma di dialogo tra i vari strumenti, lungo le diverse modulazioni, talvolta erroneamente luminose, che si avvicendano prima di arrestarsi e a lasciare nuovamente lo spazio al magma cromatico iniziale.

Alla fine del concerto, mentre noi non sapevamo se fosse il caso di applaudire dopo un momento di commozione interiore così forte, il mio amico Stravinskij mi ha rivelato che l’immagine che lo aveva accompagnato nella composizione del Canto Funebre era una processione dei vari strumenti dell’orchestra che lasciavano il loro omaggio alla tomba del Maestro.
Così è: sul pedale incessante del mormorio tremulo dei bassi orchestrali si svolge questo planctus che solo a volte viene interrotto da alcuni accessi improvvisi e irrefrenabili come quelli delle prefiche che si possono ascoltare talvolta anche qui, nelle campagne intorno a Piter.

Che dire? Il mio Igor è riuscito anche questa volta ad colorare la prigione dei cinque righi del pentagramma con i sentimenti più reconditi e celati tra le pieghe della nostra intimità.

Spero proprio che possa diffondersi velocemente in tutta la nostra Madrepatria questa musica, in modo tale da essere un prezioso documento del rapporto che può legare un allievo al suo maestro.
Qualcosa mi dice però che i confini della nostra terra tra poco si apriranno per Guima…
In questo tempo in cui si stanno verificando profondi sommovimenti sociali nella nostra Russia, il posto di Igor non mi sembra più questo.
Come dimenticare la paura che ancora non l’ha lasciato quando, durante la guerra col Giappone e dopo i fatti del Potëmkin, venne arrestato per sbaglio insieme ad alcuni dissidenti che scioperavano a Piazza Kazanskij…

Vedremo cosa succederà… di certo gli servirà un colpo di fortuna…
Quanto a me, me ne resterò ancora un po’ qui a guardare il fiume Neva che si annulla nella vastità del Mar Baltico pensando al mio amico e al mio Maestro…

M.M.

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

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