Elogio della banalità del chitarrismo moderno

E` noto che avventurarsi per nuovi sentieri sia pericoloso, mentre una strada già percorsa è ampia garanzia. Oggi, come 40 anni fa, le accattivanti melodie delle divenute “hit” per chitarra classica ridondano e fanno da padrone tra i repertori presentati in festival chitarristici e concerti tenuti nei più prestigiosi teatri e auditori europei.

Autore: Andrea Corongiu

23 Novembre 2016
Stiamo parlando di pagine musicali strappa applausi come Recuerdos de la Alhambra di Francisco Tárrega, dove la magia del tremolo è in grado ancora oggi di ammutolire ed emozionare il pubblico, oppure le eterne trascrizioni di Johan Sebastian Bach, vedasi la famosa Chacone dalla Partita 1004 per violino, o ancora qualche Vals dalle intrise melodie popolari sudamericane, e, perché no, nella ricorrenza del centenario della morte di Enrique Granados, morto durante scontri navali della prima Guerra Mondiale, ecco che saltano fuori dal cilindro le trascrizioni delle Danzas Españolas composte nel 1890 e originali per pianoforte.
Programmi che sanno di pot-pourri senza capo né coda, vuoti di significato filologico, tanto meno estetico e che non offrono niente di nuovo. Stentai a crederci quando ascoltai quelle stesse Danze, “los recuerdos”, i Vals e i topici del barocco, per tre giorni di fila in mano a tre grandi virtuosi in uno dei più conosciuti festival chitarristici come è quello della città di una qualsiasi città: potremmo cambiare la location ma lo spessore di quei programmi è pressoché immutato.

La costante risposta all’accusa, quella di fare ascoltare monotoni e ripetitivi programmi da concerto, mossa ad organizzatori, enti e società di promozione concerti e interpreti, avviene mediante giustificazione, ovvero scaricando la propria colpa in questo caso sul pubblico pagante; parrebbe che tale udienza abbia l’interesse nell’ascoltare perennemente gli stessi repertori in mano a diversi interpreti ma che questi ultimi posseggano dalle innate e talentuose capacità virtuosistiche similari a quelle circensi.

Un inutile e banale copia e incolla dei programmi di sala ha quindi preso forma in queste sale gestite da direttori artistici spinti solo dal numero di presenze in auditorio: più questo è colmo, maggiore sarà la banalità del repertorio. Ma la colpa non è solo di quei direttori che hanno bisogno di merce di scambio: i patti si stringono a più parti e le responsabilità cadono su tutte. Chiamo in gioco quindi quei banali interpreti, quelli che si affidano alla strada già percorsa e che certamente potranno prendere spunto da questo stesso articolo per elaborare il loro prossimo programma di sala, solo per ricordare loro che stanno vendendo a poco prezzo il valore artistico in loro possesso.

Tale processo sta diventando un dato di fatto a cui di certo non bisogna sottomettersi; la speranza di invertire la tendenza è quindi riposta su giovani e temerari interpreti che oggi giorno lavorano assiduamente e con coerenza, investigando su nuovi repertori, nuove valide musiche della letteratura chitarristica da poter presentare ad un pubblico sicuramente diverso da quello delle grandi sale europee odoranti di vecchio e stantio.

Andrea Corongiu

Teatro Regio Parma – Accademia Verdiana

Articoli correlati

ReMozart a Napoli: una proposta originale

eMozart rappresenta uno degli eventi di punta delle programmazioni culturali della città di Napoli per l’anno corrente, ma vista l’originalità del progetto non è azzardato definirlo uno tra gli eventi da non perdere della scena musicale...